L’utilizzo dei pentiti, se svolto in maniera seria e professionale da parte delle autorità investigative, si rivela un’arma efficace nella lotta alle mafie. Un caso che ha fatto scuola è stata la fruttuosa collaborazione instauratasi nel corso degli anni ‘80 tra Tommaso Buscetta e Giovanni Falcone. Il 16 luglio del 1984, il “boss dei due mondi” – come veniva chiamato all’interno di Cosa Nostra – iniziò le sue prime rivelazioni dinanzi al magistrato palermitano, al giudice Geraci e al dirigente della Criminalpol laziale Gianni De Gennaro.
Buscetta sosteneva che i principi ispiratori della mafia siciliana erano stati travolti dalla ferocia dei suoi acerrimi nemici, i Corleonesi di Salvatore Riina. Essi sarebbero stati responsabili di una trasformazione irrimediabile dell’organizzazione, in un’associazione criminale della peggior specie in cui il pentito non si riconosceva più.
Si trattava di un’affermazione alquanto pretestuosa, un tentativo di suddividere la mafia tra “buoni” e “cattivi”. Una difesa dello schieramento cui Buscetta faceva riferimento, quello uscito perdente dalla “seconda guerra di mafia”, capeggiato da boss del calibro di Gaetano Badalamenti, Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo.
La mafia è sempre stata la stessa, fin dalle origini. Ha resistito alle trasformazioni e ai cambiamenti della società che si sono susseguiti nel corso del tempo, dimostrando una grande capacità di adattamento. Non è esistita alcuna moralità particolare prima dell’ascesa di Riina. Le uccisioni tra uomini d’onore non furono una novità introdotta dai Corleonesi, anche se con essi assistiamo a picchi di violenza interna eccezionali per la storia del sodalizio criminale. E, indubbiamente, l’assassinio di numerosi uomini dello Stato in quegli anni, rappresenta un unicum per la storia di Cosa Nostra, quasi sempre deferente nei confronti dell’autorità, vista come soggetto interlocutore e importante nodo di relazioni sociali.
Buscetta, nonostante la sua qualifica di soldato semplice della famiglia mafiosa di Porta Nuova, vantava una lunga esperienza all’interno dell’universo di Cosa Nostra, permettendo così a Falcone di ricostruire la struttura e le gerarchie di potere allora vigenti nella mafia siciliana.
Le confessioni del pentito, come si può dedurre, riguardavano solamente fatti e situazioni inerenti ai suoi nemici. Buscetta aveva quindi gioco facile a ricostruire le gerarchie allora vigenti, dato che i detentori delle chiavi di comando interno facevano riferimento agli “odiati Corleonesi”.
Ma grazie all’abilità di Falcone, tali informazioni vennero verificate e inserite in un contesto molto più ampio, permettendo lo sviluppo di una visione d’insieme su Cosa Nostra.
Uno sviluppo in grado di rendere più comprensibile un’organizzazione criminale che esisteva da prima dello Stato italiano, fino allora temibile e sconosciuta. Rimase temibile chiaramente, ma perlomeno priva di quell’alone di mistero e segretezza che l’aveva favorita nel corso dei decenni. Se la parola mafia veniva utilizzata per indicare tutto e il suo contrario, i mafiosi stessi non potevano che rallegrarsi: le loro attività rimanevano occulte e l’associazione di cui facevano parte una cosa che esisteva solamente nella testa di qualche magistrato o in dibattiti accademici tra sociologi.
L’apporto decisivo della collaborazione di Buscetta, a mio avviso, è da ricercare in questo. Grazie alle sue parole fu possibile a Falcone e ai suoi colleghi del pool antimafia redarre l’istruttoria che diede il via al Maxiprocesso (1986).
Si trattò indubbiamente di una collaborazione tra pentito e autorità investigative andata a buon fine. Esemplare per i risultati conseguiti e le modalità di svolgimento.
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Cofondatore de L’Eclettico e giornalista professionista. Mille pensieri, tanta curiosità e voglia di mettersi in discussione. Scrivo, ascolto e leggo (parecchio). Mi sono laureato in Storia e ho avuto la possibilità di studiare la criminalità organizzata, tema di cui mi occupo con frequenza. Per lavoro seguo in maniera ossessiva la politica e tutto ciò che vi ruota attorno. Ogni tanto però mi concedo una pausa, qualche viaggio all’estero o in Italia. Al mio fianco ho sempre un sottofondo musicale: il rap.