I never felt magic crazy as this
I never saw moons knew the meaning of the sea
I never held emotion in the palm of my hand
Or felt sweet breezes in the top of a tree
But now you’re here
Brighten my northern sky.
(“Northern Sky”,1971)
Nel mondo della musica sono tanti gli artisti che hanno raggiunto un successo travolgente, alcuni di essi hanno conquistato l’immortalità, altri invece sono stati rapidamente dimenticati. Poi esiste un’altra categoria di musicisti e di cantautori, ignorati completamente in vita e morti nel quasi totale anonimato. Solo dopo anni, o decenni, questi artisti vengono riscoperti grazie al passaparola di nuovi appassionati e alle possibilità date dai nuovi mezzi di informazione. Uno di questi è certamente Nick Drake, solitario e scostante, sensibile e taciturno cantautore inglese. Oggi, 19 giugno 2018, ricorre il settantesimo compleanno di Nick. Lui però non potrà festeggiarlo, vista la sua prematura dipartita avvenuta il 25 novembre 1974 all’età di 26 anni.
Nick Drake nasce il 19 giugno 1948 a Yangon, in Birmania, dove la sua famiglia si trovava per lavoro (suo padre Rodney era un ingegnere e commerciante di legname). Fino all’adolescenza ha vissuto con i genitori a Far Leys, una grande villa a due piani coperta di mattoni rossi, in un piccolo paesino fra le colline del Warwickshire, a sud di Birmingham. A differenza di altri geni artistici, l’infanzia del cantautore inglese trascorse felice e gli anni della scuola passarono spensierati: Nick era un ottimo alunno, eccelleva nello sport (praticava il rugby e l’atletica leggera con buoni risultati). Grazie anche alla sua avvenenza fisica: lunghi capelli neri, alto 1 90 e un look ricercato. Era molto popolare a scuola, tanto che tra medie e liceo venne eletto più volte capoclasse. Sembrava essere il tipico adolescente di “successo” ma a Nick non interessava la popolarità, perché era un ragazzo molto riservato e introverso. Con aria seriosa e vagamente fra le nuvole, Nick passava gran parte del suo tempo a leggere: Blake, i poeti maledetti francesi Rimbaud e Baudelaire, ma anche i poeti romantici inglesi come Keats, gli esistenzialisti, Sartre, Camus erano i suoi scrittori preferiti. Oltre ai libri Nick aveva un altro grande amore, la musica. Il giovane artista inglese spendeva giornate intere suonando la sua chitarra acustica, una Martin D28 mentre contemporaneamente nella sua stanza la radio suonava i suoi artisti preferiti: tanto folk (Martin Carthy, Davey Graham, Bert Jansch e John Renbourn), blues (Odetta) e jazz (Miles Davis), ma anche Beatles e Rolling Stones. In pochi anni, grazie ad un maniacale costante perfezionamento, Nick diventò un virtuoso, con la chitarra riusciva a fare ciò che voleva. L’obbiettivo di Drake non era però quello di entrare a far parte di un gruppo e fare delle cover di altri artisti: imparò a suonare uno strumento solo per dare un suono ai testi che aveva scritto ed alle sue emozioni che non riusciva ad esprimere altrimenti.
L’esordio musicale di Nick Drake avviene con l’album, Five Leaves Left nel 1969, protagonista assoluta di questo primo disco è la voce sussurrata di Nick, che intona capolavori malinconici ed intimisti come Time Has Told Me, Way To Blue e Thoughts of Mary Jane. Five Leaves Left non ottiene nessun riconoscimento da parte del mercato. Il carattere a tratti ermetico e la tristezza delle sue canzoni risultò incapace di conquistare le orecchie distratte di un pubblico giovanile irrequieto. L’album rifletteva appieno il carattere del cantautore ed è certo che l’estrema timidezza di Drake non favorì il successo del suo primo lavoro musicale. Nick si esibì un paio di volte, ma in entrambe scappò via a metà concerto, disturbato e offeso dal brusio del pubblico che parlava ad alta voce, beveva e chiacchierava durante le sue performance. La sua musica aveva bisogno di silenzio e di tempo ma il pubblico invece di assecondarlo, si prendeva quasi gioco di quel ragazzone che si limitava a sedersi sul palco e cantare fissando un punto fisso nel pavimento, senza aggiungere una parola; per contro, la sensibilità di Nick era urtata dalla superficialità della gente, che non riusciva a comprenderlo.
Nel 1970 uscì il secondo album, Bryter Layter che si rivelò un altro fiasco commerciale. Nick amareggiato e disilluso, passava le giornate chiuso in casa a leggere, o peggio, a fissare il soffitto in silenzio, immerso in una apatia senza fine, smise pure di lavarsi e si disinteressò completamente del suo aspetto fisico, ormai irriconoscibile sembrava un clochard che vaga senza meta. A soli 24 anni, Drake è un giovane uomo completamente distrutto dai suoi fantasmi interiori, ma più che del suo destino, Nick è tormentato dall’idea di non essere riuscito a comunicare, ad esprimere agli altri la meraviglia del suo magico e sanguinante universo interiore. Un pensiero fisso, paralizzante, che sarebbe diventato realtà se non avesse avuto la forza per registrare il suo ultimo album, uno dei capolavoro assoluti della storia della musica: Pink Moon. È il 1972 quando Nick compone in poco più di mezz’ora le undici tracce che danno vita al suo testamento artistico, in soli 26 minuti riesce a raccontare tutta la sua angoscia. Le canzoni di Pink Moon sono essenziali, scarne, penetrano direttamente nell’anima attraverso un dialogo intimo tra le note della chitarra e la voce flebile ma sempre cristallina di Nick. Con questo album Drake si congeda dal mondo, ormai ha smesso di credere nella gente, è rassegnato nel considerarsi incompreso, parassita di quella società del dopo Woodstock che non crede più in alcun sogno e che rigetta gli outsider. Con l’ultimo brano di Pink Moon, From The Morning, Nick Drake dà l’addio alla sua tormentata esistenza attraverso una poesia sul risveglio mattutino, sospeso fra realtà e paradiso, dove la morte non è un avvenimento nefasto, ma una premessa mistica di rinascita universale:
And now we rise
And we are everywhere
And now we rise from the ground
And see she flies
And she is everywhere
See she flies all around.
Due anni più tardi, quel 25 novembre 1974, verso mezzogiorno, Nick Drake venne trovato morto dai genitori nella sua camera da letto, ucciso da una dose eccessiva di antidepressivi che il cantautore assumeva ogni giorno. Sul giradischi, la notte del suicidio di Nick, suonava un disco di Bach mentre sul comodino, giaceva aperta una copia de Il Mito di Sisifo di Albert Camus, libro nel quale si riconosce l’assurdità dell’esistenza.
Nick era un uomo sensibile e meditabondo, un’anima bella e completamente incapace di integrarsi con il brusio indistinto del mondo, ma destinata a restare in disparte, un alieno. La sua intelligenza emotiva, unita a una sensibilità superiore, gli hanno permesso di elevarsi verso altri “mondi” distanti da quella realtà che gli risultava così opprimente, ed è così che Nick Drake se ne è andato, lasciando a noi la scoperta di tutta la meraviglia della sua poetica.
Le Poète
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l’empêchent de marcher.
“L’albatros” 1857, Les fleurs du mal, Charles Baudelaire.
A cura di: Cristopher Palavisini.
© Riproduzione riservata
Molto interessante quest’ultimo articolo. È bello conoscere e imparare qualcosa di autori che non sono alla portata di tutti. Che il mondo dimentica. In un mondo nel quale non tutti comprenderanno la grande sensibilità artistica di quest’uomo. Una vita musicale frastagliata, con una fine tutt’altro che lieta, ma da rockstar. Complimenti anche per il sito ben organizzato e agli autori. Ma soprattutto all’articolista Cristopher Palavisini che dimostra di avere una cultura musicale e letteraria di un grandissimo livello.
Grazie mille per i complimenti Giuseppe. Ci fa piacere ricevere un feedback positivo per il nostro portale e l’articolo di Cristopher.
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