Lunedì 10 e martedì 11 dicembre si è tenuta a Marrakech, in Marocco, la conferenza sul Global Compact, documento promosso dall’ONU che si propone di avanzare soluzioni politiche condivise dal maggior numero possibile di Stati sul tema dei fenomeni migratori. Il testo finale del Global Compact è il prodotto di due anni di lavori e negoziati ed è stato firmato da 164 Paesi, riunitisi proprio in Marocco al vertice promosso dalle Nazioni Unite.

Tra questi Paesi non vi è l’Italia, orientata a non ratificare l’accordo come testimoniato dalle parole del ministro dell’interno Matteo Salvini, secondo il quale il documento, pur non essendo vincolante, non farebbe altro che mettere sullo stesso piano migranti economici e rifugiati politici favorendo sostanzialmente un’immigrazione priva di qualsiasi controllo. Più cauto sull’argomento è invece l’azionista di maggioranza del governo, il Movimento 5 stelle che tuttavia per il momento sembra essersi piegato al volere della Lega: il Presidente del Consiglio Conte infatti ha dichiarato che il testo dovrà passare comunque attraverso il Parlamento, mentre il Presidente della Camera Roberto Fico si è detto favorevole.

Oltre all’Italia non si sono presentati a Marrakech i principali punti di riferimento politici, a livello internazionale, del partito di Salvini, ovvero gli Stati Uniti di Donald Trump, ormai contrari da tempo al Global compact e il cosiddetto “blocco di Visegrad” costituito da Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Bisogna dire infatti che il Global Compact è stato diffusamente oggetto di una campagna mediatica condotta dai partiti di estrema destra, definiti spesso come sovranisti, tesa a definire il documento come un pericoloso accordo che rischierebbe di favorire l’immigrazione. Proprio in virtù di queste poche ma significative assenze infatti il patto risulterebbe essere indebolito già in partenza.

Ma cosa prevede in concreto il Global compact? L’idea nasce nel 2015 dall’esigenza di offrire un approccio multilaterale a fenomeni migratori di enormi dimensioni che hanno provocato numerose vittime e colto impreparati diversi paesi, al fine di inserire quest’ultimi all’interno di un quadro normativo costituito da principi non vincolanti che li rendano legali e più facilmente gestibili.

Il testo è introdotto da un preambolo che definisce fondamentale la comprensione generale del fenomeno, l’importanza della cooperazione, la condivisione delle responsabilità e degli obiettivi. Questi obiettivi in particolare, che sono 23 e sono elencati all’interno del documento, vengono riportati come punti di riferimento essenziali ma non sono affiancati da una spiegazione di come si intenda metterli in pratica proprio perché il Global Compact mira in primo luogo, come accennato, a fornire una cornice condivisa che guidi l’azione dei vari governi; per tale motivo il patto rischia di avere un significato puramente simbolico. Proprio in virtù di ciò la posizione dei governi appena citati sembra delinearsi come un rifiuto a priori di ogni discussione sul tema e sulla necessità di prevedere misure per gestire il fenomeno evitando qualsiasi chiusura preventiva. Lo spauracchio agitato da alcuni Paesi in particolare è che il Global Compact possa sancire una sorta di “diritto alla migrazione” in quanto diritto fondamentale.  

Allo stesso tempo occorre dire tuttavia che il documento cerca di fornire linee guida di riferimento in risposta ad un vuoto normativo di carattere internazionale, sottolineando l’importanza della cooperazione al fine di non far ricadere il peso delle migrazioni solamente sulle spalle dei Paesi di arrivo e di tutelare l’interesse dei migranti stessi.

Tra i vari obiettivi comunque figurano la riduzione delle cause strutturali dei fenomeni migratori, la creazione di una rete di intervento coordinata per i dispersi in mare al fine di prevenire le vittime, la lotta al traffico di esseri umani, la creazione delle condizioni per garantire la piena integrazione dei migranti, l’eliminazione delle varie forme di discriminazione e la gestione sicura e coordinata delle frontiere.

Tutti i punti sembrano dunque richiamarsi ad una gestione coordinata dei fenomeni vista come presupposto essenziale per affrontare una questione di così vasta portata ma che, d’altra parte, rischia di rimanere sulla carta in quanto il documento, non essendo un trattato, non costringe nessuno dei Paesi a determinati comportamenti e non modifica le leggi internazionali.

A cura di: Alberto Cavallini

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