Volti e storie differenti, fatte di impegno e sacrificio. Sono le vite interrotte di Emanuele Notarbartolo, Giovanni Falcone, Peppino Impastato e Giancarlo Siani. E di molti altri ancora. 900 storie che verranno ricordate oggi, a Padova, in occasione della giornata nazionale in ricordo delle vittime di mafia, promossa da Libera, l’associazione fondata da Don Luigi Ciotti nel 1996.

L’evento si inserisce nel contesto delle commemorazioni collettive che ricorrono in Italia dalla metà degli anni ‘90. Cioè da quando si è sviluppato un forte movimento antimafia, frutto dell’impegno delle istituzioni, dei singoli cittadini e delle associazioni. Un’antimafia divenuta nota e importante grazie al lavoro portato avanti negli anni ’80 da magistrati e poliziotti durante la seconda guerra di mafia e l’ascesa dei Corleonesi all’interno di Cosa Nostra. Simbolo di quella lotta fu senz’altro Falcone, assurto nell’immaginario collettivo come colui che pose fine a quasi un secolo di impunità per la criminalità organizzata grazie al Maxiprocesso, il primo verdetto giudiziario che sancì l’esistenza della mafia, intesa come organizzazione unitaria. Ma anche altre figure, come Impastato e Siani, sarebbero divenute – molti anni dopo le loro morti – simboli e “martiri laici”, rappresentanti di un’antimafia non istituzionale, a differenza del magistrato palermitano.

Negli stessi anni in cui stavano germogliando i primi segnali di rituali collettivi che caratterizzano il nostro tempo, emergeva anche una memoria dal fronte opposto. La mafia, specie quella siciliana, forniva un racconto di sé stessa. E lo faceva attraverso il racconto dei primi pentiti. Salvatore Contorno e Tommaso Buscetta durante il Maxiprocesso fornivano un immaginario della criminalità organizzata, ricordando i momenti passati, figli di un’altra epoca. Quando “la mafia era una cosa buona”. Quando la mafia “non uccideva”. E, soprattutto, non si azzardava a “scontrarsi con il potere politico”.

Mafia e antimafia, due memorie contrapposte. Accomunate da una costruzione di rappresentazioni, ricordi individuali e immaginari. E il rischio – in entrambi i casi – è quello di banalizzare la complessità e rimanere in superficie.

Le ricorrenze civiche hanno il merito di far emergere in pubblico le storie e i volti di chi ha combattuto le mafie, mettendo a repentaglio la propria vita. Ma allo stesso tempo, se non vi è una lettura critica e una decostruzione, possono provocare tensioni paradossali tra eroicizzazione, umanizzazione e sacralizzazione. Il caso più emblematico è quello di Falcone – assurto dopo la strage di Capaci al ruolo di martire antimafia per eccellenza – una figura che quando era ancora in vita incarnava un tipo di persona che era la cosa più lontana possibile dall’eroe. Una persona semplice che aveva paura, come qualsiasi persona di questo paese, svolgendo il suo lavoro con serietà e umiltà. Ma soprattutto, dotato di un alto senso del dovere.

La giornata di oggi è una ricorrenza civica e per certi versi sacrale. Per le commemorazioni nazionali Libera ha scelto una città dell’Italia settentrionale, in una regione, il Veneto, al centro delle cronache dei quotidiani di queste settimane per la notizia di una maxi – retata contro la Camorra a Eraclea, in provincia di Venezia.

La speranza è che il momento possa servire a scavare nelle storie di chi ha perduto la propria vita contro le mafie. E accenda le coscienza delle migliaia di cittadini che ancora oggi vedono la criminalità organizzata come una “questione meridionale”.

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