Per uno Stato, specialmente in una realtà integrata come quella del XXI secolo, è vitale avere una buona collocazione internazionale perché questa garantisce la forza necessaria durante i negoziati o nelle trattative, ma anche perché porta maggiori investimenti e stabilità.

Tra tutti i problemi che affliggono l’Italia, il rischio di un ulteriore indebolimento della nostra posizione internazionale è forse quello più sottovalutato.

Con alcuni esempi risulterà più chiaro ciò che voglio dire.

Nel 2008, grazie alla mediazione di Sarkozy, Naval Group e la brasiliana Odebrecht hanno siglato un contratto dal valore di 6,7 miliardi di euro per la costruzione di un cantiere navale, una base e cinque sottomarini classe Scorpène, vale a dire il massimo dei sottomarini d’attacco convenzionali che la Francia esporta. Per Naval Group si è trattato del più grande contratto con maggior trasferimento di tecnologia mai negoziato. Il 20 febbraio di quest’anno è iniziata la fase di assemblaggio del primo sottomarino: Riachuelo. Ma questa non è che una prima tappa che porterà, probabilmente, alla creazione del primo sommergibile nucleare brasiliano, sempre in partenariato con Naval Group. Questa operazione ci dice due cose: la prima è che il Brasile entrerà, nonostante tutti i suoi problemi politici, nel club ristretto di paesi che possiedono un sommergibile nucleare, vale a dire Stati Uniti, Cina, Francia, Gran Bretagna, India e Russia; la seconda è che un governo forte e stabile è in grado di creare accordi internazionali che aumentano la ricchezza del proprio paese e di rilanciarli nel tempo.

L’Italia, pur non disponendo di tecnologia militare nucleare, è all’avanguardia nel settore della difesa grazie a Leonardo e Fincantieri: le possibilità di concludere contratti simili alla Francia le ha, ma gli manca un governo capace di farlo.

Altro esempio: il 25 aprile, dopo un paio di anni di trattative, è stato annunciato il lancio della cooperazione fra Airbus Defense Et Space e Dassault Aviation per lo sviluppo dello SCAF, Sistema di Combattimento Aereo Futuro. La collaborazione mira a realizzare il successore del caccia Eurofighter Typhoon – costruito con un consorzio di cui fa parte anche l’Italia – e del Rafale –costruito dalla Francia. Si tratterà di un caccia di quinta generazione, stealth e con una tecnologia tale da gestire dei droni che potranno volare in formazione con lui. È chiaro che questa operazione porterà un guadagno ai due paesi che l’hanno creata, vale a dire Francia e Germania che così hanno consolidato l’asse stabilito durante l’incontro del luglio 2017 tra Macron e Merkel.

La debolezza italiana e la Brexit hanno favorito  il consolidamento dell’asse, come del resto la decisione di acquistare gli F-35 ha messo automaticamente fuori dal progetto l’Italia. Anche in questo caso, quindi, vista la debolezza, ultimamente l’assenza, talvolta la scarsa preparazione del governo italiano, la penisola pur avendo delle possibilità di partecipare è rimasta fuori dai giochi.

Ancora, nel 2017 il governo Gentiloni annunciò una missione dell’esercito italiano in Niger per controllare i flussi migratori. Dopo una serie di fasi convulse che hanno portato alcune voci del governo nigerino a non dare l’autorizzazione a tale missione – anche se il governo italiano smentisce – ad oggi non si sa ancora se i militari italiani si recheranno in loco oppure no. Ciò va probabilmente a vantaggio dei francesi che sono presenti nell’area dello Sahel – precisamente in Mali, Chad, Burkina-Faso, Mauritania e Niger per l’appunto – con la missione Barkhane di contrasto ai gruppi jihadisti presenti nell’area. La questione è, comunque, poco chiara anche sul versante d’oltralpe, considerando che il contingente francese vorrebbe liberarsi dell’onere dell’addestramento delle forze locali.

Operare nel Niger, da cui transitano molti migranti, dovrebbe essere una priorità per il governo italiano: stupisce, in questo senso, il fatto che 5 stelle e Lega siano contrari all’operazione. A ciò possiamo aggiungere l’assurda pretesa del contratto di governo che vorrebbe rivalutare la presenza dei contingenti italiani all’estero, uno strumento con cui l’Italia ha consolidato la propria posizione nell’ambito internazionale. Manlio Di Stefano dei 5 stelle ha chiamato in causa la trita solfa dell’Italia che dovrebbe impiegare i propri militari «solo per missioni di assistenza a popolazioni in difficoltà». Considerando che Di Stefano è l’ex capogruppo dei 5 stelle alla Camera per la commissione Esteri si comprenderanno i miei riferimenti all’impreparazione della classe politica italiana visto che i nostri soldati sono impegnati in missioni umanitarie.

Ancora, Di Battista tuonò che la presenza dei militari italiani in Kosovo sarebbe un fallimento, eppure proprio la presenza nel paese dei soldati italiani contribuisce ad evitare nuove escalation, così come in Libano i militari italiani godono di stima per il ruolo di mediazione e di comando di tutta la missione UNIFIL.

Proprio UNIFIL è stata attaccata dalla Lega che sosterrebbe che la missione sarebbe per noi inutile perché l’Italia non vi conterebbe nulla. Sono convinto che il lettore, dopo aver saputo del ruolo di leadership di cui godiamo in tale missione, si renderà conto della folle menzogna insita nelle parole leghiste.

Sempre sul Libano possiamo aggiungere che, in caso di conflitto, i riverberi della crisi ci coinvolgerebbero vista la nuova presenza di migranti provenienti dal paese e che la competenza e la serietà dimostrate in queste missioni aumentano la nostra forza diplomatica.

Vedremo che cosa dirà il nuovo governo del fatto che la NATO ha affidato la difesa aerea del Montenegro, privo di velivoli militari, all’Italia e alla Grecia – ciò è dovuto alla vicinanza della base di Gioia del Colle alle coste montenegrine, solo 200 km, ma anche all’eccellenza della nostra aereonautica militare. Vorranno mettere in questione anche questa missione?

Passiamo adesso alla Libia: sfruttando il recente vuoto di governo italiano, Macron si è inserito come mediatore all’interno della crisi libica riunendo le parti in causa a Parigi portandole ad un accordo per il voto il 10 dicembre. Quando Gentiloni era ministro degli Esteri le riunioni per risolvere la crisi libica erano tenute a Roma. Possiamo ritenere scorretto o giusto il comportamento del presidente francese, che in ogni caso fa il suo gioco e così risolve un problema anche a noi, ma non credo che recriminare porterà a qualcosa. Piuttosto sarebbe utile avere un ministro degli Esteri competente.

Riguardo il problema dei migranti: in molti, in Italia, ne chiedono una soluzione. Ma anche in questo caso, come pensiamo di poterci sedere ad un tavolo negoziale per la riforma del regolamento di Dublino senza un governo forte e, soprattutto, stabile? Un governo, quello italiano, che al momento è composto da euroscettici che in passato hanno spesso attaccato la Commissione e l’Europarlamento, due istituzioni – tra l’altro elette e non di tecnocrati messi lì da chi sa chi, ma se volete saperne di più cliccate qui – che stanno lavorando per la riforma del regolamento di Dublino, a differenza dei singoli Stati che vi si oppongono. Dunque, mi chiedo, come pensiamo di avere ancora l’appoggio di due così importanti istituzioni governative –elette anche da noi, lo ribadisco-, se chi è al governo le attacca continuamente facendone il capro espiatorio di tutti i difetti della penisola?  Come pensiamo di avere buone relazioni con l’Europa se al ministero dei rapporti con l’UE mettiamo un uomo come Savona, che per di più ha 82 anni, il che significa che se il governo arrivasse a fine legislatura sarebbe un ministro di 87 anni?

Non scordiamoci, infine, che il neo ministro dell’Interno Matteo Salvini, dopo aver saltato la riunione con i suoi omologhi a livello europeo ma prima ancora di ricevere la fiducia dal Senato, ha creato una crisi diplomatica con la Tunisia, paese chiave sia nel controllo dei flussi migratori che del terrorismo.

Nonostante il buon curriculum del nuovo ministro degli Esteri e del nuovo ministro della Difesa, non basteranno due politici a garantire un progetto coerente di lungo periodo in campo internazionale viste le contraddizioni insite nei 5 stelle e nella Lega. Per di più l’Italia non è certo un paese che, dal secondo dopo guerra, ha una omogeneità e un consenso tra i suoi cittadini per ciò che concerne le questioni di difesa e di politica internazionale – e forse sarebbe l’ora di fare un po’ d’analisi e rimettere in discussione certi bastioni che bloccano i lavori degli Esteri e della Difesa.

La situazione italiana quindi già non era forte in partenza, anche se negli ultimi cinque anni si era rafforzata: il vero problema sta nell’ancor più traballante collocazione dell’Italia nello scacchiere internazionale. Un problema da cui potrebbe salvarci l’Europa, ma un’Europa capace di creare fratellanza, integrazione tra sistemi politici e sociali e di difesa oltreché economici.

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