Sono passati due anni dal 1 ottobre 2017, quando in Catalogna si tenne il referendum per l’indipendenza, voluto dal parlamento locale ma dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale e dal governo centrale di Madrid. Vinse il fronte per l’indipendenza, con il 90 % dei voti a favore e un’affluenza intorno al 43 %, almeno secondo i dati forniti dal governo catalano, privi però del controllo di un’autorità indipendente. Il 10 ottobre venne dichiarata l’indipendenza che, de facto, a causa dell’intervento di Madrid, non è mai avvenuta.
La soluzione al problema catalano è ancora lontana, non solo perché l’indipendentismo ha, in questa regione, un forte radicamento ma, soprattutto, perché è diventato qualcosa di più.
Come ormai molti analisti e giornalisti sottolineano, le proteste di questi giorni non sono tanto in sostegno alla causa indipendentista (molti dei manifestanti sono sfavorevoli all’indipendenza), quanto piuttosto contro la violenza dimostrata dalla polizia e dai Mossos d’Esquadra nel reprimere le proteste e lo svolgimento del referendum e contro le sentenze di condanna date ai leader indipendentisti catalani, considerate troppo dure e parte di una strategia di Stato volta a limitare la libertà di espressione (si pensi alla chiusura dei giornali indipendentisti). Non solo: di fronte alla presenza di gruppi neofascisti, armati di bastoni e coltelli, che «pattugliano» le strade alla ricerca dei manifestanti, la posta in gioco si è alzata.
Tutto questo pone l’Unione Europea di fronte a dei problemi importanti e di difficile soluzione, il cui esito potrebbe contribuire a minare il prestigio dell’Unione e la fiducia che i cittadini vi pongono. Al momento, però, non sembra che in Europa, compresi anche gli stati membri e la società civile, vi sia una consapevolezza del problema, complice forse anche l’assenza di una élite intellettuale europea.
I problemi che l’Europa dovrebbe affrontare sono due.
Il primo di essi riguarda la questione indipendentista: come deve rapportarsi l’Unione?
La risposta alle istanze indipendentiste, al di là di quale essa sia, è soprattutto un problema di nazionalismo latente sia da parte degli indipendentisti sia dei governi nazionali, che potrebbe portare a pericolosi rigurgiti nazionalistici in entrambi i casi, minando così il processo di integrazione europea. In nome dell’eterogeneità dei singoli casi andrebbe adottato un approccio differenziato, adatto al caso in questione. Allo stesso tempo, aprire agli indipendentisti creerebbe un precedente che potrebbe spingere i separatisti di altre regioni a seguire le orme dei catalani.
Il secondo problema riguarda la posizione dell’Unione Europea, e con essa dei singoli stati membri, di fronte alle violenze esercitate dalla polizia nella repressione delle proteste e ai provvedimenti presi nei confronti degli indipendentisti. La chiusura dei giornali, le dure condanne inflitte ad alcuni leader indipendentisti e altri provvedimenti adottati da Madrid sono in contrasto con molti dei valori espressi dall’Unione e dai paesi membri.
Al momento la soluzione adottata è quella del principio di non ingerenza perché la competenza di tali questioni spetterebbe a Madrid. Ciò è conveniente agli stati membri perché da un lato evita di offrire la sponda alle istanze indipendentiste presenti nel proprio paese o di dar modo all’estrema destra di avere un argomento su cui fare opposizione. È, inoltre, anche un modo per evitare che eventi del genere possano verificarsi all’interno del proprio paese, evitando delle frizioni con Madrid. Di fatto la risposta dei paesi membri e il significato del silenzio dell’Unione Europea è comunque di sostegno esterno al governo spagnolo, sorvolando tutte le questioni fino ad ora messe in luce. Una risposta che nasconde in sé il germe del nazionalismo.
La Catalogna non è l’unico caso in cui a prevalere non è una realpolitik caratterizzata dall’assenza di lungimiranza dell’Unione e degli stati membri. Hong Kong e il Cile lo dimostrano. Tutto ciò contribuisce a minare il processo di integrazione europea, aiutando così i vari Salvini ed Orban presenti in Europa, rimandando il momento in cui una soluzione, o una presa di posizione, riguardo questi problemi dovrà essere presa. Certamente, di fronte al referendum non approvato dal governo centrale (a differenza del caso scozzese, dove il referendum sull’indipendenza del 2014 fu concordato con Londra) e alla successiva dichiarazione di indipendenza Madrid non poteva non rispondere, anche se le modalità con cui ciò è avvenuto sono criticabili. Puigdemont e gli altri leader indipendentisti hanno adottato una strategia poco lungimirante, di cui però l’ex presidente della Generalitat de la Catalunya si rifiuta di assumere le conseguenze, con ciò che esse comportano, con un “esilio” a Bruxelles.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.