Mi trovavo a Parigi da tre mesi quando, il 22 marzo, iniziò il movimento di protesta di ferrovieri e studenti contro la riforma della SNCF e dell’accesso all’università. Quel giorno ero nei pressi del Gran Boulevard ed aleggiava quel senso di tranquilla attesa caratteristico di questa città prima che accada qualcosa. Fu una manifestazione imponente: circa 47.800 persone, i fumogeni grigi e rossi annebbiavano la vista ma c’era un clima festoso.

La manifestazione del 22 marzo a Parigi

Un clima che cambiò un po’ la notte del 6 aprile quando un gruppo di destra, volti coperti, spranghe e bastoni alla mano irruppe nel centro universitario di Tolbiac (Paris 1 Panthéon-Sorbonne), punto di riferimento dell’occupazione studentesca, iniziando a picchiare gli studenti presenti. Un fattaccio analogo si era verificato anche il 3 aprile a Montpellier. Dal 6 aprile, comunque, per Tolbiac le cose si complicarono e allo stesso tempo subirono una svolta.

Il rettore George Haddad chiese l’intervento delle forze dell’ordine per far terminare l’occupazione, le quali però non intervennero anche perché scattò una rete di solidarietà tra gli studenti che si recarono in massa al centro per opporsi allo sgombero. Azione che si ripeté ogni qual volta ci fu la possibilità di un intervento del genere.

All’epoca non avevo ancora una posizione precisa, nonostante credessi anche io che la Loi Vidal, la legge per l’accesso all’università, rischiasse di sfavorire i più e di eliminare la libertà di scelta e dell’errore. Avevo dei dubbi riguardo alle caratteristiche del movimento studentesco che mi sembrava troppo concentrato sull’estetica del sessantottino.

Schierarsi era difficile anche perché avevo il sospetto che vi fosse dell’antisemitismo in seno al movimento. Il 28 marzo infatti Mirelle Knoll, un’anziana signora ebrea che era riuscita a scampare dalla furia nazista, era stata bruciata viva da degli antisemiti di destra. Il 29 marzo a Tolbiac venne saccheggiata l’aula messa a disposizione dell’Unione degli studenti ebrei francesi (UEJF) e le mura imbrattate con scritte anti-semite e anti-israeliane. È ancor più difficile prendere posizione quando si è di fronte alla stupidità e all’ignoranza di chi confonde Israele con la comunità ebraica. I rappresentati degli studenti hanno subito detto di non identificarsi col gesto e di non essere antisemiti, ma il dubbio un po’ rimane viste anche le accuse di antisemitismo in certi partiti della gauche.

Comunicato sull’occupazione della Sorbona (13 aprile 2018)

Nonostante ciò era difficile non lasciarsi trasportare dagli eventi ed essere contagiati dall’aura romantica che acquisisce la Sorbona con un’occupazione: effettivamente ciò che salta subito in mente è il ’68, anche se di questo non c’è più niente. Continuavo quindi a bazzicare le riunioni degli studenti, a seguire i dibattiti, ad andarmene nei pressi dell’azione senza però poter prendere parte più di tanto.

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Verso metà aprile mi chiedevo se il movimento avrebbe retto sul lungo periodo, anche se vedendo la risposta degli studenti a Macron dopo la sua uscita sugli esami alla cioccolata iniziavo a ricredermi. Fu un episodio abbastanza ridicolo. Macron era stato intervistato da TF1 il 12 aprile all’interno di una scuola elementare, seduto fra i banchini. Quando l’intervistatore gli chiese cosa ne pensasse delle università occupate rispose:

«trovo che in molte delle università occupate non vi siano degli studenti, ma degli agitatori professionali, i professionisti del disordine di cui parlava Michel Audiard. I professionisti del disordine devono comprendere che siamo in uno Stato d’ordine. E gli studenti devono capire una cosa: che se vogliono avere i loro esami alla fine dell’anno devono ravvedersi perché non ci saranno esami alla cioccolata nella Repubblica».

La risposta degli studenti è stata creativa: video irriverenti, tavolette di cioccolata a presa di giro del presidente della Repubblica, a differenza delle già sentite frasi pronunciate da Macron secondo cui chi è contrario, chi partecipa alle occupazioni, è un agitatore, è una minoranza e così via.

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Bisogna ammettere, comunque, che è difficile comprendere  se si tratta di una minoranza oppure no visto che secondo un  sondaggio Ifop il 59% dei francesi è a favore della riforma della  ferrovie e il 55% è favorevole alla riforma dell’accesso  universitario. Allo stesso tempo Macron inizia comunque a  perdere consensi e molti gli rimproverano un atteggiamento  incurante delle opposizioni.

La notte del 13 aprile, comunque, la polizia sgomberò la Sorbona  centrale – la mia, per intenderci – che era stata occupata lo stesso giorno. Nel frattempo vennero chiuse diverse biblioteche e centri, tra cui la Bis, la biblioteca della Sorbona centrale, rimasta chiusa fino ai primi di maggio attraverso una serie di provvedimenti che ne spostano la riapertura. Il 16 aprile invece, alla Sorbonne 3 gli studenti che occupano si avvicinavano all’autonomia italiana.

Lì per lì mi stupii nel vedere che prendevano ad esempio l’Italia. Poi ci ripensai e mi ricordai delle volte in cui avevo sentito dire, in italiano, «siamo tutti antifascisti» anche se non capisco come Macron possa essere fascista. Ricordo ad esempio una conversazione che ebbi con il rappresentante degli studenti di Malesherbes, il quale appena scoprì che sono italiano mi disse «voilà, nous sommes tuti antifascisti». Ma la diffusione di un’espressione non è certo esplicativa di una attenzione per un movimento di un altro paese: la radice del fenomeno credo stia nel fatto che gentaglia come Toni Negri e Oreste Scalzone se ne sono scappati qui per sfruttare la dottrina Mitterrand. Ed infatti Scalzone era l’invitato principale. E questo aspetto creava altri problemi con la mia coscienza, visto che l’autonomia non è certo ciò che della sinistra mi piace.

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In prossimità dell’inizio delle vacanze, verso la seconda metà d’aprile, iniziavo a credere seriamente che il movimento si sarebbe arrestato o sarebbe finito. A quel punto il 17 aprile l’università in cui si è laureato Macron, Science – Po, una delle Grande école, decise di unirsi alle occupazioni. Un’occupazione durata fino al 20 aprile quando, con un accordo che prevedeva l’apertura di sale dedicate alle conferenze e ai dibattiti liberi, è terminata per tentare di riprendere il 27 aggiungendo l’opposizione alla Loi asile et immigration come tema.

 

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La festa a Tolbiac nella notte del 15 aprile

Ma in effetti con le vacanze le cose si sono calmate: le pagine social dei collettivi studenteschi hanno diminuito la frequenza dei post e all’alba del 20 aprile Tolbiac è stata sgomberata dalla polizia. Probabilmente l’evacuazione è stata facilitata dalla festa che si è tenuta nel centro il 15 aprile. Haddad ha infatti sfruttato la situazione per andare in televisione e richiamare all’ordine. In effetti la festa è stata una mossa azzardata: se da un lato avrebbe potuto aiutare a compattare il movimento e ad attirare sostenitori, dall’altro può aver contribuito a creare una larga opposizione. Alla fine è pur sempre un luogo pubblico e l’immagine del divertimento non aiuta certo a far passare un messaggio di serietà, tanto più che la festa in questione non aveva niente di diverso da una normale serata in discoteca creata da quel capitalismo cui vorrebbero opporsi. Considerando che questi ragazzi vorrebbero essere dei radicali riformatori, ci si può giustamente aspettare che anche in un ambito più ludico riescano a proporre qualcosa di nuovo e non un “evento” mascherato per coprire la sua standardizzazione e la sua riproducibilità.

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L’evacuazione di Tolbiac da parte dei CRS

Comunque lo sgombero suscitò numerose polemiche tra cui delle speculazioni su di un ragazzo in coma e tempestivamente rilanciate da una certa sinistra nostrana che non perde occasione per la sua indignazione quotidiana. I media francesi hanno trasmesso la notizia dello studente in coma, arricchita della testimonianza di una ragazza, Leila, presente a Tolbiac e militante Insoumis, con tanto di foto dei poliziotti che picchiano i ragazzi seduti. La pagina del partito di Mélenchon ha poi smentito l’esistenza del ragazzo, così come i media quando è stato scoperto che anche nella foto in questione vi era la polizia spagnola e non quella francese.

Finite le vacanze il movimento ha iniziato a riprendere da dove aveva lasciato. Il 31 aprile, ad esempio, è stato deciso il blocco di Malesherbes (Sorbonne IV) dove il 4 maggio si sono tenuti una serie di atelier di poesia e teatro e dibattiti su modelli educativi alternativi, sul sistema universitario scandinavo e una conferenza di Juan José Carillo Nieto uno degli studenti di spicco dell’occupazione dell’Università del Messico del 1999 durata nove mesi, ad oggi PHD alla Sorbona. La varietà di spunti che offrono queste giornate è una di quelle cose che stimo del movimento, che in questo modo cerca di aprirsi all’esterno e sul mondo. Riflessioni e dibattiti sono così stimolati e non rimangono fermi alla normale critica oppositiva, che niente propone, come spesso accade da noi in Italia. Ma oltre agli ateliers e ai dibattiti ci sono gli scioperi per i parziali: il 2 maggio alcuni professori del dipartimento di geografia della Panthéon 1 Sorbonne hanno deciso di sospendere gli esami in sostegno agli studenti alcuni dei quali se ne sono andati in segno di protesta prima che iniziassero le prove, una tattica che si è poi allargata. Un clima di incertezza regna quindi sul proseguo dei corsi, la possibilità di effettuare i parziali e sulla completa riapertura di biblioteche e locali universitari.

Continuano anche i cortei. Il 1 maggio vi è stata la manifestazione forse più attesa: numerose persone vi hanno preso parte, sia per onorare la festa dei lavoratori che in opposizione a Macron. La manifestazione è partita da Place de la Bastille e avrebbe dovuto arrivare in Place de l’Italie, ma così non è stato: circa 1200 black blocks, infatti, sono riusciti a prendere la testa del corteo incendiando macchine, prendendo d’assalto una concessionaria Renault e numerosi altri negozi. Io stavo andando nella zona per vedere un amico. La fermata della metro 1 a Bastille era chiusa. Scendo alla successiva: lì per lì non mi rendo conto di cosa è accaduto, sembrava ancora un normale passaggio di una manifestazione comunque imponente. Poi, scendendo verso la Senna vedo sempre più CRS (uno dei reparti della celere francese) di cui non ho mai visto una presenza così massiccia, con camionette antibarricate, muretti di ferro nero per bloccare l’accesso nelle vie. Nella strada si inciampava tra i sampietrini, le bombolette ed i volantini. Molti bidoni della spazzatura erano divelti. Molti negozi avevano le vetrine frantumate, un rivenditore disperato che parlava alla televisione. Inizio a sentire puzza di bruciato e mi trovo accanto ad una macchina andata a fuoco. Arrivo ad un incrocio e trovo un McDonald’s che è stato evidentemente preso d’assalto: all’interno rimangono i vetri frantumati, simboli anarchici e un «mort au capital».

 

Il 3 maggio si è tenuta un’altra manifestazione, ma questa è stata ben più tranquilla. L’avvenimento che quel giorno suscitò scalpore fu l’occupazione della l’Ecole Normale Supérieure da parte di alcuni studenti di sinistra e lo scandalo riguardò il monumento ai morti nei pressi della Scuola che è stato imbrattato.

Il 5 maggio c’è stata la Fête à Macron, una manifestazione che ha visto la partecipazione di circa 38.900 persone organizzata dal deputato Insoumis François Ruffin per criticare il governo nel giorno del primo anniversario di Macron all’Eliseo. Anche altre città, come Tolosa, hanno visto nuove occupazioni così come alcuni licei hanno iniziato a mobilitarsi, tra cui il prestigioso Lycée Henri-IV di Parigi che il 3 maggio ha tentato un’occupazione.

Il 6 maggio rimango nuovamente stupito. Da marzo i gradute students di New York che lavorano nelle università, magari come dottorandi, protestano per potersi dotare di sindacati e quindi di una rappresentanza. Venuti a conoscenza dei movimenti in Francia hanno mandato un messaggio di sostegno agli studenti della nostra parte dell’Atlantico, segno di una solidarietà capace di andare oltre le distanze oceaniche.

Nonostante siano passati due mesi e mezzo dal 22 marzo continuo ad avere dei dubbi. Innanzitutto non comprendo a fondo se chi occupa sia o abbia alle proprie spalle la maggioranza. Continuo a non approvare la fascinazione ed il richiamo retorico alle comuni e al Sessantotto. Invece di accontentarsi di canoni estetici credo sarebbe meglio sfruttare la situazione per inventare qualcosa di nuovo, se proprio si vuol fare una critica alla società attuale. Infatti gli studenti non vanno spesso al di là del proprio orticello: manifestano per e con i ferrovieri francesi, per l’accesso all’università, talvolta esprimono sostegno alla ZAD di Notre-Dame-des-Landes e si oppongono alle Loi asile-immigration, ma niente di più. La loro critica, cioè, non riesce a prendere uno slancio che conduca a proposte nuove per cambiare la società e lo Stato, aspetto che interessa gli studenti visto che molti si pongono come riformatori. Forse è proprio questo il limite, limite che mi pare ci sia anche in Italia: l’incapacità di ripensare il mondo e la sinistra partendo da una critica della situazione attuale che in base all’analisi del passato e del presente cerchi uno slancio per il futuro. Uno slancio che guardi alla totalità delle cose e non solo al particolare e al contingenziale. Ma non tutto è da buttare qui in Francia, anzi. Gli studenti stanno dimostrando determinazione e resistenza, così come i ferrovieri. Nonostante le mie critiche, negli ateliers che si tengono nelle facoltà bloccate un accenno di pensiero propositivo c’è, il problema è che rimane ancorato o a vecchie logiche o cerca ispirazione in modelli stranieri. Un dibattito comunque viene stimolato e chissà che non porti, nel futuro, a qualcosa.

Stimo questi ragazzi che nonostante tutte le difficoltà incontrate in questi due mesi continuano ad andare avanti e ricevono il plauso dai loro omologhi americani. Stimo questi ragazzi perché fanno ciò che vorrei facessimo anche noi in Italia, ma che purtroppo non facciamo.

Rimane infatti una domanda: saremmo stati capaci in Italia di una simile mobilitazione? Sinceramente non credo: prova ne è stata la Buona Scuola, avversata dai più ma verso cui non si è incanalato nessun progetto di opposizione concreto a causa di una visione ormai disincantata e della classe rappresentativa, anche la più bassa come quella degli studenti, di fare qualunque cosa che non sia sopravvivere e brontolare.

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