Visto l’evolversi degli eventi nella penisola coreana c’è chi si chiede se a questo punto non sia possibile una riunificazione delle due coree.

È vero che il futuro non è già scritto e che in una certa misura tutto può accadere, ma in base ad un’analisi della situazione attuale è possibile fare delle previsioni.

La penisola coreana è divisa dal 27 luglio 1953, quando terminò la Guerra di Corea, in due entità statali profondamente differenti tra di loro. Durante questo lungo arco temporale le due coree hanno avuto una evoluzione economica, sociale e politica diversificata.

Il Nord è sotto un regime dittatoriale di ispirazione comunista. La guida del partito così come quella del paese è sempre stata tenuta dalla famiglia Kim, quella dell’attuale capo di Stato Kim Jong-un, motivo per cui si può dire che si tratta di una dittatura dinastica. Il regime è tutt’ora impenetrabile alla maggior parte dei visitatori e gli stessi coreani del nord non ottengono facilmente permessi per recarsi all’estero, né sono ben a conoscenza di che cosa accada al di fuori dei propri confini. L’economia nord coreana è inoltre arretrata e pesantemente indebitata, in parte anche a causa delle sanzioni e degli embarghi, a differenza di quella del Sud che è invece più dinamica ed integrata all’interno del commercio globale.

Il Sud è una democrazia, possiede università come quella di Seul che sono riuscite a guadagnarsi un nome di rilievo ed è una realtà integrata nel panorama globale. Per questi motivi, nonostante i coreani auspichino una riapertura delle frontiere e la fine del dramma di amicizie e famiglie divise, al Sud non tutti sperano in una riunificazione che porterebbe al doversi far carico della arretrata economia del Nord.

La Corea del Sud così come la conosciamo oggi è inoltre frutto di una storia travagliata, caratterizzata da alcuni colpi di stato e proteste di studenti e cittadini per avere la democrazia. L’esempio più famoso è forse il Massacro di Gwangju quando una rivolta scaturita dalle proteste di professori e studenti contro l’allora capo di Stato Chun Doo-hwan venne repressa nel sangue dall’esercito il 18 maggio 1980. Le ultime proteste, invece, risalgono al 2017 quando la Corte costituzionale votò all’unanimità la fine del mandato della presidente Park Geun- hye, accusata di corruzione, che portarono a violenti scontri tra i suoi sostenitori e la polizia nelle strade di Seul.

Se la riunificazione non è largamente auspicata dai cittadini del Sud non lo è neanche dagli attori internazionali.

Per la Cina, dopo il lancio della Nuova via della seta, è importante la stabilità globale. Ciò significa che le minacce alla stabilità vengono depotenziate senza però andare a mutare la presenza delle entità statali presenti. Detto in termini più semplici: con una riunificazione una delle due coree dovrebbe necessariamente mutare forma e adeguarsi a quella voluta dall’altra, aspetto che probabilmente costituirebbe un ulteriore terreno di scontro.  Per la Cina è necessario preservare un alleato che si dichiara comunista, alleato che deve però essere meno imprevedibile e bellicoso. Un discorso simile vale per gli Stati Uniti nei confronti della Corea del Sud: questa deve rimanere non comunista.

Una riunificazione, inoltre, creerebbe un pericoloso precedente per paesi come Taiwan e potrebbe portare nuove instabilità nel sistema di equilibri regionali e globali.

Quello che potrebbe accadere al Nord sarebbe un mutamento nella forma del regime che potrebbe diventare simile a quello cinese o a quello vietnamita. Ciò converrebbe anche a Kim Jong-un che così avrebbe la possibilità di porre fine all’isolamento e avere una crescita economica; inoltre gli permetterebbe sia di mantenere un saldo controllo sia di dar sfogo alle sacche di malcontento presenti nel paese.

I regimi dittatoriali stanno mutando forma rispetto al passato. Non solo al giorno d’oggi si assiste ad una maggior presenza di democrazie autoritarie ma gli stessi regimi, come quello cinese, hanno una commistione equilibrata tra repressione, propaganda ed apertura nell’ambito economico, politico e culturale con il resto del mondo che gli permette di aumentare il proprio soft power necessario a preservare la propria forza nel campo internazionale.

Si potrebbe portare ad esempio la Germania per sostenere la tesi della riunificazione, ma non sarebbe calzante. Innanzitutto i contesti storici sono profondamente mutati. Durante la Guerra Fredda la Germania è stata il terreno di scontro iniziale e finale: lì la Guerra è iniziata e lì è finita. Stati Uniti e Unione Sovietica ritenevano che la risistemazione dell’Europa in base ad uno dei loro due modelli proposti avrebbe condizionato l’andamento dell’antagonismo globale. La Guerra di Corea fu fatta invece perché si temeva un effetto domino – una “caduta” a cascata degli Stati della regione nel comunismo. I governi tedeschi, inoltre, avevano tentato dei riavvicinamenti e la popolazione era favorevole alla riunificazione anche perché si profilava l’Unione Europea che in parte si fece carico e aiutò a riequilibrare le due economie e le due società.

I coreani hanno condotto vite separate per quasi settanta anni. Ciononostante prima della divisione del 1953 la Corea è rimasta unita per più di un millennio, aspetto che viene ricordato in entrambe le entità statali così come la resistenza all’invasione giapponese del 1905 costituisce un terreno comune per il nazionalismo. Considerando questi aspetti e la volontà del sistema internazionale guidato da Stati Uniti e Cina è probabile che ci siano aperture, scambi e una pacificazione – le due coree sono tecnicamente ancora in guerra – ma non una riunificazione, perlomeno nel breve periodo.

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