Francesco Fortugno, medico e vicepresidente del Consiglio Regionale calabrese, stava votando per le primarie dell’Unione, la coalizione di centrosinistra guidata all’epoca da Romano Prodi. Ma una volta uscito da Palazzo Nieddu (il seggio elettorale di Locri) venne freddato con dei colpi di pistola sparati da un killer.
Era il 16 ottobre 2005, la ‘ndrangheta aveva deciso di puntare in alto, colpendo un esponente di prima fascia della gerarchia politico – amministrativa.
Le modalità dell’omicidio furono altamente spettacolari e inusuali per la ‘ndrangheta reggina, che, nei rari casi in cui commise omicidi eccellenti, aveva evitato qualsiasi tipo di spettacolarizzazione. Per esempio quando decise di uccidere il sostituto procuratore generale della Cassazione, Antonio Scopelliti; il magistrato venne ammazzato lungo una strada deserta, senza la presenza di alcun testimone.
Fortugno è stato ucciso all’interno dell’atrio di uno dei palazzi più importanti e conosciuti di Locri. Al momento dell’omicidio (erano le 17:30) il luogo era affollato per le presenza degli elettori al seggio, dei politici e dei giornalisti. Le indagini hanno consentito di affermare che l’omicidio era stato pianificato da tempo e che la vittima era sotto osservazione da mesi. Gli autori scelsero di colpire in quel momento con la consapevolezza del clamore che ne sarebbe derivato e delle conseguenze di carattere investigativo e repressivo.
L’impatto nell’opinione pubblica e nella vita politica calabrese fu eclatante. Nei mesi seguenti l’azione della Giunta regionale risultò frenata. Il Consiglio Regionale impiegò molti mesi prima di procedere alla nomina del nuovo vicepresidente. Secondo la Commissione Parlamentare Antimafia era da ritenere che il delitto Fortugno, con quelle modalità di tempo e di luogo, venne eseguito da esponenti di una cosca mafiosa, previo avvertimento dei vertici ‘ndranghetisti. “Non appare credibile una ricostruzione per la quale il delitto sarebbe avvenuto all’insaputa della cosca competente per territorio e in generale all’oscuro del sistema mafioso reggino”[1].
Oltre a destare allarme sociale e immobilismo politico, l’omicidio Fortugno aprì le porte a una mobilitazione collettiva senza precedenti, in una cittadina, Locri, dove la mafia poteva permettersi di uccidere un importante esponente politico in pieno giorno. Nacque così un movimento contro la mafia, che aveva il suo asse portante in un’associazione, Ammazzateci tutti , che in breve tempo raccolse consensi e adesioni in tutta Italia.
Resta da capire chi ha voluto l’uccisione di Fortugno. Una sentenza della Corte d’Assise di Locri, che è stata emessa il 2 febbraio 2009, ha condannato all’ergastolo quattro persone: Alessandro Marcianò, 55enne caposala dell’ospedale locrese e il figlio Giuseppe, 28 anni, infermiere, quali mandanti dell’omicidio; Salvatore Ritorto, 27 anni, quale esecutore materiale e il suo coetaneo, Domenico Audino. quale fiancheggiatore a guida dell’auto che trasportò il killer. Il 21 marzo 2006 il gip del Tribunale di Reggio Calabria emetteva nove ordinanze di custodia cautelare per il delitto Fortugno, quattro delle quali raggiungevano esponenti della ‘ndrangheta già detenuti. Tra gli accusati, oltre al killer di Fortugno Salvatore Ritorto, figurava anche il nome di Vincenzo Cordì, capogruppo della cosca locrese impegnata sin dagli anni ’70 in una sanguinosa faida con i rivali Cataldo. Tre mesi dopo, nel maggio 2006, venivano individuati i mandanti in Alessandro e Giuseppe Marcianò. E, affianco ai loro nomi comparì quello di Domenico Crea, di cui i Marcianò erano membri dell’entourage politico. Crea, uomo politico vicino ai boss della ‘ndrangheta e proprietario di alcune cliniche private, primo tra i non eletti nella liste de La Margherita, grazie all’eliminazione del vicepresidente calabrese (Fortugno militava nel suo stesso partito), ricevette un’involontaria promozione a consigliere regionale. Nel 2008 finì arrestato e condannato nell’ambito dell’inchiesta “Onorata Sanità”.
L’8 luglio 2014 la Corte di Cassazione ha confermato l’ergastolo agli appartenenti alla famiglia dei Marcianò di Locri. L’iter giudiziario del delitto si è così concluso, ma rimane lo scenario torbido, caratterizzato dai favoreggiamenti, dalle faide tra cosche rivali e dagli intrecci politico – mafiosi. Uno scenario che tuttora persiste, con una ‘ndrangheta che si conferma la “mafia più potente”, capace di imporre la sua legge in Calabria e di espandersi nel Nord Italia, in tutta Europa e in molte aree del mondo.
Fortugno era un uomo politico che mostrava un impegno continuo e costante in favore della legalità: combatteva una battaglia civica che richiederebbe una mobilitazione collettiva permanente.
[1] Cit. in Francesco Forgione, ‘Ndrangheta. Boss luoghi e affari della mafia più potente al mondo, Roma, Baldini Castoldi Editore, p. 223.
© Riproduzione riservata

Cofondatore de L’Eclettico e giornalista professionista. Mille pensieri, tanta curiosità e voglia di mettersi in discussione. Scrivo, ascolto e leggo (parecchio). Mi sono laureato in Storia e ho avuto la possibilità di studiare la criminalità organizzata, tema di cui mi occupo con frequenza. Per lavoro seguo in maniera ossessiva la politica e tutto ciò che vi ruota attorno. Ogni tanto però mi concedo una pausa, qualche viaggio all’estero o in Italia. Al mio fianco ho sempre un sottofondo musicale: il rap.