In questi mesi le manifestazioni del Fridays For Future, guidate dall’esempio di Greta Thunberg, sono state spesso al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica. Ma non sono state l’unico esempio di movimento di protesta degli ultimi anni portato avanti dai giovani. Tutti questi movimenti, comunque, sono accomunati da cinque limiti: rimanere legati al presente; l’estetizzazione delle forme di protesta a discapito dei contenuti; essere contestazioni monotematiche; la spontaneità, che di per sé non è un limite ma lo diventa se non si struttura e organizza; l’orizzontalità.
Un po’ di contesto
Elemento comune a tutti i movimenti che vengono riportati di seguito, eccezione fatta per quello dei gilets jaunes, è l’azione dei giovani, i quali sono stati il fattore scatenante delle proteste. I movimenti esaminati sono stati scelti per il loro carattere di massa, a differenza di molte altre esperienze che, talvolta, riescono a superare i limiti precedenti.
Le proteste turche che hanno portato a Gezi Park (Istanbul) nel 2013 sono un caso oggi troppo spesso dimenticato. Nonostante il contesto turco sia differente dai paesi sin qui analizzati, esso ha però avuto in sé elementi che si ritrovano anche nei movimenti più recenti. Innanzitutto la tematica ambientalista, incarnata nella difesa del parco cittadino. Difatti, nella consapevolezza dei progetti di demolizione del parco, alcuni residenti di Istanbul avevano formato un comitato in sua difesa. Il 28 maggio iniziò l’occupazione quando uno dei rappresentanti per la difesa del parco notò che il governo aveva iniziato a demolire l’area. La chiamata dei volontari venne fatta attraverso Twitter – piattaforma che, assieme a Facebook, aveva già facilitato lo sviluppo delle primavere arabe. Quello di Gezi fu inizialmente un movimento nato e condotto dai giovani, cui si unirono in seguito anche fasce di popolazione decisamente più anziane. Elemento di interesse ulteriore fu la sperimentazione di forme diverse di socialità e la discussione della realtà portata avanti durante l’occupazione del parco.
Nel febbraio 2018 gli studenti francesi hanno iniziato a manifestare ed occupare le università per protestare contro le riforme dell’accesso all’università e contro la riforma dello statuto dei ferrovieri, accennando timide proposte per una società più inclusiva. Queste proteste, protrattesi fino all’estate, hanno segnalato un tentativo di unire due forme di lotta, quella studentesca e quella dei ferrovieri, attraverso una critica da sinistra alla società e al capitalismo. Ciò nonostante il tema principale era la riforma per l’accesso universitario.
Diverso è invece il caso dei gilets jaunes, movimento spontaneo, non giovanile, iniziato a novembre 2018 ed incentrato sulla contestazione all’aumento del prezzo della benzina, le sperequazioni geografiche e ciò che, agli occhi dei partecipanti, incarna Macron: il globalismo, l’Europa, l’elite delle città. Un movimento che coinvolge prevalentemente le zone della Francia rurale. Nonostante apparentemente vi sia la compresenza di temi diversi, il fil rouge era la storica contestazione delle campagne e delle periferie all’accentramento nelle grandi città francesi, in favore di una diversa allocazione geografica delle risorse in contrasto con l’accentramento amministrativo individuato, da parte dei gilet gialli, a Parigi e a Bruxelles. L’assenza di un leader o di un’avanguardia ha facilitato l’emergere di leader diversi in maniera spontanea attraverso i canali social, sfruttando l’abilità oratoria ed impressiva a discapito del contenuto. Tali leader, inoltre, non erano tutti d’accordo sulla linea da perseguire e sulle strategie di lotta, aspetto che ha contribuito ad indebolire il movimento.
Un altro caso è quello del Sud America, in special modo Colombia, Argentina e Cile, dove l’anno scorso gli studenti reclamavano un accesso allo studio più facile e meno costoso. In questo momento in Cile ed Ecuador vi sono mobilitazioni di centinaia di migliaia di persone che, pur con le specificità del caso, chiedono maggior democrazia e giustizia sociale – proteste che sono sfociate in tremende repressioni da parte della polizia e dell’esercito, provocando anche dei morti e un numero molto alto di feriti tra i manifestanti. Anche in Libano vi è un fronte di protesta ampio e trasversale, capace di superare le differenti confessioni religiose presenti nel paese, incentrato su questi temi e la corruzione politica.
Gli Stati Uniti costituiscono un caso nuovamente differente. Qui sono nati diversi movimenti, principalmente composti da giovani. Ci sono le mobilitazioni per la questione femminile – in questo caso non solo giovani; quelle degli studenti per il controllo delle armi, nate dopo la strage del 14 febbraio 2018 a Parkland, in Florida: loro hanno organizzato la March for our lives, la cui leader è una ragazza: Emma González. Il forte attivismo degli studenti americani si lega, chiaramente, ad altri fattori che sono parte anch’essi del dibattito pubblico. Uno di questi è l’alto costo dell’istruzione, tant’è che spesso i debiti vengono estinti dopo anni di lavoro. Alquanto noto è il caso di Alexandria Ocasio-Cortez, ventinovenne neoeletta al Congresso, che sta ancora pagando i debiti contratti durante gli anni universitari. Ci sono poi le proteste anche dei meno giovani, come quelle per le rivendicazioni salariali dei professori iniziate in West Virginia che hanno poi coinvolto gli insegnanti di Oklahoma, Kentucky e Arizona, sofferenti di una carenza strutturale di fondi. Ma c’è anche il movimento Black Lives Matter, nato per protestare contro le violenze della polizia sugli afroamericani, ma che recentemente ha incluso altre cause come l’accesso alla sanità e la lotta alla povertà. La peculiarità statunitense sta nel fatto di avere non solo numerosi movimenti che si occupano di differenti tematiche, ma di sperimentare l’intersezionalità, concetto nato all’interno del dibattito femminista secondo cui le basi dell’oppressione della società – razzismo, sessimo, omofobia, xenofobia, antisemitismo e così via – non sono fattori indipendenti, ma agiscono in maniera interconnessa e simultanea.
Vi è poi il caso del Fridays For Future. Nato in seguito alle solitarie proteste del venerdì di Greta Thunberg, ha oggi sdoganato il termine «sciopero» a discapito di «protesta», «manifestazione», «mobilitazione». Oltretutto lo stesso termine «sciopero» viene utilizzato da molti quasi senza l’accezione che la stessa Thunberg gli dava, vale a dire come espressione di una forma di protesta in cui il diretto interessato cessa l’attività principale della sua giornata, consapevole delle conseguenze: le scuole concedono permessi agli studenti, il premier Conte «concede» al figlio di fare sciopero. Il merito di questa protesta, anch’essa sorta spontanea – in parte seguendo l’esempio della Thunberg, in parte per l’impressione che suscitano i cambiamenti climatici – è quello di aver coinvolto e portato al centro dell’attenzione una tematica fondamentale. Il problema riguarda la partecipazione di molti agli scioperi globali, la cui adesione si fonda spesso sull’emozionale e il «dover esserci». Principalmente si protesta contro i cambiamenti e la generazione passata, rischiando tra l’altro di far di ogni erba un fascio visto che in quella generazione vi erano già gli ambientalisti, dimenticandosi che parte della causa del cambiamento climatico è nel sistema economico vigente, nella cultura del consumismo e in certe storture del diritto internazionale che lasciano a paesi emergenti e non propriamente emergenti, come la Cina, la possibilità di superare ogni soglia di prevenzione all’inquinamento – aspetti, comunque, che vengono invece sottolineati dal movimento Extintion Rebellion. In tal senso, forse, le proteste dovrebbero rivolgersi anche contro Pechino o Nuova Delhi. Ma questa è una critica ad una parte della base del movimento; la sua parte organizzativa, invece, perlomeno in Italia, consapevole dei limiti precedentemente citati ha stilato un report, durante la seconda assemblea nazionale (Napoli, 5 e 6 ottobre), che ha i caratteri del programma fondato sull’intersezionalità e il legame tra giustizia ecologica e sociale.
La presenza di una leader, comunque, a livello globale per il Fridays For Future è certamente utile alla buona riuscita del progetto. Se è vero infatti che è facile appassionarsi al tema dei cambiamenti climatici e sentirsi chiamati direttamente in causa, visto che inoltre non vi sono implicazioni politiche dirette e il movimento non ha, per ora, assunto caratteri più estremi, la presenza di una figura guida, capace di incanalare i sentimenti delle masse è certamente utile. Nel caso di movimenti di successo come quello della Thunberg o del March for our lives è importante sottolineare la centralità delle leader femminili, segnale di un attivismo che spesso viene dalle donne e dalle lotte femministe, come testimonia anche la grande centralità che hanno avuto le donne nelle elezioni di mid-term statunitensi del 2018 e l’importanza del movimento internazionale Non una di meno.
Da citare sono anche i movimenti di protesta di Hong Kong e della Catalogna. Non è possibile, per ragioni di spazio, soffermarsi su questi movimenti, anche perché si inseriscono in un quadro di rivendicazioni indipendentiste e/o autonomiste che è differente dai casi precedentemente citati. Aspetti, comunque, di rilievo sono la centralità della difesa della democrazia, la giustizia sociale, l’utilizzo dei social per favorire la mobilitazione (a Barcellona un ruolo importante lo ha svolto Telegram), la protesta contro la repressione violenta da parte dello Stato.
Da constatare, infine, la presenza di leader e movimenti che tendono a mantenere alto il livello di malcontento, alimentandolo con discorsi provocatori e rancorosi – questo mi sembra il caso, per fare degli esempi di Trump, Salvini e Di Maio.
Tornando ai limiti
La breve analisi del contesto dovrebbe aver mostrato la presenza dei sei limiti precedentemente individuati. Alla base di essi è il ruolo centrale del web e dei social media i quali rappresentano una fonte di mobilitazione, diffusione e legittimazione notevole segnalando al contempo i limiti dei movimenti. Innanzitutto su internet non vi è una gerarchia definita: la chiamata con cui è iniziato, ad esempio, il movimento dei gilets jaunes è stata spontanea e priva di un leader o gruppi di leader che decidessero sia le strategie sia come, quando e perché far iniziare la contestazione. L’orizzontalità, che di per sé non è necessariamente un elemento a sfavore, rappresenta in questo caso un limite in quanto l’assenza di una avanguardia rischia di far disperdere le energie e le idee, delineando il carattere estemporaneo della contestazione. Sul web tutti possono essere guide perché tutti hanno la possibilità di parlare allo stesso modo e nel medesimo momento: non vi sono filtri utili ad incanalare l’importanza delle informazioni e delle opinioni. La valutazione e la scelta politica in base al contesto erano parte integrante della funzione dell’avanguardia politica, la quale si qualificava anche in base a tali valutazioni e alle azioni che ne seguivano. Ad oggi, in assenza dell’avanguardia, la valutazione è sostituita dalla constatazione di un malessere cui segue la scelta di agire che, quindi, non si fonda più sulla riflessione. In tal senso, il processo che porta alla scelta dei leader è un processo di selezione sul campo, basato sull’emozione che determinati soggetti suscitano attraverso la dialettica e l’immagine, piuttosto che sulla valutazione della strategia.
La figura del leader, o dei leader, comunque è utile anche perché serve a catalizzare l’attenzione, ad unire, a dar maggior coesione al gruppo. Per i medesimi motivi è importante la presenza di un manifesto, o di linee guida di facile accesso e comprensione, maneggiabili dai più, che diffondano e spieghino le ragioni, ampliando così la platea dei contestatori e il sostegno dato alla causa. L’assenza di un manifesto è uno dei problemi più gravi. Innanzitutto segnala la mancanza di un gruppo o di una riflessione intellettuale sul problema, quindi rileva l’assenza dell’avanguardia. In secondo luogo sottolinea il fatto che non vi è una sintesi delle varie istanze, capace di analizzare il passato ed il presente con uno slancio verso il futuro, indicando obiettivi e strategie. La redazione di un manifesto potrebbe seguire questo schema: analisi del contesto della realtà; obiettivi/o politici/o (non necessariamente definito); come arrivare all’obiettivo politico; analisi delle forze in campo (deve essere in grado di intercettare altri segmenti per allargare la base di sostegno). L’assenza di un manifesto e di un’avanguardia, inoltre, sottolinea l’appiattimento sul presente delle istanze movimentiste.
La consapevolezza del problema viene da una sua destrutturazione la quale si ottiene anche da un’analisi storica del problema. L’assenza della storia nella riflessione dei movimenti, difatti, segnala la loro accettazione di una temporalità inautentica, focalizzata sull’eterno presente. Senza l’analisi storica, difatti, non si ha consapevolezza dell’evoluzione del problema che si vuole contestare, né delle pratiche di lotta che hanno preceduto le proprie così come non si è a conoscenza delle azioni di chi si vuole contestare nel passato. Di fatto, nonostante la necessità di cambiamento, si ha un’accettazione acritica dello stato delle cose: individuato un problema lo si ritiene di poter cambiare, senza rendersi conto che il cambiamento non può che avvenire andando a modificare molti altri tasselli. Il tema dell’intersezionalità è, quindi, assieme alla storia, di fondamentale importanza. Il web supplisce a questi problemi perché privilegia il carattere impressivo a discapito di quello contenutistico. L’immagine o la parola scritta hanno sui social media l’intento di convogliare l’attenzione per un breve periodo, donde si rende necessario impressionare lo spettatore, suscitargli un’emozione. Dunque l’immagine a discapito del contenuto che essa veicola. Contenuto che, essendo inserito all’interno di un’immagine, viene così semplificato. Allo stesso tempo si presterà attenzione al fattore impressivo, divenendo così una forma di intrattenimento. Da qui deriva la discrepanza tra l’azione dalla tastiere e quella materiale.
Problema di non scarsa rilevanza, inoltre, anche perché si lega alla necessità di nuove forme di dibattito e comunicazione che travalichino gli ormai vetusti confini nazionali, è la necessità di unione globale o perlomeno di una scala macro (Europa, Euro-Atlantico, ecc.).
Non necessariamente gli spezzoni di lotta unitesi in un unico fronte dovrebbero poi concretizzarsi in una formazione politica, anche se un grave problema è il disinteresse per la politica stessa da parte dei giovani che fa si che le loro istanze vengano strumentalizzate o non accolte con la serietà che vorrebbero anche perché non vogliono “sporcarsi le mani” con la politica. Sicuramente dovrebbero stare attenti a non diventare parte del sistema che essi criticano sperimentando nuove pratiche di discussione, di analisi e di protesta, accettando la possibilità di uno scioglimento nel momento in cui inizia l’azione di normalizzazione dell’istanza di protesta.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.
desidero che possiate leggere, e magari criticare, questa analisi sullo stesso tema che viene fatta da Contropiano, il giornale al quale do sempre un mio contributo e condivisione. Grazie dell’attenzione che poteste avere e a buon risentirci. Antonio Deplano
http://contropiano.org/editoriale/2019/11/21/sardine-what-else-0121046