Se vivessimo nel ’68 forse useremmo anche noi lo slogan «immaginazione al potere», riferendoci alle opere del filosofo Herbert Marcuse.

Ad oggi potrebbe essere uno slogan riutilizzabile se non fosse che rievoca un contesto storico che ormai non c’è più. Inoltre, riutilizzarlo, non sarebbe tener fede al suo messaggio, ma semplicemente copiare un vecchio motto per pigrizia mentale. Non solo: personalmente non mi sento a mio agio quando vien detto «al potere» perché viene sottintesa una dimensione di conquista in cui, per moto rivoluzionario (leggi capovolgimento), chi non ha potere se lo prende o torna ad averlo. Appunto il potere, anche l’uso del singolare nasconde quello che è a mio avviso un fraintendimento: non si tratta di un potere ma di molteplicità di poteri. Un aspetto importante, questo, perché aiuta a comprendere che il potere è qualcosa tra le relazioni, tra le persone, di cui noi tutti siamo pervasi, nostro malgrado, che tutti noi possediamo. Certamente, esistono delle tecniche di produzione del potere, o meglio delle tecniche che aumentano, oppure rendono più “forte”, il potere ed il suo possesso. Comprendere questo aspetto significa capire le potenzialità di cui disponiamo. Solo a questo punto, forse, potremo parlare di «immaginazione al potere».

Perché di potere si tratta, specialmente se è il nostro futuro.

Potere inteso comunemente, ma anche nella dimensione che esso sottintende, cioè del poter fare. Cambiamenti climatici, difesa dell’aborto, parità di diritti per le coppie dello stesso sesso, parità delle donne, contrasto al razzismo e all’antisemitismo, sono tutti aspetti su cui una parte di noi giovani inizia a discutere e ad organizzarsi (di notevole importanza, a mio avviso, sono Non una di meno ed il movimento che ha portato al Global Strike for Climate). Non credo sia necessario fare un’apologia di questi temi, anche perché lo scopo di queste righe è quello di sottolineare la possibilità di creare un movimento globale che porti ad una vita più autentica e non determinata.

Ci sono molti altri temi su cui possiamo unirci, oltre a quelli sovra citati, di alcuni ne ho già parlato, mentre un tema ulteriore può essere la critica del lavoro, inteso come un qualcosa di alienante, indefinito, per cui paghiamo caro l’accesso e di cui non sappiamo se vi sarà una fine. Un lavoro che porta a vivere per lavorare e non a lavorare per vivere. Un lavoro di cui non possediamo neanche più il concetto, di cui dobbiamo invece riappropriarci e ripensarlo in modo da renderlo più vitalistico, liberando così l’istruzione, la vita e la creatività dalle sue catene.

Tutti questi sono temi che implicano sia delle relazioni di potere in cui uno dei due soggetti ha una maggior consapevolezza delle tecniche di aumento del potere, sia una dimensione del poter fare che, da un lato, viene negata ora e nel futuro, dall’altro lato una nostra dimensione del poter fare che non sfruttiamo.

Tutto è pervaso da relazioni di potere, comprendere, penetrare al loro interno significa poter rompere la catena di potere per come è ora. Consideriamo il sesso: la pornografia è, probabilmente, uno dei prodotti più consumati sul mercato. Nessuno, o quasi, mette però in questione la legittimità di un certo tipo di pornografia. Se infatti la pornografia può essere uno strumento di liberalizzazione sessuale, per ogni genere, e una forma di espressione, mettendo in scena il sesso mostra anche le asimmetrie di genere che caratterizzano il nostro vivere quotidiano ed è questo l’aspetto che andrebbe messo in questione. Ancora, la pornografia è divenuta il luogo delle fantasie nascoste e segrete, un luogo dove è possibile applicare la volontà di potere mediante una sorta di catarsi, oppure un luogo in cui dar sfogo all’identità sessuale repressa. Appunto: potere, relazioni di potere che impediscono il poter fare, che in ultima analisi è un poter essere liberamente. Ma questo è solo un esempio e possono esservene di ulteriori. La dimensione dei mutamenti climatici, ad esempio è una di quelle che, trascina con sé una molteplicità di problemi legati ad una sfera di potere: è determinata in parte dal regime economico, quindi dalle scelte politiche, ma anche da un determinato stile di vita quotidiano. Non solo: i primi ad essere colpiti dai mutamenti climatici sono i più poveri. C’è quindi anche una dimensione sociale, vien da dire di classe, nei mutamenti climatici. Una dimensione che diviene anche geopolitica nel momento in cui il climate change può produrre conflitti e/o migrazioni, che a loro volta tornano ad alimentare la sfera “classista” dei cambiamenti climatici. Sarebbe miope non comprendere che in tutto questo vi sono delle asimmetrie di potere, in cui comunque i privati, le grandi aziende, iniziano già a fiutare possibili investimenti nell’ambito delle energie rinnovabili. Iniziano, fortunatamente, ad esservi anche dei piani promossi dalla politica, come il Green New Deal, che uniscono varie problematiche legate ai cambiamenti climatici proponendo una soluzione, oltre che sul tema in senso stretto, che sia anche politica, economica e sociale.

Vista l’inevitabile unione di ambiti differenti, la capacità di connettere e analizzare le intersezioni tra i vari segmenti di oppressione, svelando o comprendendo la posizione privilegiata in cui spesso siamo collocati, dovrebbe essere un asse portante delle nostre analisi, anche perché implica l’applicazione di un metodo critico.

Questi, comunque, sono solo alcuni esempi. Ciò che io immagino è un mondo in cui i giovani come me abbandoneranno il miraggio low cost che porta all’alberguccio nella grande città, per un mondo in cui i giovani come me prenderanno uno zaino, una tenda ed un sacco a pelo e torneranno a viaggiare per le strade, le ferrovie, i mari con poco, cercando un contatto con la natura autentico, non filtrato dalla vanagloria di conquista fuori dalla propria portata, dal villaggio turistico, dalla montagna accessibile. Un viaggio che conduca a scoprire sé stessi, a prendere consapevolezza di sé nel contatto con l’altro ed il diverso, che sia un compagno di strada con cui condividi due chiacchiere una birra o una notte d’amore o un cittadino di chissà dove. Un viaggio che sia nella natura, tra la natura, per la natura. Un viaggio che sia scoperta. Un viaggio che sia semplice, autentico, senza troppe pretese e poco dispendioso.

Diciamo la verità: la vita è una grande delusione. Non la vita in sé per sé, questa è frutto anche delle nostre decisioni. La vita per come si presenta ai nostri occhi. Routine, noia, frustrazione, repressione di sogni e fantasie, scarsa creatività, nessuna messa in questione, molto intrattenimento, poca estetica vera e molta estetica fittizia, paura nel dar concretezza alle fantasie perché c’è il lavoro, c’è lo studio, c’è la relazione fissa che non permette di andare oltre. Troppi ristoranti e libri a caro prezzo. Troppa musica artificiale, poche chitarre sperimentali. Troppa comunicazione solitaria, poca empatia. Troppe domeniche passate nei centri commerciali cercando la grazia che non c’è.

Prova ad immaginare un mondo in cui non solo viaggiamo come ti ho raccontato, in cui non solo facciamo l’amore liberi, in cui non solo torniamo ad avere un rapporto con la Natura, in cui ci rispecchiamo nel diverso perché in fondo diverso non è: immagina un mondo creativo, fatto d’arte e di forme estetiche ed espressioni artistiche, di ricerca della creatività, di rottura di barriere. Un mondo in cui l’arte sarebbe al potere perché la vita di ognuno di noi è potenzialmente un’opera d’arte che può prendere la concretezza dell’opera d’arte.

Parlare di questi temi è difficile e lo è altrettanto uscire dagli schemi dogmatici del passato senza cascare nel tranello dell’astrattismo. Difficile, inoltre, è anche mettere in questione il mondo e le cose per come sono, arrivando poi a fare il passo successivo: l’azione. Ma abbiamo una possibilità enorme: l’essere un mondo sempre più unito ed interconnesso, dove in poche ore da Roma volo a New York e da lì nel Pacifico. Un mondo dove posso chiamarti anche se sei nell’altro capo del globo. Un mondo dove i problemi sono realmente i problemi di tutta la nostra generazione, qualunque etnia o nazionalità sia. Un mondo dove possiamo combattere  e soprattutto essere creativi insieme per abbattere ogni frontiera, superando lo Stato-Nazione. E abbiamo già visto, con il Global Strike for Climate, che è possibile rendere tutto ciò più globale.

Ma per poter fare tutto ciò è nostro dovere studiare, informarci, acquisire il metodo critico che insegni a distinguere tra vere e false notizie, tra vere e false pretese. Ma non solo questo: è necessario un equilibrio tra la nostra mente ed il nostro corpo, tra il sapere universitario e la creatività. Ma ancor più importante: che non si creda che bastino delle concettualizzazioni teoriche, un partito o un movimento. L’uscita dalla minorità è un lavoro quotidiano, una micro pratica che diviene macro pratica perché praticata da tutti nell’unione. L’uscita presuppone un lavoro su sé stessi che sia, per l’appunto, quotidiano, non estemporaneo. E soprattutto l’essere disposti a non essere violenti e a sciogliere ogni movimento là dove si profili il pericolo di divenire ripetitivi o un dato acquisito e conteso sul modello dei vecchi Provo.

I tempi stanno cambiando velocemente come il clima. Se vogliamo far parte del cambiamento dobbiamo ripensare noi stessi e ciò che vorremo e vogliamo essere.

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