Sono gli anni ‘‘70: Cesare Terranova, magistrato con una lunga carriera alla spalle, era tornato da poco a Palermo. Aveva trascorso due legislature in Parlamento, dove era stato eletto nelle file del Partito Comunista. Un’esperienza politica importante, vissuta soprattutto come membro della Commissione Parlamentare Antimafia. In quelle vesti si occupò perlopiù dei rapporti che intercorrevano tra la politica e la mafia, tra i democristiani Giovanni Gioia, Salvo Lima, Vito Ciancimino e i boss di Cosa Nostra. Come ha notato lo storico Salvatore Lupo, “Terranova tornò in magistratura a Palermo con idee più precise e analisi più approfondite sulla mafia”. E, proprio per questo, “venne ferocemente assassinato” [1].
25 settembre 1979, sono le 8:30: Terranova esce di casa per recarsi alla Corte d’Appello di Palermo. Sotto casa lo aspettava Lenin Mancuso, fidato guardaspalle e agente di pubblica sicurezza. Il giudice si mette al volante dell’auto di scorta mentre Mancuso sale come passeggero. Poco dopo, la vettura viene affiancata da alcuni killer che aprono il fuoco. Terranova muore sul colpo, mentre Mancuso morirà dopo poche ore in ospedale.
Terranova era un pericolo per le cosche mafiose, soprattutto per la famiglia corleonese di Luciano Liggio. Fu lui a promuovere l’istruttoria alla base del processo (celebrato per legittima suspicione a Catanzaro) che nel 1968 portò alla sbarra l’establishment della mafia palermitana in massa. Un processo che portò ad alcune pesanti condanne, ma che segnò un saldo finale negativo; ci furono infatti ben 44 assoluzioni e gran parte dei capimafia potè tornare in libertà. Sempre Terranova, nel 1969 svolse il ruolo di procuratore d’accusa nel processo di Bari, che vedeva Liggio e la cosca corleonese sedere nel banco degli imputati. Anche in questo caso i risultati finali si rivelarono negativi: poche condanne e molte assoluzioni. Ma è interessante leggere alcune parti dell’istruttoria redatta da Terranova in questo processo. Il magistrato scriveva che la mafia “non è uno stato d’animo, ma è criminalità organizzata, efficiente e pericolosa, articolata in aggregati o gruppo o “famiglie”. Si tratterebbe di “associazione delinquenziale”; troppi le attribuirebbero “una funzione addirittura di equilibrio o, comunque, positiva nella società, in sostituzione o ad integrazione dei poteri carenti dello Stato”[2]. L’ex membro della Commissione Parlamentare Antimafia dimostrava di conoscere bene il fenomeno mafioso.
Appena tornato a Palermo Terranova era stato nominato presidente di sezione della Corte d’Appello. Una collocazione che veniva considerata temporanea, in attesa di un altro incarico: la direzione dell’Ufficio Istruzione. Ecco il movente del delitto: la mafia sapeva che questo giudice poteva essere un pericolo e ne tirò le conseguenze.
Al movente dell’omicidio di Terranova e Mancuso si era giunti grazie alla dichiarazioni di Tommaso Buscetta. Il pentito, in un interrogatorio davanti a Giovanni Falcone , raccontò che Liggio era il mandante dell’omicidio. Il boss corleonese voleva vendicarsi di Terranova, che gli aveva inflitto un ergastolo nel 1975. La tesi venne poi confermata anche dal pentito Francesco Di Carlo , secondo cui il boss corleonese era il mandante e Leoluca Bagarella, Giuseppe Madonia, Giuseppe Gambino e Vincenzo Puccio gli esecutori. Dietro l’omicidio non si nascondevano però soltanto i propositi di “vendetta”. Si trattava di un “omicidio preventivo”: Cosa Nostra (come dicevamo sopra) voleva stroncare sul nascere il lavoro che il magistrato avrebbe potuto svolgere a Capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo.
Poco prima di essere ucciso Terranova rilasciò un’intervista a un quotidiano locale [3] in cui spiegò quanto fosse ingannevole la differenziazione tra mafia vecchia e mafia nuova. Osservò che il traffico di droga non era una novità di quegli anni. Intuì come dentro Cosa Nostra stesse avvenendo un “colpo di stato” guidato dai Corleonesi.
Il magistrato dimostrò un impegno e una professionalità fuori dal comune fino all’ultimo giorno della sua vita. Lasciò un’eredità di conoscenze e acquisizioni importanti, che verranno raccolte da altri magistrati valorosi: Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Magistrati protagonisti di un’altra stagione, quella in cui lo Stato decise di rispondere e di reagire alla violenza mafiosa.
[1] Salvatore Lupo, (a cura di) Gaetano Savatteri, Potere Criminale. Intervista sulla storia della mafia, Roma-Bari, Laterza, p. 115.
[2] Istruttoria Liggio pp. 208 – 29 citata in Salvatore Lupo, La Mafia, Centosessant’anni di storia, Roma, Donzelli, p. 256.
[3] Saverio Lodato, Venti anni di mafia. C’era una volta la lotta alla mafia, Roma, Rizzoli, p. 18.
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Cofondatore de L’Eclettico e giornalista professionista. Mille pensieri, tanta curiosità e voglia di mettersi in discussione. Scrivo, ascolto e leggo (parecchio). Mi sono laureato in Storia e ho avuto la possibilità di studiare la criminalità organizzata, tema di cui mi occupo con frequenza. Per lavoro seguo in maniera ossessiva la politica e tutto ciò che vi ruota attorno. Ogni tanto però mi concedo una pausa, qualche viaggio all’estero o in Italia. Al mio fianco ho sempre un sottofondo musicale: il rap.