Sfuggì per un soffio alla morte. Un agguato dei suoi nemici: i Corleonesi. Ottenne poi la sua rivincita nel Maxiprocesso, decidendo di testimoniare e accusare Riina e soci. Salvatore Contorno, uomo d’onore della mafia siciliana, fa parte dei pentiti che hanno contribuito alla lotta alle mafie.

Nato il 28 maggio 1946, soprannominato “Coriolano Della Floresta”, come il protagonista della leggenda dei “Beati Paoli” , Contorno venne affiliato a Cosa Nostra nel 1975, dal “principe di Villagrazia” Stefano Bontade, boss della famiglia di Santa Maria del Gesù.  Dedito prima al contrabbando di sigarette e poi allo spaccio di droga, “Coriolano” diventerà in breve tempo il braccio destro di Bontade, finché questi non verrà ucciso dai Corleonesi. È il 23 aprile del 1981, siamo nel bel mezzo della seconda guerra di mafia, un conflitto interno a Cosa Nostra che vide la morte di almeno 1000 persone – tra cui uomini dello Stato – nel giro di tre anni (1981 – 1983).  Il 6 maggio di quello stesso anno, Contorno si salva da una “lupara bianca”, cioè una riunione mafiosa indetta con un pretesto: quello di farlo fuori. Il 25 giugno, sfugge all’agguato dei suoi nemici. “Coriolano” si trovava nel quartiere palermitano di Brancaccio, sul cavalcavia tra via Ciaculli e via Giafar. Venne raggiunto da un commando organizzato da Giuseppe Lucchese e Pino Greco detto “Scarpuzzedda”, feroci killer dei Corleonesi. Riuscì a uscire incolume dai colpi di kalashnikov che gli vennerò sparati, scampando così a una morte certa.

Contorno decide quindi di andare a Roma per meditare vendetta. Lì si stava organizzando per uccidere Pippo Calò, boss della famiglia di Porta Nuova e “traditore” di Bontade, perché era passato nelle file corleonesi. Tuttavia, il 23 marzo del 1982, “Coriolano” viene arrestato dalla polizia. Si trovava in una fattoria dove erano presenti numerose armi e munizioni. In carcere, Contorno inizia a fare da confidente al vicequestore della Squadra Mobile di Palermo, Ninni Cassarà, vittima di Cosa Nostra nel 1985. Le sue parole – riportate con il nome in codice “ Prima Luce” – permetteranno a Cassarà di scrivere il cosiddetto “rapporto dei 162”, uno spaccato della mafia siciliana dell’epoca, documento che sarà utilizzato dal pool Antimafia per la stesura dell’ordinanza del Maxiprocesso. Prima di passare ad una collaborazione più stretta con le autorità,  Contorno decide di parlare con Tommaso Buscetta, “boss dei due mondi” e pentito, che già stava rivelando molte cose a Giovanni Falcone. Nell’ottobre del 1984, con le sue dichiarazioni, “Coriolano” permetterà al pool Antimafia di spiccare ben 127 mandati di cattura. I Corleonesi, inferociti, inizieranno a colpire i suoi amici e parenti, provocando la morte di almeno 30 persone. Nel 1987, a conclusione del Maxiprocesso, Contorno riceverà una condanna di sei anni. Una riduzione di pena che poteva essere più consistente, ottenuta grazie alla collaborazione. Nello stesso periodo testimonierà anche al processo americano della “Pizza Connection” , come persona informata sui fatti. La giustizia statunitense deciderà di concedergli un programma di protezione e lo status di collaboratore. Ma il 26 maggio del 1989, invece di essere in America, sotto protezione, il pentito verrà trovato in una villa bunker a San Nicola l’Arena, in Sicilia. Arrestato, sarà inserito in un programma italiano e tornerà a collaborare con la giustizia.

Nell‘aprile del 1994 subisce un nuovo attentato, sempre ad opera dei Corleonesi, privi dal 1993 del loro boss Totò Riina (finito in galera), ma ancora decisi a combattere lo Stato e i “traditori” interni.  Nel corso dello stesso anno, Contorno viene intervistato da Francesco La Licata. Si sfoga così con il cronista de La Stampa: “Ci usano come un limone e quando è finito il succo ci buttano”. Nel prosieguo della conversazione “Coriolano” si lascia andare ad alcune considerazioni: “Sono pronto a mantenere l’impegno di collaborazione, ma penso che lo Stato non sarà all’altezza”. “Io non vedo lo Stato deciso, vedo che i provvedimenti sono lenti e poco sicuri”. Parole che fanno venire in mente i recenti fatti di Pesaro . Contorno, rispetto a Marcello Abruzzese però, era riuscito a fuggire sempre dai suoi nemici. Oggi come allora, l’apporto dei pentiti si rivela fondamentale per contrastare le mafie. A maggior ragione, la tutela e la protezione di questi collaboratori di giustizia si rivela importante, se vogliamo combattere sul serio la criminalità organizzata.

Questo articolo fa parte della serie Il pentitismo nella lotta alle mafie. Fanno già parte della serie  Il caso Buscetta , Leonardo Vitale e Joe Valachi.

Immagine di copertina: http://archivio.blogsicilia.it/lomicidio-di-un-commerciante-indagato-il-pentito-contorno/

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