I disturbi alimentari non sono malattie legate a leggi naturali eterne, ma fenomeni che riflettono i cambiamenti culturali. Il rapporto tra i generi femmine e maschi è 10 a 1, si ipotizza sia legato fortemente alla società occidentale e alla motivazione dell’attrattività sociale in alcuni ambienti.

L’anoressia nervosa attualmente è considerata il disturbo alimentare più drammatico: sono sempre più frequenti le ragazze che sono angosciate dal loro aspetto esteriore e, temendo di ingrassare, si privano di cibo fino a raggiungere uno stato fisico gravissimo. I dati epidemiologici suggeriscono una distribuzione bimodale con due picchi, uno a 14 anni e l’altro a 18 anni dove l’evoluzione e gli esiti sono estremamente variabili. In alcuni casi, un episodio di anoressia nervosa può essere seguito da una completa remissione e si stima che, a distanza di 5 anni, nel 33% dei casi vi sia una completa remissione; invece, vi sono altri casi che presentano un’evoluzione cronica, con progressivo deterioramento nel corso degli anni e il rischio di ricovero in ambiente ospedaliero per il ripristino del peso corporeo. Il decesso può verificarsi in rapporto alla denutrizione o a comportamenti a rischio come il suicidio, motivo per cui l’anoressia viene a essere così il disturbo mentale con maggior mortalità (fino al 15% dei casi in un anno).

Il termine anoressia può essere fuorviante in quanto indica semplicemente la mancanza di appetito e invece, in questo disturbo, è rara la perdita di appetito: la manifestazione fondamentale dell’anoressia nervosa è il rifiuto di mantenere il peso al di sopra del peso minimo per età e statura – è considerato sottopeso un individuo con un peso corporeo al di sotto del 85% del peso normale per età e altezza. La perdita di peso può essere ottenuta tramite drastiche restrizioni di peso o eccessive pratiche di attività fisica (palestra, jogging, ecc.). A ciò è possibile aggiungere le condotte di eliminazione, vale a dire: vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi e diuretici, enteroclismi. Non è raro inoltre che la persona alterni restrizioni e abbuffate-vomito (dette crisi bulimiche).

L’anoressia nervosa si manifesta attraverso una paura intensa di acquisire peso, di «diventare grassi», anche quando si è sottopeso, emaciati o è avvenuta l’assenza per le donne di almeno tre cicli mestruali consecutivi dopo il menarca (amenorrea), o un ritardo nella comparsa del menarca. Avviene un’alterazione dell’immagine corporea che riguarda la forma e le dimensioni del proprio corpo o di singole parti come glutei, cosce, fianchi, ecc., fino a sfiorare il delirio. L’autostima per queste persone è strettamente collegata alla perdita di peso che viene considerata come una straordinaria conquista e un segno di autodisciplina al contrario l’aumento di peso come una inaccettabile perdita delle proprie capacità di autocontrollo, tutto questo le porta a disconoscere la gravità delle loro condizioni psico-fisiche ed è per questo che nei casi più gravi vengono costrette a un trattamento sanitario obbligatorio.

La quasi totalità delle persone interessate è rappresentata da ragazze adolescenti, tardo adolescenti, giovani donne che vivono nella famiglia d’origine e sono tuttora alle prese con problemi adolescenziali: l’immagine corporea, la conquista della propria identità, la differenziazione e le autonomie dai genitori, la scoperta della propria sessualità.

Negli anni ‘70 la terapia familiare ricorrendo al setting familiare (famiglia al completo) fu una grande rivoluzione, “uno spiraglio prezioso” che permise di aiutare questi pazienti “difficili” che rifiutavano i trattamenti e che avevano un elevato rischio di morte. Le ricerche successive attraverso questo metodo iniziarono a ipotizzare che la famiglia veniva vissuta dal paziente come una “gabbia dorata”, dove figlie perfette si sforzavano di non essere meno perfette del resto della famiglia.

Salvador Minuchin (psichiatra e psicoterapeuta del secolo precedente noto per aver sviluppato la terapia strutturale di famiglia) sostenne la tesi che i disturbi dell’alimentazione colpissero specificatamente le “famiglie invischiate”, cioè famiglie dove ognuno è estremamente coinvolto con ogni altro membro; non esistono confini tra genitori e gli spazi di differenziazione e autonomia tra i membri sono inadeguati. Tanta coesione può costituire una risorsa positiva per ogni membro della famiglia, ma ciò può rendere difficili i processi di cambiamento, crescita e autonomia di ognuno, in particolare dei figli adolescenti. Nelle “famiglie invischiate” i disturbi dell’alimentazione possono diventare soluzioni che permettono al figlio/a di manifestare la propria autonomia senza arrivare alla rottura con la propria famiglia. La patologia dunque non è più del singolo ma del sistema familiare.

Attualmente prevale l’idea cha la cura dell’anoressia (e di altri disturbi dell’alimentazione) vada affidata a un’équipe multidisciplinare dove sono presenti nutrizionisti, specialisti in medicina interna, psichiatri, psicologi clinici o con specifiche competenze psicoterapeutiche e sì sostiene che il trattamento ambulatoriale vada riservato ai casi meno gravi, mentre per i più gravi sia necessario il ricorso al regime di ricovero con uno staff specificatamente dedicato e appropriati piani terapeutici.[1]

[1] Fonti: Atkinson & Hilgard’s, Introduzione alla psicologia, Padova,Piccin, 2011; Sanavio, Cornoldi, Psicologia Clinica, Bologna, il Mulino, 2001; Dalle Grave, Disturbi dell’alimentazione: una guida pratica per i familiari, Verona, Positive Press, 2014.

A cura di: Edoardo Bonsignori. Per L’eclettico ha già pubblicato False credenze e punti di forza sui DSA e Lo stigma sociale.

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