Minorenni detenuti in un istituto penale hanno vissuto un’esperienza di gruppalità per lo svolgimento dei compiti evolutivi dell’adolescente. L’obiettivo: intervenire sulla gestione dell’aggressività, affrontare le dinamiche tipiche del contesto detentivo e controllare la aggressività nascenti

 

I primi incontri di gruppo all’interno dell’Istituto Penale Minorenni di Airola, in provincia di Benevento, sono avvenuti nella primavera del 2016. Obiettivo degli incontri: intervenire sulla gestione dell’aggressività e affrontare le dinamiche tipiche del contesto detentivo. Aggressività dovute alla lotta esterna tra clan che si consumava nel centro storico di Napoli e che, nonostante il lavoro costante de- gli operatori carcerari, continuava ad avere ripercussioni dentro l’Istituto creando conflittualità e refrattarietà al trattamento. Refrattarietà dovuta all’avvicendarsi di detenuti affiliati ai diversi clan camorristici, spesso in guerra, che esercitavano un’azione carismatica e di sopraffazione nei confronti dei detenuti comuni.

I gruppi quindi sono stati ideati per cercare di reintegrare e garantire, agli appartenenti ai vari clan che si fronteggiavano, degli spazi trattamentali comuni evitando di creare separazioni, divisioni e inasprimenti del conflitto cercando di condurli all’integrazione, laddove possibile nel contesto carcerario.

I gruppi si configurano come spazio di ascolto, confronto e riflessione finalizzata ad una sana convivenza. Al contempo si propongono di iniziare un processo di modifica degli stili relazionali rendendo questi ragazzi più capaci di gestire e contenere quella rabbia e quella violenza che troppo spesso viene agita. Infatti, il pensiero e la riflessione possono far diminuire esponenzialmente i passaggi all’atto, facendo sperimentare loro, una percezione ed una dimensione di sé diversa che potrà poi essere un punto di partenza per il cambiamento individuale e per il processo di riconciliazione con il sociale.

Tenendo presente che il gruppo in adolescenza rappresenta un’indispensabile esperienza al servizio della crescita, si è pensato di utilizzare l’esperienza “gruppo” per permettere a questi ragazzi di accedere a forme di funzionamento mentale più mature, caratterizzate dal pensiero e dalla condivisone con i pari dell’angoscia connessa allo svolgimento dei compiti evolutivi. Il gruppo, infatti, viene visto non come unione di più individui singoli ma come un unicum, in cui è importante mettere insieme gli interventi in una forma di pensiero più articolata e complessa.

È stato quindi evidente come la mancanza di sicurezza interna determinata da quella fiducia di base che si alimenta durante l’infanzia (le famiglie di questi ragazzi sono spesso caratterizzate dal padre in carcere, da separazioni, altre unioni e matrimoni), sia stata minata nella storia di questi ragazzi. Tale vissuto d’insicurezza appare visibile non solo a livello familiare ma anche sociale in senso lato, vivono ai margini della società quasi spettatori di chi detiene agiatezza e potere e si trasforma in rabbia verso le istituzioni che in qualche mo- do avvertono come disinteressate e non curanti verso di loro. La rabbia diventa distruttiva, moltiplica gli agiti e gli acting out determinando un comportamento attivo che dà loro l’illusione di essere finalmente attori e protagonisti della propria vita. Tale distruttività dà sollievo e quindi crea inevitabilmente dipendenza. I ragazzi parlano dell’“Adrenalina” come di uno stato psichico di euforia, benessere, onnipotenza che sperimentano nell’azione deviante e che crea una coazione a ripetere difficile da interrompere. Si pensi allora ai kamikaze, agli attentati o anche ai ragazzi che continuano a delinquere, fuggendo dalle comunità, interrompendo messe alla prova, interrompendo percorsi di recupero, a quei ragazzi che spesso utilizzano l’espressione “che tenim a perdere” come se la loro vita fosse già scritta e con una conclusione tragica. Parlano di destino come di una forza superiore che decide le loro vite e contro cui non possono fare nulla. Ed ecco come durante gli incontri vengono fuori espressioni generali, pregiudizi, luoghi comuni come: “non c’è lavoro … i politici sono corrotti … solo con la violenza si ottiene qualcosa … come si fa a campare con 70 euro a settimana … sono gli extracomunitari a rubarci tutto…”. Degli stereotipi che sembrano avere la funzione di giustificare le loro azioni come se non si potesse fare altro che attaccare e distruggere. All’interno del gruppo emergono anche voci diverse, espressione sempre del gruppo come organismo unico, ma che timidamente esprimono la possibilità di fare altro. Si partorisce un nuovo pensiero, s’intravede un cambiamento e così il gruppo diventa una rete di identificazioni proiettive multiple dalla cui analisi l’individuo può riconsiderare la costituzione del suo Sé, dato che ogni individuo è in realtà costituito da un insieme di parti individuali. In questo modo il ragazzo immerso nel gruppo acquista la consapevolezza della sua struttura multipla e del suo essere multiplo anziché singolo. Ecco l’aspetto evolutivo del gruppo ancora più importante perché formato da adolescenti che stanno affrontando il processo d’individuazione e differenziazione, da ragazzi che troppo spesso sono in corsa come se tollerare l’indefinitezza, la frammentazione e la disintegrazione dell’adolescenza sia insopportabile e quindi cercano di balzare all’età adulta, avendo figli, guadagnando tanto e dimostrando di non avere paura. La paura la proiettano sugli altri cercando di vivere in questo modo un’onnipotenza pericolosa.

I gruppi, però, non sono stati solo un’osservazione ma anche il tentativo di far confrontare i membri con altri modi di pensare e di dare contenuti alle loro affermazioni. E così sono stati impegnati con operatrici specializzate (psicologa ed educatrice) nella lettura di articoli e libri, nella visione di cortometraggi, in incontri con autori e registi. In particolare, attraverso l’utilizzo di tecniche di drammatizzazione si è cercato di smuoverli dalle loro posizioni radicali per determinare un aumento dell’empatia e della fiducia in se stessi. Obiettivi del gruppo non sono il convincimento ed il condizionamento ma offrire la possibilità al soggetto di ritrovare la possibilità di pensare, avere una libertà di scelta, maturare un senso critico ed una fiducia nel cambiamento che è possibile solo quando ci si prende cura autenticamente di sé. Tale esercizio emotivo è di fondamentale importanza per i giovani autori di reato, i quali spesso realizzano quel distacco emotivo forte che gli impedisce di provare le emozioni della vittima e quindi realizzare l’azione deviante. Lavorare sull’empatia significa credere prima di tutto che questi ragazzi hanno risorse emotive importanti, dove occorre pro- vare a scongelarle e fluidificarle in modo che l’aspetto emotivo si integri nella loro personalità.

Un giovane dopo questi esercizi ha detto “ma se lavoriamo sull’empatia come li facciamo i reati?”. Non vi è dubbio, quindi, che la dimensione del gruppo con l’integrazione degli agenti penitenziari nella fase matura del lavoro abbia funzionato come strumento multidisciplinare. L’attività svolta ha avuto una ricaduta anche rispetto al tipo di relazione che s’instaura solitamente tra gli operatori penitenziari e le persone detenute. Quasi sempre la relazione individuale, per il fatto stesso di essere tale, non consente di sperimentare modalità trattamentali capaci di creare momenti esperienziali di riflessioni e confronto costruttivo tra i ragazzi, con la presenza matura dell’adulto, e tra operatori e ragazzi in uno spazio garantito emotivamente, anche all’interno di un istituzione rigida come il carcere.

Un aspetto significativo della strutturazione dei gruppi è stato quello di far vivere ai ragazzi la dimensione del dentro e del fuori adottando come metodo didattico la riflessione su tematiche specifiche secondo le direttive del D.P.R. 448/88, comprendendo come il processo penale minorile rappresenti un momento di riflessione e di opportunità di esperire buone relazioni che possono dare esiti positivi anche in momenti successivi nella crescita del minore.

 

 

Questo contributo appare su L’Eclettico per gentile concessione delle autrici: 

 

Celeste Giordano, Psicologa Psicoterapeuta ambulatoriale ASl Benevento Istituto Penale per minorenni di Airola – Bn;

Rosa Vieni, Funz. della Prof. Pedagogica, Istituto Penale per minorenni di Airola – Bn;

 

 

* Contributo già apparso su “Network Medical – La rivista del medico specialista ambulatoriale”, Aprile 2018.