Uno sguardo sorridente e beffardo: Giancarlo Siani “rivive” nel comune campano di Giugliano, in un murales dipinto dall’artista napoletano Jorit. L’opera è stata realizzata a luglio nella zona della Ex Resit, un’area che è stata oggetto di un grave inquinamento ambientale. Un personaggio simbolo della lotta alle mafie scelto per segnare un nuovo inizio, la cui storia è sinonimo di coraggio e impegno civile.
Siani era un ragazzo che decise di fare il giornalista per raccontare ciò che accadeva nella sua terra. Aveva una forte passione per la scrittura e le inchieste. Sognava di ottenere, prima o poi, un contratto e un lavoro stabile. Ed era pronto a mettere a repentaglio la propria vita per denunciare le attività illegali della camorra.
Nato a Napoli il 19 settembre del 1959 Siani partecipò ai movimenti studenteschi del 1977 e dopo essersi iscritto all’Università Federico II di Napoli cominciò a collaborare con alcuni periodici locali. Scrisse articoli per Il Lavoro nel Sud, mensile della CISL, e successivamente iniziò a lavorare come corrispondente da Torre Annunziata per Il Mattino di Napoli. Sul quotidiano partenopeo fondato da Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao si occupava prevalentemente di cronaca nera e camorra. Il giovane giornalista scriveva delle famiglie che controllavano il paese e, in particolare, dei loro rapporti con i politici locali. La posta in gioco? L’assegnazione degli appalti pubblici per la ricostruzione delle aree coinvolte dal terremoto dell’Irpinia del 1980. In quegli anni sindaco di Torre Annunziata era il socialista Domenico Bertone. Il primo cittadino teorizzava e praticava il principio della “tranquillità del territorio”, fondato su uno stabile rapporto tra gli esponenti politici e imprenditoriali e la criminalità organizzata. Per facilitare le cose Bertone aveva costituito una società di consulenza amministrativa che aveva il compito di orientarsi nella “miniera d’oro” dei finanziamenti statali, regionali ed europei. Secondo lo storico Francesco Barbagallo “un unico centro di imputazione del controllo criminale e di quello politico funzionava da acceleratore per l’arricchimento di tutte le componenti del sistema: politiche, criminali, imprenditoriali [1].
Siani combatteva una battaglia silenziosa contro questo sistema. E lo faceva attraverso i suoi scritti e articoli (almeno 300) apparsi sul “Mattino”, su “Il Lavoro nel Sud” e in alcuni saggi pubblicati dall’”Osservatorio sulla camorra”.
In un articolo pubblicato il 10 giugno del 1985 Siani scrisse della famiglia di Valentino Gionta e del clan Nuvoletta, potente alleato dei Corleonesi di Totò Riina. Il giornalista accusava i Nuvoletta e i Bardellino (un altro clan) di voler spodestare e “vendere” alla polizia Gionta. Partito come pescivendolo, il boss camorrista era riuscito a costruirsi un giro di affari sempre più vasto, prima con il contrabbando di sigarette, e poi con il traffico di stupefacenti. L’8 giugno del 1985 Gionta venne però arrestato poco dopo aver lasciato la tenuta di Lorenzo Nuvoletta a Marano di Napoli. Basandosi sulle informazioni di un suo amico carabiniere, Siani aveva scritto: “La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan dei Bardellino”. Passarono soltanto tre mesi da quell’articolo e Siani venne ucciso sotto casa, mentre era seduto nella sua macchina, una Citroën Méhari verde. Era il 23 settembre 1985: morì a soli 26 anni, sotto il fuoco di dieci colpi di pistola sparati da due killer.
L’iter processuale per scovare gli assassini di Siani si rivelò lungo e complesso. Ma la collaborazione dei parenti di Gionta e di alcuni camorristi, insieme a una serie di intercettazioni e di testimonianze, consentirono al pubblico ministero Armando D’Alterio di ricostruire questa vicenda. Il 15 aprile 1997, la seconda sezione della Corte d’Assise di Napoli condannò all’ergastolo Valentino Gionta, Angelo e Lorenzo Nuvoletta e Luigi Baccante come mandanti dell’omicidio, Ciro Cappuccio e Armando Del Core come esecutori materiali. Le pene vennero poi confermate dalla Cassazione.
Nonostante le condanne definitive, per alcuni l’omicidio Siani continua ad essere un giallo irrisolto. Secondo il giornalista Roberto Paolo, vicedirettore del quotidiano napoletano Roma, non furono due i killer che massacrarono Giancarlo Siani. In un libro intitolato “Il Caso non è chiuso. La verità sull’omicidio Siani” Paolo sostiene che i veri colpevoli non sarebbero finiti in carcere. A volere la morte del giovane cronista sarebbero stati i Giuliano, non i Nuvoletta. Per ricostruire l’iter giudiziario dell’omicidio il giornalista si è avvalso di atti processuali e testimonianze che sono consultabili liberamente sul sito di Trame Festival.
Come l’attività e l’impegno civile di Siani continuano a vivere nel murales di Giugliano di cui parlavamo all’inizio, così, allo stesso tempo, continuano a circolare alcune ombre riguardo il suo omicidio. Parafrasando Tommaso Besozzi – giornalista dell’Europeo che ricostruì il caso della morte del bandito Giuliano – verrebbe da dire: “L’unica cosa certa è che è morto”.
[1] Francesco Barbagallo, Storia della camorra, Laterza, Bari, 2010, p. 144.
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Immagine di copertina: Pagina Facebook di Jorit

Cofondatore de L’Eclettico e giornalista professionista. Mille pensieri, tanta curiosità e voglia di mettersi in discussione. Scrivo, ascolto e leggo (parecchio). Mi sono laureato in Storia e ho avuto la possibilità di studiare la criminalità organizzata, tema di cui mi occupo con frequenza. Per lavoro seguo in maniera ossessiva la politica e tutto ciò che vi ruota attorno. Ogni tanto però mi concedo una pausa, qualche viaggio all’estero o in Italia. Al mio fianco ho sempre un sottofondo musicale: il rap.