Di questi tempi, la sfiducia colpisce nel mucchio, senza fare distinzioni. Sfiducia nelle istituzioni, incapaci di dare soluzioni ai problemi delle persone. Sfiducia nel “diverso” che viene da lontano, percepito come un pericolo per la sicurezza sociale. E sfiducia nei confronti del giornalista, “bugiardo” e poco credibile. Una specie di “élite colta” che non sarebbe in grado di descrivere la realtà del nostro tempo presente.

La sfiducia verso il giornalismo può trasformarsi in un serio problema per la tenuta di una democrazia pluralista. La sfiducia deriva anche dall’incapacità dimostrata dal giornalismo nel raccontare i fatti e captare i segnali che hanno permesso lo sviluppo di alcuni degli eventi chiave degli ultimi anni: dalla Brexit all’elezione di Trump, dalle elezioni politiche di marzo alla nascita del governo gialloverde. Se oggi molte persone non fanno distinzione tra un articolo di un quotidiano rinomato e un post scritto da un influencer/opinion leader su Facebook, chi dirige i principali media italiani qualche domanda dovrebbe porsela. Troppo facile chiamare in causa l’analfabetismo di ritorno (un problema che esiste) o dare la colpa ai social che premiano i contenuti virali e le fake news. Perché questa maniera di vedere le cose, assolutoria e giustificatrice, rientra tra le fake news. Se il giornalista non viene percepito più come un professionista dell’informazione è perchè ha deciso di misurarsi su due terreni che non dovrebbero competergli.

Il primo è quello della propaganda politica, regalando continuo spazio e articoli – spot ai principali leader di qualsiasi colore o schieramento. In Italia fa più notizia la dichiarazione di Caio o il tweet di Sempronio rispetto al contenuto della proposta politica di Caio o all’idea di Paese di Sempronio. Non è che la situazione fosse più rosea in passato. Ma uno degli aspetti senz’altro positivi di Internet e dei social è quello di aver mostrato – grazie alla possibilità di maggiore trasparenza e interazione – questo malcostume che dura da tempo immemore, fatto di continui teatrini politici spacciati come “cronaca interna”. Il giornalista dovrebbe evitare di cadere nel tranello della classe politica: il rischio di essere megafoni è dietro l’angolo e svilisce l’intera categoria.

L’altro campo che non compete al professionista dell’informazione è quello dei contenuti virali, dove spadroneggiano la “gig – economy” di Google e i social di Mark Zuckerberg. Un organo di informazione che pubblica, nella propria homepage, il video di mamma orso e i suoi cuccioli che camminano sulle coste artiche, accanto a un commento sul cambiamento climatico, quale credibilità può avere di fronte al lettore? Il poveretto si domanderà se vi è una differenza rispetto ai contenuti che girano sui social e i motori di ricerca. La sua risposta? Ve la lascio immaginare.

Inseguendo la viralità e visibilità a tutti i costi si guadagna (poco) nel breve periodo. E si perde (tanta) credibilità nel lungo periodo. Il discredito di cui gode una delle professioni con la più alta valenza civica di questo mondo deriva anche da qui.

Se il giornalista mostra maggiore interesse verso la sparata del politico di turno qualcosa non va. Per la sparata, il politico di turno, ha a disposizione un arsenale da guerra: i social network. Non ha bisogno di ulteriori favori e pubblicità gratuita. Il giornalista dovrebbe dedicargli lo spazio di un trafiletto a pagina 36 o una brevissima “ultim’ora” sul sito web. E dovrebbe dare maggiore risalto a inchieste basate su questioni attuali e interessanti per chi ha voglia di leggere. Chi non ha voglia di leggere può andare benissimo su Youtube o Google e digitare quello che vuole. Ma per i potenziali lettori interessati ai fatti (fidatevi, ci sono), c’è bisogno di altro.

Per migliorare la situazione del giornalismo italiano è necessario il contributo dei lettori. Come potrebbero contribuire alla causa?

Innanzitutto, premiando chi sceglie di fare informazione e combatte le logiche di viralità sin qui descritte. L’Italia ha diverse realtà giornalistiche digitali che si reggono attraverso crowdfunding, campagne abbonamenti e paywall. Si tratta di sistemi che permettono il sostentamento economico e la remunerazione dell’attività giornalistica. E l’esistenza di un giornalismo di qualità. Una qualità che spesso surclassa il blasonato quotidiano cartaceo. I giornali di carta, se vogliono recuperare credibilità e lettori, dovrebbero dare maggiore spazio ad analisi e approfondimenti, lasciando ad altri media (TV o Radio) il campo della tempestività. Una frase banale e scontata. Ma necessaria visto come vengono impaginati i quotidiani nel 2018.

Il rilancio del giornalismo passa dunque anche dall’azione dei lettori. Per esempio, scegliendo – con forte senso civico – di spendere in abbonamenti per quotidiani i soldi necessari a 2 pizze con gli amici.

Solo così si potrà modificare l’ecosistema mediatico e ripulirlo da propaganda e contenuti virali (oltreché mediocri). Da semplici azioni possono derivare importanti conseguenze.

© Riproduzione riservata