“La felicità corteggia la luce, perciò pensiamo che il mondo sia felice, mentre la miseria si nasconde tenendosi lontana, così pensiamo che non esista.”

(Bartleby lo scrivano, Herman Melville)

Bartleby è l’uomo che per propria misteriosa volontà rinuncia a compiere il suo dovere di scrivano restando immobile a fissare con sguardo imperturbabile un muro, sordo ad ogni ragionevole persuasione, chiuso in sé stesso, alla vista di una figura umana il cui volto ci palesa una inesprimibile apparente tranquillità d’animo.

Il breve racconto di Melville (Bergamo, Feltrinelli Editore, 2016) è sin dall’inizio un testo che si interroga sull’essenza esistenziale della moderna società occidentale. Si tratta di un testo che volge lo sguardo al mondo del lavoro e alle sue dinamiche ma non c’è dubbio che sia caratterizzato anche da una forte vena simbolica, che rende l’intera storia, se non assurda, quantomeno grottesca.

Ad una prima veloce lettura Bartleby non sembra quasi essere nemmeno il protagonista del racconto. Giovane, riservato e pallido si presenta in uno studio legale per iniziare la carriera di copista: “rivedo ancora quella figura, scialba nella sua dignità, pietosa nella sua rispettabilità, incurabilmente perduta” (pag.10).

Introverso, silenzioso, quasi invisibile, con solerzia si avvicina alle pratiche: “Egli pareva pascersi con ingordigia dei miei documenti. Continuava a scrivere in silenzio, con moto scialbo e silenzioso” (pag.11). Il giovane scrivano è un uomo imperscrutabile, non si hanno notizie sul suo passato: “Vorresti dirmi, Bartleby dove siete nato? Avrei preferenza di no. Non vorreste dirmi nulla su di voi? Avrei preferenza di no” (pag.25).

Il narratore, ovvero l’avvocato a capo dell’ufficio, è un personaggio disponibile e accomodante nei confronti del giovane scrivano, cerca di capire i motivi per i quali Bartleby improvvisamente decide di sottrarsi ai suoi lavori da impiegato: “Ma quale ragionevole obiezioni può spingervi a non parlare? Io ho per voi sentimenti amichevoli” (pag.25). Bartleby gli nega sempre risposte esaurienti ma nonostante ciò l’avvocato decide in un primo momento di assecondare questo strano comportamento del suo dipendente facendo leva sulle qualità positive del carattere del suo giovane impiegato: “La sua costanza, la sua immunità da ogni sregolatezza, la sua grande tranquillità, l’impassibilità del suo contegno, lo rendevano un acquisto prezioso” (pag. 19).

Il nostro narratore diventa così testimone involontario del declino non solo della carriera ma anche e soprattutto della vita del suo nuovo assunto; non riuscendo a capire le motivazioni che spingono Bartleby a comportarsi in quel modo riflette: “Povero diavolo! Pensavo, non ha cattive intenzioni, Se lo mando via, è assai probabile capiti con un padrone meno indulgente, e allora verrà trattato molto male. Ecco che posso acquistarmi a poco prezzo una gradevole buona coscienza.” (pag.16).

Bartleby decide volontariamente di annullarsi completamente: prima in quanto impiegato, e poi, in maniera più definitiva, in quanto uomo, ripetendo come una preghiera la frase: “Preferirei di no”. Il giovane impiegato tuttavia non riesce ad andarsene da quel minuscolo ufficio, vincolato ad un ruolo dal quale sembra non poter sfuggire, non abbandona il terreno dove si svolge la sua battaglia psicologica.

Inevitabilmente rimane impantanato in un luogo che si trasforma in non-luogo, un ufficio che perde tutte le funzioni stesse del suo essere, per divenire invece uno spazio di lotta esistenziale, il cui esito è già segnato da una imminente e totale sconfitta del protagonista.

La ferma decisione e la scelta verbale, rendono il personaggio Bartleby ancora più sfuggente: quel ragazzo operoso che aveva iniziato a fare il copista così bene si ritrova ora ad essere un peso, un peso imbarazzante, sulle spalle di un uomo che alla fine cede, non potendo più tollerare quel comportamento, l’avvocato decide di licenziare il giovane smunto scrivano; ovviamente lo fa da “brava persona” quale è, con un preavviso e una certa liquidazione.

La decisione presa temporaneamente salva l’avvocato da un possibile esaurimento nervoso, ma non dalla sua ossessione per le sorti del suo ex strano impiegato. Venendo a sapere che Bartleby continua a vivere nell’ufficio, il legale decide di rivolgersi a lui in un estremo tentativo di far ragionare lo scrivano al fine di farlo sgomberare dall’ufficio, ma il giovane risponde causticamente: “No, al momento avrei preferenza a lasciare le cose come stanno” (pag.42).

Non tutti si fanno gli scrupoli dell’avvocato e l’epilogo è che il nostro scrivano finisce in prigione per vagabondaggio. Informato della cosa, l’avvocato si precipita a trovarlo cercando anche di corrompere un secondino affinché il suo ex impiegato abbia un trattamento adeguato. Nonostante l’aiuto profuso dall’ex datore di lavoro in una situazione che si fa sempre più grave per il giovane scrivano, Bartleby imperterrito continua a non parlare con il suo interlocutore: “So chi siete e non ho nulla da dirvi” (pag.44).

Niente di più chiaro; un messaggio preciso che manifesta, ancora una volta, quanto sia radicata la consapevolezza del ragazzo, la sua consapevole trasgressività che lo porterà in extrema ratio a rinunciare al cibo in galera fino al sopraggiungere della morte.

Il comportamento di Bartleby è frutto di una malinconica ma incrollabile volontà che è destinata fatalmente ad infrangersi contro l’ineluttabile Moloc che era, ed è ancora, la società nella quale quotidianamente consumiamo le nostre esistenze.

Bartleby è semplicemente un uomo venuto dal nulla e che nel nulla svanisce per sempre.

A cura di: Christopher Palavisini. Per L’Eclettico ha già scritto Nick Drake, L’arte della fragilità e La lettera al padre di Franz Kafka.

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