Parlare di politiche europee, magari senza slogan o commenti preconfezionati? Almeno in Italia, sembrerebbe molto difficile, perfino sotto campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo. Anche la lista almeno sulla carta più europeista, +Europa, già dal nome dichiara i propri intenti in maniera un po’generica, con un riferimento al continente che non dà poi troppe indicazioni circa le reali istituzioni sovranazionali. Ciò che si percepisce maggiormente, un po’da tutti gli schieramenti, è che “quest’Europa, così com’è, non va bene”: sembra chiaro a tutti come l’Unione europea sia in mezzo al guado, indecisa se raggiungere l’altra sponda del fiume o se tornare “al sicuro” alla riva da cui è partita. In mezzo non si può più stare, o almeno parrebbe.
I sovranisti/neonazionalisti tacciono Bruxelles di essere più vicina alle banche che non ai cittadini, di imporre austerità e di non favorire la crescita, affamando milioni di poveri europei. Certo, le contraddizioni non mancano: a partire dal fatto che molti di loro vengano stipendiati proprio dagli uffici europei, fino ad arrivare al ministro degli Interni italiano Matteo Salvini, che contesta all’Europa una mancanza totale di solidarietà nei confronti dell’Italia sul tema migranti. Salvo poi strizzare l’occhio ad Orban e Kurz, Primi ministri rispettivamente di Ungheria e Austria, non certo aperti all’accoglienza di stranieri nei propri paesi, né disposti ad alleviare la situazione dell’Italia.
Per obbligare i paesi membri servono più poteri agli organismi sovranazionali, specialmente al Parlamento europeo: Un’assemblea liberamente eletta, questa, che non si occupa soltanto delle misure degli ortaggi o di formaggio prodotto in assenza di latte, ma che ha ad esempio ridiscusso il Trattato di Dublino, ormai noto vincolo per i paesi di primo approdo dei migranti. Il problema sta nel fatto che il parlamento è ostaggio del Consiglio dell’UE, organo intergovernativo in cui emergono in maniera forte gli interessi dei singoli stati nazionali, ancora protagonisti della vita politica del Vecchio continente.
Il “peccato originale” sta nell’approccio funzionalista, impalcatura del progetto politico europeo ideata da Jean Monnet e Robert Schumann a partire dalla nascita della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) nel 1951. Cuore di questa impostazione, egualmente distante dalla posizione federalista e da quella confederata, era la visione di un processo graduale di integrazione europea basato sugli egoismi nazionali. Un progetto a tappe, un “gioco dell’oca” in cui ad ogni casella corrispondeva un obiettivo economico comune. Interessi comuni portavano ad una cessione di sovranità e, dunque, ad una maggiore integrazione politica. Tre caselle avanti, magari una o due indietro, ma puntando sempre ad un maggiore coordinamento a livello sovranazionale.
A dire il vero, proprio da questa impostazione sarebbe potuta nascere una vera unione politica. Agli inizi degli anni Cinquanta prese il via il piano Pleven, che prevedeva l’istituzione di un esercito europeo integrato, nel quale potessero rientrare anche reparti militari tedeschi. Forse nato soprattutto come modo per ritardare il riarmo tedesco agli occhi dei francesi, il progetto prese piede ed evolse nella più complessa CED, Comunità di Difesa Europea. Non una “pazza idea” ma un obiettivo che si inscriveva in un momento almeno all’apparenza favorevole alla costituzione europea. Tanto che Alcide De Gasperi – all’epoca presidente del consiglio -avanzò un’ulteriore progetto, quello della Comunità Politica Europea (CPE). Il ragionamento sotteso era semplice: se c’è un esercito, ci deve essere una volontà politica che lo guidi. Se c’è un esercito europeo, ci deve essere un’autorità centrale sovranazionale.
Più facile a dirsi, che a farsi. L’idea della CED trovò molti nemici nelle diverse opinioni pubbliche, anche all’interno dei paesi inizialmente più aperti all’idea. In Italia, PCI e PSI si opposero con forza e con efficacia, e la sconfitta di De Gasperi alle elezioni del 1953 non fece che aggravare lo stato dell’’embrione’. Ma fu in Francia, paese da cui era partita l’idea, che si giocò la partita fondamentale.
Oltralpe, infatti, si accese un grande dibattito interno (la cosiddetta querelle de la CED), talmente acceso da scomodare l’Affaire Dreyfus, la questione pubblica per eccellenza in Francia. Il paese si spaccò in due: chi a favore e chi contro la CED, per vari (e a volte, anche gli stessi) motivi. Questione coloniale, Guerra fredda, germanofobia si intrecciarono pesantemente, decidendo in parte il futuro dell’Europa unita.
L’aspetto maggiormente in risalto fu forse quello internazionale. Il momento era critico per la Francia, specialmente per quanto riguardava l’Indocina, con un conflitto che stava degenerando per la potenza coloniale. Dopo la pesante sconfitta di Dien Bien Phu, il Primo ministro francese Pierre Mendes France giunse ad un accordo sulle colonie alla conferenza di Ginevra, grazie anche alla conciliante posizione della delegazione sovietica. In seguito, rivolgendosi ai partner europei, si mostrò scettico sull’esistenza di una maggioranza parlamentare favorevole alla CED, nel caso non si fossero tolti gli aspetti di carattere sovranazionale. Ciò gli valse l’accusa di aver sacrificato la CED, invisa all’URSS, in cambio di una pace onorevole in Oriente. Il muro contro muro portò al no del Parlamento francese: caduta la CED, non c’era più posto nemmeno per la CPE. Era l’agosto del 1954, e proprio in quel mese morì Alcide De Gasperi.
Insomma, proprio agli albori della sua storia, l’Europa avrebbe potuto prendere una piega ben diversa, maggiormente incline alla visione federalista; eppure, ciò non avvenne proprio per gli interessi degli stati nazionali. Certo, da allora sono passati molti anni e ci sono state altre occasioni di avvicinamento. Eppure, se tale episodio può insegnare qualcosa, è che in nome dei singoli interessi è molto difficile scrivere una storia comune in grado di differire da ciò che è stato costruito finora. Anzi: senza il funzionalismo, forse non ci sarebbe nulla di tutto ciò.
A cura di Alessandro Bacaloni, che per L’Eclettico ha già pubblicato Le istituzioni dell’Unione Europea e “L’Europa verde: dal sogno europeo ad un antieuropeismo all’italiana” .
Immagine di copertina: https://www.corriere.it/extra-per-voi/2017/02/14/esercito-comune-l-europa-quando-falli-progetto-ced-d8a92120-f2fc-11e6-a761-60f3fdff5014.shtml
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