Quella mattina a Parigi il cielo era come un blocco glaciale da cui le nuvole non potevano sfuggire. Faceva molto freddo e non c’era modo di trovare riparo. Qualche fiocco di neve cadeva qua è là.

Svoltato un angolo giù nella strada apparve un corpo riverso ed immobile. Un forte tanfo, mozziconi di sigarette, rimasugli di cibo, pezzi di cose accompagnavano la mia discesa. Iniziai a credere di essere di fronte ad un morto, come quella volta a Lisbona. Ma non era così, si trattava di un clochard che cercava calore sopra uno sfiatatoio della metropolitana. Domandai se avesse bisogno di aiuto. L’uomo alzò lo sguardo verso di me come a dirmi «non preoccuparti». Arrivò un damerino, completo e cappotto pesante: «che te ne frega di quello là, fatti gli affari tuoi». L’uomo riverso si era seduto, mi guardò dicendomi «non è un problema».

Quando si è in vacanza a Parigi è facile non accorgersi dei tanti barboni che affollano le vie secondarie della città. D’altro canto molti degli stessi parigini non ci fanno più caso, alcuni preferiscono addirittura scavalcarli piuttosto che passargli attorno. Dei clochard non parla nessuno, neanche nelle riunioni delle occupazioni universitarie. Ma non sono solo loro i miserabili. Parigi è colma di persone, immigrate e non, che stentano ad arrivare a fine mese. La loro famiglia è lontana, la città indifferente viene così avvertita come ostile. Poco cui aggrapparsi, solo le abitudini e l’impassibile ripetersi delle stagioni. Solamente il sole, quando spunta, crea una crepa in un tempo che è divenuto circolare. Così, alcuni, iniziano a non sentire più niente perché nulla appare all’orizzonte. È l’abbandono di chi sente la solitudine immerso in un mare di persone.

C’è chi deve abbassarsi al livello dell’asfalto per avere casa: bambini, rifugiati, barboni, ragazzine che ne hanno viste più dei nostri padri e madri. Famiglie siriane sugli Champs Elysées sedute al freddo che chiedono aiuto. L’agire quasi senza speranza di un madre che tenta di riscaldare il figlioletto pelle ed ossa immersa tra petrol-sauditi e la parvenza della ricchezza esclusiva.

I miserabili: le persone nell’ombra, che ci servono o chiedono aiuto, sommerse e non salvate nonostante rendano anche loro Parigi grande, come Gavroche ferito a morte sulle barricate.

Chi sommerge sono i miserabili nichilisti. Quelle persone per le quali Parigi è fatta su misura per te, per te che pensi solo a te stesso e che sei convinto che il mondo sia fatto a posta per te. Per te che aspiri a scalate sociali lucrose e danarose, per te che non sei capace di vedere la realtà che ti circonda con gli occhi degli altri. Incapace di concepire che né Parigi né il mondo sono fatti su misura per te, ma al massimo per un noi.

Parigi si fonda sul ricordo dei grandi francesi che hanno reso il popolo tale. Ma non è popolo se sommerge una parte di sé. La nazione si svela per quel che è: una menzogna proiettata dall’ego di chi, le persone, le ha sommerse.

L’umanità non è morta. Che cosa è umano e che cosa non lo è? Non c’è niente di originale, non c’è niente di nuovo: è un copione già visto. Parigi è qui usata perché dal particolare vi si scorge l’universale. Non c’è da indignarsi per soddisfare un canone estetico che si accaparra l’esclusiva dell’essere «uomini». Un’indiganzione frutto della malafede di chi crede che l’umanità sia un qualcosa di già dato. Di chi, in base ad un presupposto egocentrico, ritiene di essere dalla parte giusta dell’umanità. Non c’è niente nell’indiganzione di chi urla che l’umanità è morta della volontà di vedere come stanno le cose con gli occhi degli altri. Perché la loro scelta è già stata fatta: la scelta di erigersi a tribunale dell’umanità. Non si indignano per la condizione dei miserabili ma perché questi gli pongono di fronte agli occhi l’ipocrisia della loro vita.  Credono di non condividere la propria condizione con quella che chiamano umanità in nome di una situazione differente. Attraverso la chiacchiera e l’equivoco negano e tradiscono la vita, rifiutandosi di lottare nel nome del fatto che, come direbbe Camus: «nel suo sforzo maggiore, l’uomo può soltanto proporsi di diminuire aritmeticamente il dolore nel mondo» sapendo che esso comunque rimane. Ma questa non è già più Parigi, questa è la condizione assurda dell’uomo che spinge alla malafede e alla negazione della vita di chi sommerge i miserabili ogni giorno. La frode di chi urla che l’umanità è morta e che tenta di ricondurre l’esistenza ad un’unica spiegazione senza provare a vivere nella tensione tra la sua pienezza e la sua caducità.

 

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