Aspetto insieme a questa solitaria moltitudine nella U-Bahn. Prima o poi è sicuro che arriviamo tutti a destinazione. Infatti, dopo circa mezz’ora di mezzi, eccomi a Tempelhof, la mia pista preferita per pattinare. Ma è molto più di questo.

Il 29 Agosto 1909, mentre l’Europa esibisce le sue grandiose trovate tecnologiche,qui  viene fatto sfilare il dirigibile LZ-6 progettato dal generale Ferdinand A. H. August von Zeppelin. Nel 1923 Tempelhof viene aperto ufficialmente come aeroporto civile. Negli anni Trenta diventa una prigione della Gestapo e il 25 Aprile 1945 viene preso in custodia dal commando russo. Dopo altre svariate vicende, nel 2008 l’area viene ripristinata a uso civile e aperta al pubblico. Una distesa di cemento e di verde, un’arena piatta e a prima vista sconfinata, per tutti: chi va col Long Board, il Wind Surf, lo Skate, la bici, per chi corre semplicemente o passeggia e beve un tea ghiacciato.

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Tempelhof. Foto di: Francesca Milazzo

Qui si può prendere le distanze da tutto e vedere la città di profilo, ci si può prendere una pausa da tutto il resto. Da una stanchezza che non si sa da dove viene. Forse dalle scale sotterranee o dalle finestre all’ultimo piano di palazzi bianchi e grigi. O dal disordine che trovi in casa. Dalla spazzatura, o dal puzzo di escrementi che ogni tanto sale dai binari. O dagli stessi vestiti che indossi ogni giorno, dalle telefonate a cui non sai rispondere. Dal lavoro che stai cercando. Dalla mail che non sta arrivando. Dai supermercati. Dal silenzio e dalle cose che vorresti dire, ma che non sei in grado di dire in una lingua che non è la tua. Dalla malinconia che crea tutto questo.
Il salto che percepisco dalla città di provincia da dove vengo e la capitale è altissimo. Si palesa nei sogni, dove incontro i miei mostri e le mie paure. Realizzo che solo sola, una straniera nuova arrivata di fronte alle scelte e alle possibilità, volente o nolente, costretta a competere con chiunque. A battere record di rapidità di decisione e tempismo. O tornerò a casa e chiuderò un’altra parentesi meravigliosa, o proverò a restare. Iniziano le grandi domande e mi sento un po’ persa. Allora comincio a cercarmi a misurare le mie città: le sue distanze, le altezze e le bassezze. Forse non poteva che succedere qui.

“Berlin tut gut” ho letto una volta per la strada: “Berlino fa bene”.

Erano anni che volevo essere qui. Mentre scrivevo la tesi, l’anno scorso, era già tutto predisposto. Sapevo già dove sarei andata e cosa avrei fatto. Mancavano solo alcune cose da sbrigare: la tesi, appunto, il servizio civile e infine i fogli per ricevere la borsa. Sono partita a Gennaio, con due valigie e la pancia piena di panettoni, pandori, spumanti e ricordi di altri cibi deliziosi dell’ultimo pezzo d’Italia che ho esplorato prima di partire, il Friuli, dove ho salutato l’anno vecchio e brindato a quello nuovo tra le montagne al confine con la Slovenia. La frontiera era nell’aria.

Il mio primo Erasmus l’avevo trascorso nel 2016 ad Heidelberg, famosa meta universitaria nel Baden- Württemberg a sud ovest della Germania. Stavolta sono diretta a Nord-est, verso la capitale. Con l’aiuto di una borsa post laurea inizio il lavoro in un archivio e centro di documentazione femminista, felice di aver trovato una terza via tra la scelta del dottorato e la corsa a ostacoli per l’abilitazione all’insegnamento. Il lavoro è interessante, i colleghi sono gentili e pazienti. Il mio tedesco può migliorare e deve migliorare. Ma come inizio non c’è male. Gli incontri con altre persone della mia età non sono frequenti, e anche a casa non è che si parli molto. Allora decido di frequentare un altro corso. Male non può fare.

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Kottbussertor. Foto di: Francesca Milazzo

Una cosa mi è chiara: Berlino  non è una, è tante città, una dentro l’altra, una sopra l’altra. Non solo perché c’è la parte Est e la parte Ovest, distinzione ormai solo dettata dal mercato immobiliare, dai giri di affari e dal costo degli affitti (che sono cari anche a Est ormai, peraltro). Non solo perché viaggiando con la U1 si passa da Kottbussertor, via vai di fruttivendoli e ristoratori turchi, iraniani, libanesi, sauditi, ragazzine velate, palazzi graffitati, ciclisti, elemosinanti e raccoglitori di bottiglie vuote (che buttano in appositi cassonetti che erogano qualche centesimo di vuoto a rendere) e si giunge a Kurfürstendamm, vecchio centro città di Ovest, lussuoso e trafficato, dove corrono Mercedes e si susseguono sul viale uno dopo l’altro i negozi di alta moda con tutte le marche possibili, i grattacieli grigi e altissimi. Come si direbbe, è una città di contrasti. A me sembra piuttosto che i “contrasti” qui trovino semplicemente il proprio posto.

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Kurfürstendamm. Foto di: Francesca Milazzo

Ogni  pezzo di mondo è qui rappresentato, in tutta la sua richezza e idiozia, in tutta la sua povertà e il suo difficile districarsi tra gli “estremi”. C’è però almeno un’altra città, che non si lascia vedere dagli occhi e che talvolta ti parla nella sua lingua inaudibile e imperiosa e sembra sussurrarti in un orecchio “Tu mi appartieni”. Magari mentre guardi il paesaggio dal finestrino della S-Bahn, la metro in superficie. La fisica e la logica si fanno da parte per un momento, e ho come l’impressione di trovarmi in un libro di Italo Calvino.

I primi mesi mi sento euforica di fronte a tutto questo. Arriva la primavera. Dopo il freddo di febbraio e marzo, che ha bruciato ogni residuo di panettone e si è preso anche qualcosa di più, le giornate si fanno più belle e non si vedono che colori nuovi, tra cui il blu dei cieli del Nord. A volte esco senza incontrare nessuno, a parte una folla estremamente vicina e incredibilmente lontana che scivola accanto, dietro e davanti, più lenta, più veloce. Ognuno si scruta distrattamente, si guarda in silenzio e in attesa di scendere. Mi trovo a imprecare quando il Tram mi passa davanti agli occhi e il prossimo arriva in non prima di 10 minuti. Ho fretta, e non so perché. Coi mesi Berlino mi insegna ad aspettare e lasciar passare tutti i tram che mi corrono davanti. Prima o poi arriverò a destinazione.

“Berlin tut gut”.

 

A cura di: Francesca Milazzo

 

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