Quasi all’inizio dell’ultimo anno di mandato (siamo già nell’anno elettorale) è iniziata la procedura preliminare per mettere sotto impeachment il presidente Donald Trump. Lo ha annunciato martedì la speaker democratica della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi (citando, peraltro, Thomas Paine), motivando la decisione con l’accusa al presidente di aver tradito il giuramento fatto al momento dell’elezione, manipolando la politica estera per fini elettorali.

L’accusa riguarda una questione complessa in cui sono coinvolti Joe Biden, uno dei candidati di spicco per le presidenziali 2020, e suo figlio Hunter, ex membro del consiglio di amministrazione di una società ucraina di gas. Il caso è scoppiato il 12 agosto quando un funzionario del governo presentò una whistleblower complaint contro Trump, accusandolo di avere fatto pressioni inopportune su un leader straniero, senza specificare che si trattava del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, durante una telefonata. La notizia si è diffusa e alcuni quotidiani statunitensi, in particolare Washington Post, New York Times e Wall Street Journal, hanno individuato in Zelensky il leader straniero. Trump avrebbe dunque domandato a Zelensky, il 25 luglio, di avviare un’indagine su Joe (all’epoca dei fatti vicepresidente di Obama)  e Hunter Biden, sollecitando il presidente ucraino ben otto volte ad accettare. Secondo il Wall Street Journal Trump avrebbe voluto dimostrare che Biden si era comportato illegittimamente, sollecitando le dimissioni di Viktor Shokin all’epoca procuratore ucraino che indagava sulla società in cui era impiegato Hunter. Accusa che, al momento, non è supportata da prove e pare contraddittoria visto che Shokin era criticato proprio per le scarse attenzioni date alla società di Hunter Biden.

L’accusa che viene rivolta a Trump è quindi quella di avere manipolato la politica estera, cercando l’intervento di un paese straniero nelle elezioni americane, per screditare l’immagine di Joe Biden, attualmente tra i suoi possibili rivali per le presidenziali del 2020. Non solo, ad aggravare la situazione è il fatto che nel corso della telefonata Trump  avrebbe rimandato l’invio di nuovi importanti aiuti militari all’Ucraina per tentare di convincere Zelensky a collaborare.

Sin dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, con i sospetti di interferenze russe nelle elezioni, una parte del Partito democratico ha invocato la procedura d’accusa. Ora, pare che nel partito sia prevalsa la linea favorevole, soprattutto nell’ala più a sinistra.

La procedura d’impeachment, prevista dalla Costituzione, a livello federale implica la messa in stato d’accusa di un funzionario governativo da parte del Congresso e, in caso di condanna, la sua rimozione dall’ufficio. I casi in cui è previsto l’impeachment sono tre: tradimento, corruzione e crimini gravi. L’iter procedurale prevede che venga approvata la richiesta dalla Camera dei Rappresentanti con una maggioranza qualificata; dopo di che il Senato diventa un tribunale presieduto dal Chief Justice della Corte Suprema. Anche nel caso del Senato è necessaria una maggioranza qualificata per ottenere l’impeachment.

Fino ad ora sono state tre le procedure di impeachment nella storia, nessuno dei quali ha portato alla destituzione del presidente: Andrew Johnson nel 1868; Bill Clinton nel 1998 e Richard Nixon per lo scandalo Watergate, anche se si dimise prima che la procedura fosse avviata (1974). Nel caso di Trump siamo ancora alla fase preliminare e non è detto che si arrivi alla fase successiva. Ieri è stata rilasciata una trascrizione parziale della telefonata tra Trump e Zelensky dalla quale emerge che il presidente statunitense avrebbe esercitato pressioni sul suo omologo ucraino. È quindi prevedibile che alla Camera l’impeachement passerà con la maggiornaza qualificata, anche perché è il ramo del parlamento controllato dai democratici. Difficile, anzi improbabile che l’impeachment convincerà anche i senatori: la maggioranza si ottiene con 67 senatori su 100; i senatori repubblicani sono 53, quindi almeno 20 di questi dovrebbero votare contro il proprio presidente.

Se, comunque, si è arrivati alla fase preliminare è perché alcune condizioni sono cambiate rispetto al passato: i democratici, dopo le mid-term del 2018, controllano il Congresso (il Senato è ancora nelle mani dei Repubblicani); nel corso di questi anni si sono accumulate numerose (forse anche troppe) accuse e sospetti verso l’inquilino della Casa Bianca, su cui continuano a pesare gravemente i risultati del rapporto Mueller. Probabilmente ad influenzare la decisione di Nancy Pelosi e la leadership democratica è stata la speranza di ricompattare il partito – l’impeachment è largamente approvato dall’ala sinistra del Partito.

Viene da domandarsi se la scelta dell’impeachment sia stata opportuna. Viste, infatti, la gravità delle accuse e del procedimento serviranno delle prove molto solide ed incriminanti per evitare che la decisione si ritorca contro i democratici, favorendo così la campagna per la rielezione di Trump. Sicuramente danneggerà Biden, visto che dovrà difendersi dalle accuse rivolte al figlio. Soprattutto danneggia la costruzione di una piattaforma elettorale democratica popolare e solida, incentrata su temi che attualmente riscuotono successo e sono stati in grado alle mid-term di portare voti ai democratici. Temi come diseguaglianza, la tassazione, in parte l’ambiente e soprattutto la sanità rischiano infatti di essere ora messi in ombra e con loro anche una strategia di lungo periodo che si stava consolidando. In particolare, i sondaggi ci dicono che il tema dell’impeachment non è popolare per molti, soprattutto nella fascia dell’elettorato recentemente conquistata con le mid-term del 2018 – per tacere dei repubblicani, dove l’indice di gradimento del presidente rimane molto forte. Da tenere di conto, inoltre che diversi sono i dossier aperti, alcuni dei quali molto delicati in politica estera, e che il Congresso è tradizionalmente restio a prendere decisioni eclatanti durante l’anno elettorale. Se l’impeachment non dovesse arrivare fino in fondo Trump sarebbe assolto da ogni accusa e potrà sfruttare il procedimento per accusare i democratici di una caccia alle streghe alimentando, così, il pesante e divisivo clima che si respira ormai negli Stati Uniti. E c’è già chi sostiene che sia stata una strategia di Trump per attirare consensi.

Nel frattempo le borse martedì hanno accolto con un ribasso la dichiarazione di Pelosi; mercoledì, invece, i listini hanno inizialmente continuato a soffrire la dichiarazione, per poi risollevarsi per un annuncio di Trump ottimistico sul raggiungimento di un accordo sui dazi con la Cina prima del previsto.

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