A novembre ci saranno le elezioni di midterm – le elezioni che si tengono ogni due anni, quest’anno per rinnovare la Camera ed un terzo del Senato – negli Stati Uniti. La scenario politico è fortemente polarizzato e con molta probabilità darà una forte spinta, se non porterà a termine, un processo di medio periodo di ridefinizione delle identità e dei programmi dei partiti repubblicano e democratico.
Le donne costituiscono la maggioranza dell’elettorato attivo e degli elettori democratici, ed anche per questo le strategie elettorali si stanno rivolgendo verso la questione femminile. Molte donne si sono candidate alle primarie, in particolar modo del Partito democratico, vincendole e con molta probabilità saranno elette al Congresso o in altre cariche di rilievo. Il caso più famoso è forse quello della giovane Alexandria Ocasio-Cortez, 28 anni, nata nel Bronx da madre portoricana e padre americano, laureata con lode a Boston, self made woman che probabilmente diverrà rappresentante alla Camera. La Ocasio-Cortez dopo la laurea è tornata nel Bronx per fare l’educatrice e la barista per aiutare la madre che, dopo la morte del marito, rischiava il pignoramento della casa. In questo senso la giovane politica riassume in sé diverse storie ed anche per questo ha successo: è espressione di quelle minoranze che poi tanto minoranze non sono – latinos e afroamerican –, è espressione dei “ghetti” e di chi rischia di perdere la casa. Non solo, è anche una donna che si è fatta da sé ed è soprattutto una giovane donna che aspira ad arrivare al Congresso, assumendo così le speranze dei giovani e delle donne. È iscritta nei Democratic Socialists of America, quindi è parte dell’ala Sanders di cui è di fatto divenuta il volto anche su scala nazionale. La Ocasio-Cortez fa parte di quei giovani politici emergenti, etnicamente eterogenei, un po’ più a sinistra delle attuali posizioni democratiche – il che significa che di fatto ripropongono un ruolo del partito e dello Stato che era propugnato dai democratici fino all’elezione di Reagan. Quei giovani vicini a Sanders che come lui hanno un rapporto conflittuale e problematico con i democratici ma che a differenza di Bernie si muovono con naturalezza al suo interno del partito, usandolo e riformandolo.
Quanto detto sono anche elementi di ridefinizione e polarizzazione. La battaglia si svolge infatti su questioni sociali ed economiche, come la parità salariale tra uomini e donne, tutele sindacali e così via, ma anche sulla base del movimento #MeToo che mette nuovamente in questione il potere maschile e che ha come corollario la sfida al cristianismo. Ma si svolge anche sul terreno dei diritti delle minoranze, delle battaglie Black Lives Matter, dei movimenti degli studenti per il controllo delle armi e via dicendo.
I giovani democratici americani danno speranza: possono vincere, hanno uno sguardo sul passato ed uno sul futuro perché, diciamolo, noi giovani siamo il futuro ed è arrivata l’ora di andare a prenderlo. Troppo a lungo abbiamo atteso che la nostra fetta di torta cadesse dal cielo, troppo a lungo abbiamo preferito rimanere sotto l’ombra dell’infanzia, troppo a lungo abbiamo parlato senza un progetto, troppo a lungo abbiamo celebrato la ripetizione del presente.
Mentre l’Europa vacilla sotto i colpi di chi vorrebbe abbatterla, mentre nell’Occidente i giovani e gli studenti scendono in piazza a manifestare per chiedere più equità e meno ideologia del lavoro, in Italia si rimane in silenzio. Mentre noi, i giovani d’Europa e d’America, non ci uniamo ma rimaniamo soli.
Ecco, però, che da dei giovani d’America arriva una proposta, arriva una speranza di cambiare, di riformare, e perché no, di ripensare il mondo che è già in parte nelle nostre mani.
Siamo professionalizzati, siamo altamente istruiti, parliamo più lingue, viaggiamo e facciamo soggiorni all’estero dove poi andiamo spesso a lavorare, affrontiamo la concorrenza globale, non abbiamo ancora un sistema previdenziale e pensionistico adatto alle nostre esigenze. Siamo frustrati perché il lavoro opprime come opprime i nostri genitori: non lavoriamo per vivere ma viviamo per lavorare. Siamo depressi perché pare che lo studio non porti a niente, e allo stesso tempo lo studio umanistico viene svilito. Poche sono le opportunità per i più poveri di noi, poche sono le pari opportunità tra di noi. Ripensiamo la sfera sessuale perché vogliamo essere noi a scegliere con chi fare l’amore, che sesso avere, quale vita scegliere, che trasformazioni il corpo possa subire con una gravidanza. Ma c’è chi si oppone alle conquiste dei nostri genitori per privarci della nostra fantasia. Perché la fantasia è pericolosa, perché la fantasia è la capacità di sapersi raccontare una storia diversa, di resistere, di ripensare il mondo per cambiarlo. E noi, assieme ai nostri padri, abbiamo scioccamente pensato che i diritti fossero acquisiti.
Tra noi ci son quelli che la notte fanno la movida perché preferiscono la droga della celebrazione alcolica dell’eterno presente alla realtà priva di scopi. Molti di noi sono esteti privi di un programma da esteti. Molti di noi lavorano e sono sfruttati, non hanno spazio e non avranno spazio. Molti di noi non si rispecchiano in questo mondo, credono in cose diverse ma rispettano l’altro; molti non si impegnano perché son codardi; molti amano l’ambiente e gli animali e vorrebbero avere una società che si prenda cura della Terra e di chi l’abita, creando piccole comunità dove vivere in comunità. Molti di noi vorrebbero fare della propria vita un’opera d’arte, perché se non vivi in malafede la vita è opera d’arte in quanto entità radicalmente eterogenea, pur anche se immersa nella quotidianità.
Nessuno di noi trova più un pensatore un filosofo un artista un cantante uno scienziato un umanista un poeta un intellettuale che dia voce a ciò che pensiamo e che unisca le nostre voci. Perché nessuno di noi ha il coraggio di farlo; perché nessuno di noi ha la voglia di farlo; perché nessuno di noi ha il tempo di farlo: il lavoro, stortura di un capitalismo che ha perso la bussola, ha già vinto. Perché la barca è troppo piccola per tutti e sta affondando: solo i più forti rimangono a galla. Ma io non voglio credere che quando i miei figli mi chiederanno «anche tu lottavi per ciò in cui credevi come il nonno?» di dovergli rispondere «no, perché la mia era la generazione perduta, la generazione che non ha lottato e che non ha vinto, la generazione perita prima di lottare, la generazione senza speranza, la generazione con la fantasia delle startup ma non dell’applicazione della vita che vorrebbe».
Demential Generation, sempre impegnata nella ricerca dell’intrattenimento, sempre orientata al divertimento: l’impegno non esclude il divertimento e il divertimento non esclude l’impegno. È il divertimento fine a se stesso che esclude il divertimento, così come il divertimento fine a se stesso esclude l’impegno.
Se non ci sono intellettuali poeti cantanti artisti filosofi umanisti scienziati di riferimento è perché noi dobbiamo essere quel riferimento, riempiendo un vuoto troppo persistente. È così che hanno fatto i giovani americani: si sono uniti per dire che le vite contano più della vendita di armi, che le vite degli afroamericani contano, che le donne contano. Perché le nostre vite contano tutte. Perché la nostra vita conta. E per questo dobbiamo organizzarci ed unirci con uno sguardo al passato, perché non tutto è da buttare, e l’occhio sul presente pronto al balzo nel futuro. Non ha senso essere autonomi, né tanto meno far riferimento ad ideologie passate e sanguinarie, così come non ha senso vivere nella malafede. Ma non ha senso rimanere a lottare separati da confini fittizi senza un programma, senza un idealismo solo perché nessuno di noi non vuol credere più; perché nessuno di noi vuol sognare più; perché nessuno di noi diverso vuol esser più; perché nessuno di noi un futuro vede più, perché nessuno di noi la speranza vede più.
Ma io la speranza la vedo: viene dall’America.
Ma perché sperare, perché lamentarsi, quando possiamo ripensare il mondo?
Novembre, speranza.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.
Bravo! La mia generazione ha ripensato il mondo o meglio i rapporti fra le persone, ma molto è rimasto incompiuto. Penso al virus razzista non debellato ad esempio. Buona speranza e buon voglia di continuare a ripensare ad un mondo diverso. Non stancatevi di diffondere le vostre idee.