C’è il sole oggi ma non è caldo come ieri, un venticello leggero non ti fa sudare. Si sta bene fuori, nel sole che ancora non scotta, mentre mi dirigo dal giornalaio.
Arrivato dal mio giornalaio scopro che è chiuso, non so perché. Tipetto simpatico il mio giornalaio, bassino sorride sempre. Ha il suo chiosco tra l’incrocio di casa e Parc Monceau. È un uomo sulla sessantina, sordo con l’apparecchio acustico, che chiude sempre e stranamente verso l’ora di pranzo, quando c’è più movimento. Ha sempre un cappello di pelo sul capo, come quelli che usano nell’Europa dell’Est o in Russia. Lo trovi spesso che legge, talvolta in yiddish. Chiacchiera e ascolta volentieri: si vede che è una persona gentile. Credo che nel chiosco non abbia il riscaldamento visto che d’inverno se ne sta sempre tutto bardato. Di certo non sta comodo, tanto più che il suo avamposto è sotto dei platani che gli danno allergia e infatti la scorsa settimana è finito all’ospedale per questo motivo. Chiacchieriamo sempre un pochino quando al mattino, prima di andare all’Università, mi fermo da lui a prendere il giornale. Ma questa mattina dovrò fare a meno della mia chiacchierata e cercare il mio giornale da un’altra parte, così mi dirigo verso gli Champs-Élysées.
Il sabato mattina c’è una tranquilla attesa nell’isolato tra casa mia e gli Champs-Élysées. È un mondo che attende l’inizio di un altro giorno uguale a se stesso, cercando di trastullarsi ancora un po’ nel tepore tra il crepuscolo ed il nuovo.
Tra le vie i locali si preparano per l’apertura: l’italiano, il cinese, il libanese, il francese. Fuori da quest’ultimo un grosso uomo di colore, grembiulino bianco e braccia incrociate, parla con un altro uomo in una BMW sportiva. L’uomo di colore ha una faccia corrucciata, non si capisce se è preoccupato o concentrato. Poco più in là, nell’intercapedine di un parcheggio sotterraneo, uno spacciatore ridendo dà la dose giornaliera ad un cameriere. Un ragazzo tra due transenne cerca di togliere con i denti il cartellino magnetico dagli shorts, è in mutande. L’arabo di turno parla al telefono preoccupato. Dal libanese le ballerine stanche dalla nottata escono fuori alla luce del giorno: per loro la notte arriva quando per gli altri finisce.
Tra di loro nessuno si guarda e nessuno li osserva.
Finalmente arrivo sugli Champs, quella maledetta stradona di cattivo gusto nel cuore di Parigi che se fossimo stati in un paesino sarebbe stato niente più che il corso. Il chiosco di giornali mi si para davanti con una musichetta araba che sembra uscire dalla carta. Il ragazzetto arabo è gentile, si vede che sta tentando di far spuntare la barba adulta.
Poco più in là la targa del poliziotto ucciso nell’attentato l’anno scorso.
Inizio a rientrare passando dalla via più breve: all’angolo un nord africano si è messo per terra coprendosi con un piumino a chiedere le elemosina. Due turiste orientali gli danno subito qualche spicciolo. Poco più in là il suo compagno che se ne stava andando lo appella in francese per prenderle in giro: la loro è tutta una montatura.
Entro nella strada che porta a casa. Dalla porta laterale di un locale iraniano escono due zingare rinfrancate con già il bicchiere di carta tra le mani, pronte a chiedere le elemosina. Parlano e ridono tra loro, mi guardano. Dall’altro lato della strada il solito barbone che si siede accanto al bancomat per chiedere elemosina si prepara ad iniziare una nuova giornata di lavoro.
Proseguo, alzo gli occhi al cielo e guardo il giardino pensile illuminato dal sole della sede di Pathé! e sento quello che inizierò a pensare una volta a casa: che Parigi col sole è proprio bella. Ma ora, per strada, lo sento e basta, come il calore mitigato dal vento.
Una nuova BMW sportiva per chi bello vuole apparire distrae prepotentemente la mia attenzione irritandomi. Un giovane arabo dall’aria storta si rivela gentile nel chiedermi dove sono le poste, ma io non ho la più pallida idea di dove possa trovarle.
Svolto alla banca e sono al portone di casa: entro ed il bambino della portinaia è già pronto per fare i compiti. Chanel, la sua gatta, mi viene incontro stiracchiandosi: la giornata inizia anche per lei.
Niente è cambiato rispetto a ieri, ma tra la cruda bellezza ed il sole oggi ho più voglia di vivere questa città in questo giorno.
Chiudo la porta entrando dentro casa: la città è pronta per un’altra giornata.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.