Sembra una barzelletta di Ferragosto in ritardo la notizia che Trump vorrebbe acquistare, per conto degli USA, la Groenlandia.
Una barzelletta dagli amari risvolti perché mette a nudo, per l’ennesima volta, l’inefficienza di questa amministrazione nella gestione della politica estera, anche in un territorio tradizionalmente considerato parte della dottrina Monroe.
Una barzelletta anche se consideriamo che la Groenlandia è attraversata, da decenni, da un ampio dibattito su una possibile indipendenza dalla Danimarca o su una maggiore autonomia, dibattito che riguarda anche il passato coloniale dell’isola cui solo nel 1953 Copenaghen ha tolto lo status di colonia.
Gli indipendentisti e gli autonomisti in Groenlandia sono rappresentati dai primi due partiti (Siumut 27% e Inuit Ataqatigiit 25%), solo il terzo partito (Demokraatit, 19%) non vede di buon occhio l’indipendenza dell’isola. Non solo, anche la storia recente racconta della volontà dei groenlandesi di divenire un paese più autonomo. Nel 1982 l’isola, allora all’interno della Comunità Economica Europea in quanto parte del Regno di Danimarca, approvò un referendum (53% a favore) per l’uscita dalla Comunità per affermare in maniera più decisa la propria indipendenza e per il timore che le politiche sulla pesca europee potessero inficiare le proprie. Non solo, dal 2008 in seguito ad un nuovo referendum la Groenlandia ha esteso ulteriormente la propria autonomia in ambito legislativo, giudiziario e nella gestione delle risorse naturali, mentre Copenaghen continua a destinare una buona fetta del PIL per sostenere l’economia dell’isola. Il sostegno economico all’economia della Groenlandia significherebbe che Washington, in caso di acquisto, dovrebbe farsene carico: ciò appare contraddittorio visto che Trump è reticente a sostenere economicamente Puerto Rico che è già territorio non incorporato degli USA.
D’altro canto la Groenlandia è ricca di risorse minerarie ed è un’ottima area di pesca. Soprattutto è territorio geostrategico perché controlla l’accesso all’arcipelago artico canadese, all’Eurasia e al Nord America tramite il mare del Nord, quindi l’Artico sul quale si gioca ormai da tempo una silenziosa “guerra fredda”, in cui anche la Cina è coinvolta, in seguito allo scioglimento dei ghiacci e all’apertura di un nuova via commerciale e militare e ai giacimenti petroliferi nel Polo Nord.
Sempre dal punto di vista della difesa la Groenlandia permette di estendere l’area di patrolling, con la Thule Air Base, dei cieli da possibili attacchi con missili balistici e non provenienti dalla Russia o da sottomarini nell’area artica, aspetto che con la fine del trattato Inf e la nuova corsa al riarmo, testimoniata anche dai missili Skyfall russi, torna ad essere centrale. In più l’isola garantisce, la presenza di importanti stazioni meteorologiche per i sottomarini e le navi di pattugliamento per l’Europa, quindi ambito NATO.
E poi c’è la Cina che ha ottenuto la concessione di alcune miniere cruciali in Groenlandia e che era riuscita ad ottenere dal governo locale l’approvazione per la costruzione di tre aeroporti nel 2018, poi bloccata dalla Danimarca in seguito alle proteste americane.
Amari risvolti geopolitici in un’area strategica a causa di un’amministrazione inetta ed incapace, con il rischio di spingere l’autonomista Groenlandia sempre più verso i prestiti cinesi.
Altre fonti:
Jen Claus Hanesen, Jorgen Taagholt, Greenland security perspectives, Fairbanks, Arctic Research Consortium of the United States, 2001.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.