Quando sfoglio un quotidiano cartaceo o scorro l’homepage di una testata online l’idea preliminare che abbozzo nella mia mente è che in Italia vi siano dei problemi, quali lavoro e immigrazione (un’emergenza”! n.d.r.), viste come priorità assolute dal nostro governo. Quanto questi problemi siano vasti non spetta a me dirlo in queste righe, anche se occuparsi solamente di tali problemi (come fanno media e classe dirigente) solleva un problema più grande, dettato dall’assenza di una questione che meriterebbe più spazio: la legalità. Assenza in primis ingiustificata per tutte le implicazioni negative che derivano dall’illegalità diffusa sull’economia italiana. E, in secondo luogo, irrispettosa per chi, 39 anni fa, è stato ucciso solamente per averla servita e compiuto il senso del dovere, nel termine più alto possibile: l’avvocato Giorgio Ambrosoli.

Ambrosoli nacque il 17 ottobre 1933, da una famiglia della borghesia milanese, politicamente vicina agli ambienti monarchici. Studiò Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano , specializzandosi in diritto fallimentare, una competenza che gli sarà di aiuto nel 1974, quando verrà chiamato dall’allora governatore della Banca d’Italia Guido Carli a investigare in qualità di commissario liquidatore sulle attività della Banca Privata Italiana. Quest’ultimo, non era un istituto creditizio qualsiasi: apparteneva a Michele Sindona, banchiere legato ad ambienti massonici, mafiosi e politici. In quegli anni, il faccendiere di Patti (il suo luogo d’origine) era un uomo che poteva vantare vaste reti di protezione, sia all’interno dello Stato, soprattutto attraverso alcuni referenti politici come Giulio Andreotti, sia negli ambienti della criminalità organizzata, con l’aiuto della mafia italo – americana e siciliana. Sindona infatti aveva inserito all’interno delle sue società finanziarie gli investimenti illeciti del boss mafioso americano John Gambino e, attraverso la sua persona, dei boss siciliani Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo e Rosario Spatola.   

Da una parte vi era quindi un avvocato 41enne, chiamato a svolgere un ruolo delicato dal governatore della Banca d’Italia, all’interno di un istituto creditizio sull’orlo del fallimento, circondato dalle preoccupazioni dei numerosi creditori. Dall’altra un banchiere privo di scrupoli, autore di fraudolenze bancarie e per nulla intimorito dalle possibili conseguenze delle sue attività, grazie alle rassicurazioni che provenivano da dentro e da fuori dallo Stato.

Durante le sue indagini all’interno della Banca Privata Italiana, Ambrosoli notò come vi fossero irregolarità nei conti e che i libri contabili erano stati volutamente falsati. Le sue scoperte destarono preoccupazioni in vasti ambienti: l’avvocato milanese iniziò a ricevere pressioni e minacce telefoniche di morte da parte di sconosciuti. L’avvocato avrebbe dovuto rivedere le sue ricerche, se non avesse voluto rischiare la sua stessa esistenza. Il senso del dovere era però forte in lui: decise di continuare con l’incarico e a servire la legalità.

In una lettera inviata alla moglie, la signora Anna Lori, scrisse:

Anna carissima,è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese”.

Quasi quattro anni dopo, Ambrosoli avrebbe dovuto sottoscrivere una dichiarazione formale nella quale confermava la necessità di liquidare la banca e l’attribuzione della responsabilità a Michele Sindona. Non fece in tempo a firmare la dichiarazione: venne ucciso il giorno prima, l’11 luglio del 1979. Prima di essere assassinato era a casa sua, a Milano, con alcuni amici a vedere un incontro di boxe. Squillò il telefono e lui rispose, ma dall’altra parte nessuno proferì parola. A fine serata accompagnò in macchina i suoi amici. Mentre stava parcheggiando sotto casa, un uomo si accostò e gli sparò quattro colpi al corpo. Si trattava del mafioso italo – americano William Aricò, ingaggiato proprio da Michele Sindona per l’assassinio, come verrà confermato da una sentenza giudiziaria successiva (19 marzo 1986).

Ambrosoli fu “un eroe borghese”, secondo l’espressione di Corrado Stajano, autore di un testo (da cui è stato tratto uno film diretto da Michele Placido) che vi consiglio di leggere per approfondire le attività che svolse come commissario liquidatore e le trame oscure che si opponevano. Attività che non avevano nulla di eroico, erano semplicemente dettate da un senso del dovere, perchè per l’avvocato milanese si trattava di “un’occasione unica di fare qualcosa per il paese”. Un paese che spesso però, attraverso le parole e gli atti della sua classe dirigente si dimentica della legalità e ha bisogno di punti di riferimento, ignorando così l’importanza di un impegno quotidiano e costante, come quello del commissario liquidatore Ambrosoli nei suoi anni alla Banca Privata Italiana.

 

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