Sono passati ventisette anni dal riot di Los Angeles durato cinque giorni e che causò ben 52 morti, 2383 feriti e più di 16.000 arresti. La miccia che fece esplodere i tumulti fu accesa dall’assoluzione di quattro poliziotti accusati dell’aggressione dell’afroamericano Rodney King, picchiato violentemente il 3 marzo 1991, nonostante un video provasse il pestaggio ad opera dei poliziotti.
A ciò fecero seguito incendi, sparatorie e saccheggi che interessarono soprattutto la zona del South Central e che misero a ferro e fuoco parte della città suscitando lo sconcerto dell’opinione pubblica americana. Bisogna dire tuttavia che l’assoluzione dei poliziotti fu l’ultima espressione di una tensione, legata alla questione razziale, che veniva covata da tempo e che evidentemente era pronta a manifestarsi in tutta la sua forza.
Le conseguenze negative delle politiche economiche e sociali portate avanti da Reagan negli anni ’80 infatti avevano interessato soprattutto i quartieri periferici delle grandi città, abitati prevalentemente dalle minoranze, in primis quella afroamericana. Il forte sviluppo della tecnologia, connesso da una parte alla delocalizzazione delle imprese in aree dove il costo del lavoro era più basso e dall’altra all’aumento degli investimenti nel settore terziario dove venivano ricercati più facilmente lavoratori specializzati o comunque più qualificati, di fatto contribuirono ad aumentare la disoccupazione e le disuguaglianze all’interno di tali aree[1]. Ad esempio a livello nazionale, la percentuale della popolazione che viveva con un reddito inferiore alla soglia di indigenza passò dall’11% del 1971 al 17,7% del 1991[2] mentre Los Angeles, e in generale in buona parte della California Meridionale, stavano vivendo una pesante recessione, una delle peggiori dal dopoguerra.
A differenza del riot di Watts del 1965, che si prolungò per sei giorni e causò ben 34 morti, non furono tuttavia in primo luogo gli afroamericani a partecipare ai disordini: come ha fatto notare lo storico Bruno Cartosio infatti quest’ultimi furono i più reattivi, ovvero furono i primi ad avviare le proteste il 29 aprile, poco dopo essere venuti a conoscenza dell’assoluzione dei poliziotti, mentre nella fase dei saccheggi e degli incendi furono in prima linea gli ispanici[3]. I dati relativi agli arresti effettuati in seguito ai fatti avvenuti a Los Angeles resero evidente una simile composizione etnica e razziale: il 36,9 % dei fermi erano avvenuti a danno dei latinos, il 29,9 erano afroamericani mentre il 6,8% erano bianchi.
Non fu quindi né una rivolta sociale né una rivolta di classe, anche secondo quanto affermato dal filosofo e attivista politico Cornell West, ma piuttosto il dispiegamento multirazziale, interclassista e in prevalenza maschile di una potente rabbia sociale[4].
Inoltre i tumulti produssero anche uno scontro interetnico, come dimostrato dagli atti di saccheggio e vandalismo ai danni dei negozi gestiti dai coreani sui quali pesavano decenni di tensioni alimentate da forti pregiudizi. I coreani infatti si erano inseriti da poco all’interno del tessuto sociale urbano aprendo molti negozi ed erano per questo accusati, soprattutto dagli afroamericani, di sottrarre loro posti di lavoro. Simili convinzioni furono oltretutto amplificate dall’omicidio della quindicenne nera Latasha Harlins, avvenuto a Los Angeles nel 1991, pochi giorni dopo il pestaggio ai danni di Rodney King, ad opera di una commerciante di origine coreane, Son Ja Du, la quale aveva scambiato la vittima per una rapinatrice. La Du fu poi condannata a 5 anni di carcere ma la pena fu valutata come troppo poco severa dalla comunità afroamericana.
In tal senso secondo lo storico Stefano Luconi quella di Los Angeles fu uno scontro inserito all’interno di una vera e propria “guerra tra poveri”: secondo lui infatti le tensioni tra afroamericani, coreani e ispanici erano dovute anche e soprattutto al fatto che essi si vedevano in competizione tra loro all’interno del mercato del lavoro[5].
Nel quadro dei tumulti ebbero poi un ruolo piuttosto rilevante anche i membri delle gang di strada che abitavano il quartiere e che erano accusate non di rado di vivere di atti di delinquenza e di microcriminalità. Eppure anche queste formazioni nascevano spesso anche come forma di autodifesa dalle condizioni di vita dei quartieri, le quali come detto erano peggiorate a partire soprattutto dagli anni ’80; esse quindi si svilupparono dal vuoto di vita sociale di questi luoghi, sostituendosi alle strutture istituzionali e finendo talvolta per esercitare una vera e propria funzione sociale[6].
Dati questi presupposti si può pertanto affermare che il riot fu in parte conseguenza di una serie di problematiche sviluppatesi nel lungo periodo, come ad esempio la crisi del welfare capitalism di matrice rooseveltiana, che ebbero come culmine le politiche economiche e sociali portate avanti dal Partito repubblicano, in particolare sotto la presidenza Reagan.
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[1] Michelle Alexander, The New Jim Crow: mass Incarceration in the Age of Colorblindness, The new Press, New York, 2012, p. 51.
[2] Stefano Luconi, La questione razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, Cleup, Padova, 2008, p. 242.
[3] Bruno Cartosio, Los Angeles e il dopo Reagan, in Senza illusioni. I neri negli Stati Uniti dagli anni sessanta alla rivolta di Los Angeles, Shake Edizioni, Milano, 1995, pp. 185, 186.
[4] Bruno Cartosio, Los Angeles e il dopo Reagan, in Senza illusioni. I neri negli Stati Uniti dagli anni sessanta alla rivolta di Los Angeles, Shake Edizioni, Milano, 1995, p. 187.
[5] Stefano Luconi, La questione razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, Cleup, Padova, 2008, p. 241.
[6] Bruno Cartosio, Los Angeles e il dopo Reagan, in Senza illusioni. I neri negli Stati Uniti dagli anni sessanta alla rivolta di Los Angeles, Shake Edizioni, Milano, 1995, p. 192.

Sono nato nel 1992 a Pisa. Mi sono laureato in Storia Contemporanea all’Università di Pisa con una tesi sulla radicalizzazione del Civil Rights Movement afroamericano all’interno della stampa italiana. Nel corso dei miei studi mi sono occupato in particolar modo di storia culturale degli anni ’60. Ho inoltre collaborato con un portale online (Bzona.it) che si occupa di calcio e con altri siti e blog che si occupano di politica e musica, di cui sono un grande appassionato.