30 marzo 1973. Un uomo si presentò spontaneamente dinanzi alla Squadra Mobile di Palermo: aveva preziose informazioni e confessioni da fare. Quell’uomo era Leonardo Vitale, soldato semplice di Cosa Nostra e passato alla storia come il primo pentito della mafia siciliana.
Affiliato nella famiglia mafiosa di Altarello di Baida (Palermo), già all’età di 13 anni, a causa della morte prematura del padre, subì l’influenza dello zio (anch’egli mafioso), il quale decise di mettere subito alla prova il suo valore. Intorno ai 16 anni, fu costretto a uccidere prima un cavallo, successivamente un uomo. Nel 1969 l’uccisione di un altro esponente della criminalità gli valse un incremento di prestigio, così che lo zio cominciò a rivelargli nuove informazioni sull’organizzazione. Fino al momento in cui non diventò un affiliato di Cosa Nostra. Vitale scelse questa strada non soltanto per ragioni che potremmo definire familiari: egli era afflitto da una forte instabilità mentale, iniziata già in tenera età. Inoltre, il ragazzo a quei tempi nutriva incertezze riguardo la propria virilità, pensava di essere un pederasta e accusava Dio di avergli inculcato questi complessi.
Il mafioso decise di collaborare con le autorità perché stava attraversando una forte crisi religiosa e intendeva ricominciare una nuova vita. Si riconobbe autore di due omicidi, di un tentato omicidio, di un sequestro e di reati minori. Inoltre denunciò i colpevoli di altre uccisioni e descrisse la struttura di una famiglia tipo mafiosa, spiegando l’esistenza della Commissione, una sorta di esecutivo interno, composto dai capi delle principale famiglie palermitane, di cui le autorità non sapevano nulla all’epoca. I funzionari rimasero sorpresi da tali informazioni e allo stesso tempo sospettosi. Nel 1973, un magistrato inquirente invitò allora un gruppo di specialisti di psichiatria criminale al carcere dell’Ucciardone allo scopo di accertare se il “pentito” fosse sufficientemente sano di mente e credibile. Vi erano però forti segni di una certa fragilità interna. Nello stesso anno in cui si consegnò alle autorità, durante una settimana passata in carcere perché sospettato di un sequestro di persona, Vitale si cosparse con i propri escrementi. La spiegazione che diede al gesto era che gli serviva per differenziare le cose brutte da quelle che non lo erano. Per lui le cattive azioni erano quelle compiute in passato per conto della mafia, e non questi gesti che non potevano recare danno alle persone. Rivelare i segreti dell’organizzazione, a parer suo, gli avrebbe permesso di lasciarsi alle spalle il passato e le relative angosce.
I gesti e le stranezze indussero i magistrati a ordinare un’ulteriore perizia psichiatrica: Vitale venne dichiarato in stato di semi – infermità mentale. Per questo le sue dichiarazioni furono considerate inattendibili e dei quaranta arrestati a seguito delle sue rivelazioni, gli unici ad essere condannati nel 1977 furono lui e suo zio Giambattista.
L’uomo d’onore di Cosa Nostra subì una condanna, da scontare in gran parte nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto. Dopo undici anni di detenzione nel 1984 fu rilasciato e potè tornare a casa. Tornato in libertà ricominciò a professare la sua profonda fede religiosa, dedicandovisi completamente. Il 2 dicembre dello stesso anno venne assassinato con due spari alla testa da un uomo mai identificato, mentre usciva dalla Chiesa dopo la messa con la madre e la sorella. Cosa Nostra non gli perdonava le sue affermazioni e il “tradimento”.
Vitale, come abbiamo detto all’inizio, è stato definito il primo pentito della storia della mafia siciliana. Tale espressione veniva (e tuttora lo è) utilizzata spesso da giornalisti e opinionisti. Personalmente ho qualche dubbio su questa affermazione. Fin dall’esistenza del sodalizio criminale, i mafiosi interloquivano con poliziotti e magistrati: l’obiettivo era quello di screditare i rivali interni e distrarre le autorità dai propri affari. Vitale rientrava in una lunga tradizione di “pentiti”, se intesi in tale maniera. Una lunga tradizione che risaliva almeno alla prima metà dell’Ottocento, con i primi mafiosi confidenti di uomini delle Questure o funzionari di Pubblica Sicurezza. Ciononostante l’uomo d’onore della famiglia di Altarello di Baida ebbe il merito di rivelare numerosi fatti inerenti alla struttura interna di Cosa Nostra, come ad esempio la suddivisione del sodalizio criminale in famiglie e l’esistenza della Commissione. Gran parte di questi informazioni verranno poi confermate da successivi collaboratori di giustizia come Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno.
Le parole di Vitale rimasero lettera morta per molti anni: quelli necessari allo Stato per sviluppare una seria lotta alla mafia. La sua pazzia (o presunta tale) si rivelò marginale rispetto a una patologia, più diffusa e gravosa di conseguenze, ben presente all’interno delle istituzioni di allora: la miopia.
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Cofondatore de L’Eclettico e giornalista professionista. Mille pensieri, tanta curiosità e voglia di mettersi in discussione. Scrivo, ascolto e leggo (parecchio). Mi sono laureato in Storia e ho avuto la possibilità di studiare la criminalità organizzata, tema di cui mi occupo con frequenza. Per lavoro seguo in maniera ossessiva la politica e tutto ciò che vi ruota attorno. Ogni tanto però mi concedo una pausa, qualche viaggio all’estero o in Italia. Al mio fianco ho sempre un sottofondo musicale: il rap.