Dal vivo, Nanni Moretti è tale e quale a come è nei suoi film: magnetico, ma senza troppe pretese.
Come faccio a saperlo? Perché l’ho visto domenica sera, al Cinema Arsenale di Pisa dove è venuto a presentare il suo nuovo film: Santiago, Italia. Un docufilm, in verità, che attraverso la voce dei rifugiati cileni, prima nell’ambasciata italiana in Cile, poi in Italia, e dei “cattivi” parla di quei giorni lì, quando al governo cileno c’era Salvador Allende, e di quell’11 settembre 1973.
Perché Santiago, Italia? Dovrete vedere il film per saperlo. Ciò che posso dirvi è che un filo conduttore c’è: la storia dell’Italia presente attraverso le storie dei vecchi giovani che hanno creduto in Allende. Un film umanista, come lo ha definito l’autore, perché incentrato sulla dimensione umana, ed in effetti Moretti lo si vede per un paio di secondi e lo si sente raramente. Ma c’è anche una domanda di fondo: dove è finito quello spirito? Quella accoglienza, quella voglia di sperimentare, di cambiare il mondo, quel volersi realizzare individualmente – nelle parole di uno degli intervistati – facendolo allo stesso tempo anche per gli altri?
Dove è finito tutto questo?
Ne parlavo con mio padre mentre tornavamo a casa dal cinema e lui mi dice «studi storia, dovresti saperlo tu». La domanda mi lascia comunque spiazzato e posso solo dire, come storico, che non vi è un’unica causa, ma plurime cause.
L’Italia, allora, era diversa. La polizia era militarizzata, faceva i caroselli, i carabinieri non avevano i manganelli ma il calcio del moschetto; i conflitti generazionali erano aspri; iniziavano le stragi e con esse la strategia della tensione; non c’era ancora un’Europa unita come oggi; si lottava per l’aborto e per il divorzio; le donne si battevano per la parità; si occupava, non per gioco come in Come te nessuno mai, perché le forze dell’ordine arrestavano e ci si picchiava, o con le cariche dei reparti celeri o con i fascisti – e all’epoca c’era l’MSI e l’esperienza del Ventennio era un ricordo recente. Le fabbriche avevano dei tribunali interni per giudicare gli operai ed un servizio di sicurezza interno che operava in collegamento con quello statale, con funzioni di spionaggio nella dimensione privata degli operai. La politica era nell’aria, la si poteva tagliare a fettine. I partiti erano forti, caratterizzanti. Non era come oggi. C’erano i morti e i feriti da ogni parte: tra gli studenti, tra gli operai, tra chi manifestava – rosso o nero che fosse – tra le forze dell’ordine. A Pisa, per fare un esempio: Soriano Ceccanti, nato a Pisa, ferito e rimasto paralizzato durante la carica della polizia alla Bussola di Viareggio il 31 dicembre 1968; Cesare Pardini, colpito a morte da un candelotto lacrimogeno il 27 ottobre 1969; Giovanni Persoglio Gamalero, che senza essere il destinatario della bomba piazzata a Marina di Pisa muore per l’esplosione nella notte tra il 13 ed il 14 febbraio 1971; Franco Serantini, deceduto in carcere a seguito delle percosse infertegli dalla polizia il 7 maggio 1972. E poi c’era il Cile, con la sua proposta unica, non sovietica e neanche capitalista, esplosione di colori e voglia di provare, cui tanti rivolgevano lo sguardo sognante.
Fare paragoni con allora non regge, quanto meno è estremamente difficile. Ma la domanda di fondo che pone il film resta. Tanto più che non siamo in un paese di giovani e che quella generazione è ancora la maggioranza della popolazione.
D’altro canto non si può paragonare il numero di rifugiati cileni con il numero di migranti che arrivano attraversando il Mediterraneo: le cifre sono sfavorevoli all’oggi. Come del resto non sono più dei compagni, tutt’al più sono musulmani. Ma la domanda continua a rimanere. Ed io non do risposte, perché la domanda che il film pone è una domanda che riguarda anche te.
Che fine ha fatto quello spirito, quella voglia di sperimentare insieme, di cambiare, di non guardare solo a sé stessi?
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.