Nella Russia sovietica i comunisti non riconoscevano l’intelligencija come una vera e propria classe sociale a sé stante. I bolscevichi usavano la parola prosloyka (temine traducibile con: aristocrazia lavoratrice) per identificare e definire l’intelligencija come uno strato sociale senza un carattere di classe intrinseco. Questa esigua “aristocrazia lavoratrice”, (definizione creata da F. Engels e K. Marx) era emersa nel XIX secolo nel Regno Unito, comprendendo al suo interno ampi strati della nuova piccola borghesia, costituiti da famiglie di operai altamente qualificati e istruiti.
Nell’edificazione della Russia sovietica, Lenin era molto critico nei confronti della possibilità di dare un carattere unitario di classe all’intelligencija, ovvero uomini perlopiù borghesi nati e cresciuti sotto il potere reazionario zarista. Lenin, infatti raccomandava la crescita delle “forze intellettuali degli operai e dei contadini che depongono la borghesia e i loro complici, gli intellettuali, i lacchè di capitale che pensa di essere il cervello della nazione “(1).
La Rivoluzione Russa del 1917 scosse profondamente l’immobile e secolare società zarista. Alcuni russi emigrarono, molti reazionari e conservatori si unirono al movimento Bianco guidato da ex ufficiali zaristi, Denikin e Kolchak per scatenare la controrivoluzione, mentre altri, in forme e tempi differenti rimasero in Russia e parteciparono alla creazione del sistema politico sovietico. Nel riorganizzare la società russa, i bolscevichi tentarono di liberarsi, con tutti i mezzi possibili del maggior numero possibile di nemici di classe, attraverso la deportazione, i lavori forzati nel gulag e le esecuzioni sommarie prima, durante e dopo la guerra civile (1917-1922).
Terminata la guerra civile i membri dell’intelligencija dell’era zarista che rimasero nell’URSS furono destinati al servizio nella nuova macchina statale comunista totalitaria; una larga parte del Politburo, ovvero l’élites della classe dirigente del Partito Comunista, pur non avendo particolari simpatie per questo gruppo di persone, riconosceva l’importanza e la necessità degli intellettuali per il futuro della Russia sovietica.
Nei primi anni Venti, il regime sovietico, tollerò e sfruttò questo modesto, numericamente parlando, gruppo di persone per i propri fini. Con l’avvento e il pieno passaggio del controllo del regime nelle mani di una singola persona, Stalin, l’origine borghese di questo strato di popolazione diede nuova ragione di sfiducia nei confronti del loro impegno ideologico nei confronti della filosofia marxista e dell’Urss.
In un’intervista datata 23 luglio 1934 di H. G. Wells (1866-1946), Stalin affronta questa questione a lungo: “Certo, il proletariato, il socialismo, ha bisogno di persone altamente istruite. Chiaramente, gli intellettuali non possono aiutare il proletariato a lottare per il socialismo, a costruire una nuova società. Non sottovaluto il ruolo dell’intelligencija; al contrario, lo sottolineo. La domanda è, tuttavia, di quale intellighenzia stiamo discutendo? Perché ci sono diversi tipi di intellettualità. L’educazione è un’arma il cui effetto è determinato dalle mani che lo brandiscono, da chi deve essere abbattuto” (2).
Dopo aver citato le parole di Stalin, è importante sottolineare che a differenza delle contemporanee dittature dell’Europa occidentale, l’URSS stabilì espliciti e precisi canoni artistici, mirati a mantenere soggetti e stili in linea con la Rivoluzione e il suo messaggio, un canone estetico che prese il nome di Realismo socialista.
Nel 1934, al primo congresso di tutta l’Unione degli Scrittori Sovietici, Maksim Gor’kij (1868-1936) formulò i principi di base del Realismo socialista come nuovo stile della letteratura e dell’arte sovietica:
–Nazionalità: i lavoratori delle città e dei villaggi locali, gli operai e i contadini, i rappresentanti dell’intelligencija tecnica e militare, i bolscevichi e i non partigiani divennero gli eroi delle opere realiste socialiste.
–Ideologia: il realismo socialista doveva mostrare la vita pacifica della gente, la ricerca di una nuova vita migliore, gesta eroiche per ottenere una vita felice per tutte le persone.
–Concretezza: nella rappresentazione della realtà bisognava mostrare il processo di sviluppo storico, che a sua volta doveva corrispondere alla comprensione materialistica della storia.
Durante lo svolgimento del congresso prese la parola anche Andrej Ždanov (1896-1947), uomo di fiducia di Stalin e responsabile della linea culturale del partito a fine anni Trenta, il quale ribadì: “Il compagno Stalin ha chiamato i nostri scrittori gli ingegneri dell’animo umano. Che cosa significa ciò? Che obbligo vi impone questo titolo? Ciò vuol dire, da subito, conoscere la vita del popolo per poterla rappresentare verosimilmente nelle opere d’arte. E qui la verità e il carattere storico concreto della rappresentazione artistica devono unirsi al compito di trasformazione ideologica e di educazione dei lavoratori nello spirito del socialismo. Pertanto l’autenticità e la concretezza storica dell’espressione artistica della realtà devono corrispondere al compito di riformare le idee e di educare i lavoratori nello spirito del socialismo. Questo metodo della letteratura e della critica è quello che noi chiamiamo il metodo del realismo socialista” (3).
Nonostante la repressione della libertà artistica, non furono certo pochi gli artisti che decisero di sposare o quantomeno venire a patti con la causa sovietica; Konstantin Stanislavskij (1863-1938) per quando riguarda il teatro e Isaak Brodskij (1884-1939) per quando riguarda la pittura, sono due ottimi esempi in tal senso.
Se furono numerose le adesioni alla nuova ideologia di Stato, non mancarono certo le voci controcorrente, osteggiate e tal volte uccise dal regime stesso, come successe a Michail Bulgakov (1891-1940) nel primo caso e Vsevolod Mejerchol’d (1874-1940) nel secondo.
Mejerchol’d e Bulgakov erano due intellettuali dalle origini sociali diversissime, ma poco più d’un mese intercorre tre le loro morti occorse tra il febbraio e il marzo del 1940, che devono essere lette alla luce della situazione politica contingente, poiché le circostanze della fine di entrambi furono determinate dalle scelte del potere politico. Nel caso di Bulgakov in modo indiretto il regime relegò le sue opere nell’oblio della vita culturale del paese: il grande scrittore nato a Kiev morì nella più completa indigenza, nell’indifferenza dei contemporanei, il suo capolavoro, il romanzo “Il Maestro e Margherita” (Мастер и Маргарита), non verrà pubblicato fino al 1967. Mejerchol’d, grande attore e regista del Teatro d’arte di Mosca subì un trattamento ben peggiore: venne rapito, torturato, costretto a un processo pretestuoso durato una ventina di minuti e successivamente ucciso dal NKVD (Commissariato del popolo per la sicurezza interna).
Mejerchol’d nacque nel 1874 a Penza, grande città a circa seicento chilometri dalla capitale russa. Si trasferì a Mosca per frequentare l’università, ma una volta arrivato nella grande capitale decise di iscriversi all’Istituto Drammatico-Musicale della Filarmonica. Suo maestro fu Nemirovič Dančenko (1858-1943), che sarebbe divenuto co-fondatore del Teatro d’Arte con Stanislaviskij nel 1898. La Rivoluzione d’Ottobre vide Mejerchol’d tra le fila degli attivisti più entusiasti, le sue idee erano volte da anni alla creazione del nuovo teatro sovietico che fosse espressione di una Russia libera dall’eredità culturale zarista. Aderì al Partito Comunista nel 1918 e divenne animatore e presidente del dipartimento teatrale al Commissariato per l’Istruzione (NKP), insieme ad Olga Kameneva, prima moglie di Lev Kamenev, (1883-1936). Mejerchol’d si dimostrò eccessivamente intransigente e troppo vicino alle posizioni dei ‘futuristi’, un termine generico che negli anni Venti connotava tutti i movimenti artistici radicali della Russia sovietica. La libertà creativa e lo spirito riformista durarono soltanto per un breve lasso di tempo dopo la rivoluzione, Il capo del Commissariato per l’istruzione, Anatolij Lunačarskij (1875-1933), ottenne da Lenin il permesso di riformare la politica del governo riguardo il teatro, in favore di un ritorno a spettacoli “più tradizionali” licenziando la Kameneva nel giugno 1919. Tornato a Mosca, Mejerchol’d decise di rompere con la dottrina ufficiale e fondò un proprio teatro che riuscì ad operare tra molte difficoltà fino al 1938, due anni prima della tragica morte del suo fondatore. Olga Kameneva sarebbe divenuta una delle numerose vittime delle purghe staliniane l’11 settembre 1941.
Bulgakov, nacque nel 1891 a Kiev, Ucraina, allora parte integrante dell’immenso impero degli Zar. Primogenito di una famiglia agiata di sacerdoti ortodossi si orientò verso una carriera da medico, laureandosi nel 1916. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Bulgakov, prestò servizio come medico militare al fronte e in seguito allo scoppio della guerra civile si unì all’Armata Bianca, al pari di alcuni suoi fratelli. Terminata la guerra con la disastrosa sconfitta dell’esercito Bianco, nella fase di consolidamento del potere sovietico, mentre una parte della famiglia di Bulgakov aveva scelto la via dell’esilio, lo scrittore decise di rimanere in patria, si stabilì a Mosca, dove si trovò a fronteggiare un periodo di difficoltà economiche, dedicandosi alla professione di scrittore (Bulgakov decise di lasciare il lavoro da medico nel 1920).
I suoi scritti fin dal principio catalizzarono critiche e le attenzione dei censori del regime sovietico per il loro presunto intento antirivoluzionario. Bulgakov si trovò a fare i conti con accuse e una netta censura, uno scontro che segnò la sua intera esistenza futura e ne alimentò la paranoia, nevrosi che lo accompagnò fino alla morte.
Alla fine degli anni Venti, con l’irrigidimento ideologico in corso nell’ Unione Sovietica stalinista, il lavoro di Bulgakov finì per essere definitivamente bandito: nell’1929 tutti i suoi drammi erano stati messi sotto censura.
In preda alla disperazione, il drammaturgo decise di scrivere una lettera al governo, chiedendo il permesso di emigrare o, in alternativa, di avere un impiego da coregista al Teatro d’Arte, o qualunque altra cosa avesse il potere di strapparlo alla strada. Ricevette risposta attraverso una telefonata di Stalin in persona che lo rassicurava, il 18 aprile 1930: “Salve, compagno Bulgakov». «Salve, Iosif Vissarionovic». «Abbiamo ricevuto la sua lettera. L’abbiamo letta con i compagni. A tal proposito riceverà una risposta positiva… Ma è proprio vero che lei chiede di andarsene all’estero? Siamo stati così cattivi?». «Ho pensato molto negli ultimi tempi se uno scrittore russo possa vivere fuori dalla sua patria. E mi sembra di no” (4)
Era il 18 aprile 1930, il giorno dopo i funerali di Majakovskij, poeta sovietico suicida, che avevano destato un’immensa partecipazione popolare. Le parole di Stalin, rimasero parole al vento, il 10 marzo del 1940, Bulgakov morì di una patologia ereditaria (nefrosclerosi), con al capezzale la moglie Elena, e con il romanzo “Il Maestro e Margherita” (Мастер и Маргарита) ancora solo in forma di manoscritto nella più totale indifferenza dei suoi contemporanei.
La posizione di Mejerchol’d e Bulgakov nei confronti del potere sovietico può venire considerata come una commistione di attrazione e repulsione. La differenza sociale e artistica tra questi due grandi artisti russi venne meno quando la preoccupazione di Bulgakov per il destino di Mejerchol’d dopo la chiusura del suo teatro, suggeriscono, su un piano interpersonale, la comune mescolanza di paura e disgusto da essi provata per il potere pervasivo e totalitario dell’Unione Sovietica e per la sua ideologia, che segnò violentemente le loro vite.
“L’arte dell’avvenire sarà soprattutto realista? Non lo credo. […]. Noi domandiamo all’arte quello che la fotografia, sia pure policroma, non può darci: la bellezza suggestiva delle forme e dei movimenti, la radiosità, l’intensità, o il mistero del colore, in una parola, l’equivalente, nel campo dell’arte, di ciò che è la poesia in quello della letteratura.”
Salomon Reinach
Note
(1). “Letter from Lenin to Gorky”, (1919), Library of Congress, Washington, 2010. https://www.loc.gov/exhibits/archives/g2aleks.html
(2). “Marxism versus Liberalism” an interview with H.G. Wells, (1934), Red Star Press Ltd., London, 1978. https://www.marxists.org/reference/archive/stalin/works/1934/07/23.htm
(3). “Arte e socialismo”, Andrej Ždanov, Cooperativa editrice nuova cultura, Milano, 1970.
(4). “Michail Bulgakov. Cronaca di una vita”, Marietta Cudakova, Odoya, Bologna, 2013.
A cura di Cristopher Palavisini che per L’Eclettico ha già scritto numerosi articoli per la sezione “cultura”, tra cui Cuore di cane e L’ora del diavolo di Ferdinando Pessoa.
© Riproduzione riservata
il senso di “classe” comporta una condizione specifica nella quale l’identificazione non è ideologica (non si nasce o si sceglie di essere …proletari tipo: peccato originale col quale nascono tutti i cristiani seguaci del cattolicesimo mistico e religioso: Essere proletari è una condizione sociale, così come essere “accademivi o la cosiddetta “intelligencija” cioè gli intellettuali). Classe in sè significa, in termini marxisti, quando un settore sociale, una classe, vive le stesse condizioni di vita, di esistenza materiale e di sfruttamento lavorativo. Il conflitto che esso può generare, per riscattare e emanciparsi dalla precedente condizione di miseria, povertà materiale e subordinazione sia culturale che materiale, crea le condizione che possano diventare: “classe in se” quindi non soggettivi bensì collettivi. Cosa questa difficile – per condizioni sociali, economiche e per i privilegi aristocratici storici (solo certi appartenenti a settori sociali ben definiti, oppure esponenti di caste nobiliari aristocratiche e quant’altro era permesso frequentare istituti scolastici, universitari e simili), dversificando quindi i loro interessi materiali e altro. Percià mi pare legittima la considerazione che i bolscevichi fecero nell’analizzare quei settori sociali di “intellettuali” e soggetti simili. La storia insegna che proprio da questi settori nascano poi elementi e soggetti “ambigui” i quali non hanno nel proprio interesse quello della collettività bensi solo quello dell’individualità e il “bolscevismo” come teoria politica ha sempre combattuto e osteggiato queste figure portate storicamente a compromessi, “cambi di casacca” e quant’altro. Non giudicatemi, vi prego, come un’inveterato custode di una ortodossia “trinariciuta” (come un vecchio comunista d’antan). La fase che stiamo attraversando contiene in se molti elementi e tendenze da analizzare al meglio senza avere “paraocchi ideologici e settari” ma avendo ben presente l’analisi di classe corretta per meglio conoscere chi può accompagnarci nei tentativi possibili per cercare di modificare a nostro favore (della classe lavoratrice) i rapporti di forza attuali che sono totalmente a sfavore del “popolo” (non inteso in senso reazionario o destrorso ma nel senso etico e razionale del concetto) .Il discorso si sta facendo troppo lungo e rischio di essere oggetto di malinteso, a prossimi scambi di riflessioni. Saluti a tutti e fate buone vacanze , nel mio piccolo vi seguo con interesse e …curiosità!
[…] https://leclettico.com/2019/07/04/intelligencija-e-potere-sovietico/ […]