In The Graduate (in Italia uscito con il titolo de Il Laureato), sia nel romanzo del 1963 che nel film omonimo del 1967, quella di Benjamin è una condizione assoluta: è solo – non sappiamo se ha amici o conoscenti intimi della sua età. Anche quando è in compagnia di altre persone, il velo di ipocrisia e superficialità degli interlocutori si traduce nell’incomunicabilità e, quindi, nell’incomprensione. Aspetti, questi ultimi, ben sottolineati nel film quando la signora Robinson entra ed esce dalla stanza dell’albergo mentre Benjamin rimane impassibile, o ancora nei vani tentativi del protagonista di instaurare un dialogo con i propri genitori. Solamente con Elaine questo velo viene tragicamente a cadere nel corso della loro prima uscita, provocando una catarsi per cui Ben non è più solo ma con Elaine – anche se quest’ultima solo al termine della narrazione deciderà di recidere ogni legame con il mondo borghese da cui proviene.

 L’incomunicabilità è quindi onnipervasiva, annichilente, e per questo Benjamin vive con profondo malessere la realtà in cui è calato, senza però avere la pretesa di cambiare il mondo come invece tentò di fare la Beat Generation prima, e i vari movimenti degli anni Sessanta, dagli hippy al Free Speech Movement e via dicendo. Benjamin si limita semplicemente a disubbidire e a seguire la sua strada che è diversa da quella che vorrebbero gli adulti, compiendo un atto di «disobbedienza civile». Sotto questo punto di vista The Graduate è più vicino a storie come Rebel without a cause (1955), On the Waterfront (1954), The Wild One (1954). In un certo senso, non potrebbe essere altrimenti: nonostante The Graduate sia stato pubblicato nel 1963, quindi solo all’inizio degli anni Sessanta, bisogna tenere di conto la matrice autobiografica ed i tempi di stesura che collocano la genesi dell’opera negli anni Cinquanta, quando preponderante era un filone narrativo incentrato sul malessere esistenziale, di fronte alla realtà adulta e borghese, che proponeva una ribellione intesa come disobbedienza. La proposta di un modello alternativo, già presente nella Beat Generation (On the road di Kerouac venne scritto nel 1951 e pubblicato integralmente nel 1957, lo stesso anno della pubblicazione di Howl di Allen Ginsberg), diviene, come già accennato, un tema centrale solo negli anni Sessanta. Ciononostante il filone narrativo in cui si inserisce il romanzo di Charles Webb, vale a dire dell’opera impegnata e di denuncia esistenziale e sociale ma non schierata politicamente, perlomeno in maniera esplicita, non è certo una prerogativa degli anni Cinquanta: i romanzi di Francis Scott Fitzgerald o di Ernest Hemingway vanno in questa direzione, come negli anni Settanta farà il film The Big Wednesday (1978).

The Graduate, quindi, vuole svelare l’ipocrisia dell’America: i matrimoni solo apparentemente felici, la realizzazione personale nella carriera lavorativa e così via, cui vengono contrapposti l’alienazione, l’ipocrisia e l’incomunicabilità che conducono all’indifferenza come condizione esistenziale e di passaggio per Benjamin. Probabilmente è anche per questo che il libro, ed in particolare il film, sembrano poco schierati anche se impegnati. Difatti, Ben è un antieroe per eccellenza: i suoi tratti fisici sono “comuni”, esprime contrarietà a fare ciò che farebbe un eroe- cioè agire nel mondo nonostante le condizioni avverse – e trae la sua forza nell’opporsi, quindi nel disubbidire, a qualcosa che reputa sbagliato non agendo, o meglio nell’assecondare la sua curiosità. Sotto un certo punto di vista, comunque, The Graduate è già collocato nel decennio dei ’60 sia per la ribellione sia per un sottotesto che è possibile trovare nel romanzo che risponde al detto di Jerry Rubin «non fidarti di nessuno che abbia più di trent’anni» perché, viene da aggiungere, non puoi comunicarci.

Una storia che rappresenta, vista a posteriori, un ponte tra The Graduate e l’impegno degli anni Sessanta è il romanzo del 1969, da cui poi venne tratto un film nel 1970, Strawberry Statement di James Simon Kunen. La storia è quella di uno studente di Berkeley (nel film è della Columbia) poco interessato alla politica ma progressivamente più coinvolto. Anche in questo caso si tratta di una storia autobiografica con un ragazzo che non sa bene che cosa sta facendo, ma si ribella. La differenza, di non poco conto, è il clima politico del ’68 e la maturità politica schierata che acquisisce Kunen al termine della narrazione, a differenza di Benjamin.

Un aspetto comune a quasi tutti questi romanzi e questi film è la strada. Il viaggio, le lunghe strade americane, le highway per l’appunto, sono un tema centrale non solo della Beat Generation ma della maggior parte della narrativa, della musica e del cinema americano. Pensiamo qui, ad esempio, all’epopea dei Joad in The Grapes of Wrath di John Steinbeck (1939) o alle tante canzoni di Woody Guthrie o alla sua stessa autobiografia, Bound For Glory (1943), che è quasi un libro tutto on the road. Inutile dilungarsi, comunque, sul complesso topos del viaggio che condurrebbe fuori tema. È sufficiente qui accennare che anche in The Graduate (come anche in Strawberry Statement), ma solo nel romanzo perché il viaggio in Canada venne tagliato dal film) alla strada, al viaggio, non si sfugge con la differenza che qui il viaggio ha più un significato di redenzione che di libertà.

Per ben due volte, all’interno del libro, Benjamin parte: prima di conoscere Elaine compie un breve viaggio in autostop verso il nord del paese che lo lascia deluso; la seconda quando si trasferisce a Berkeley per riconquistare Elaine, spostandosi poi in lungo e in largo per la California nella sua disperata ricerca dopo che la famiglia di lei ha deciso di combinarle un matrimonio. Qui il film, che decide di dare un ruolo centrale all’Alfa Romeo Duetto che nel libro non ha, è un vero e proprio scorcio di una parte dell’America attraverso le sue strade. Ma soprattutto è il viaggio, potremmo dire, dell’espiazione di Ben, al termine del quale Elaine decide di scappare con lui – e ciò vale sia per il film che per il romanzo. A ben pensarci, il primo viaggio di Ben non funziona perché non ha uno scopo preciso: parte con la sola speranza di trovare qualcosa e di non annoiarsi più. Nel secondo, invece, uno scopo lo ha, trovare Elaine, il che rende il viaggio «purificatore», espiatore dei «peccati». Il riferimento religioso non deve stupire. Pur non essendo minimamente menzionato un fattore spirituale o religioso all’interno del libro, esso è comunque ben presente nella cultura statunitense. È ciò che viene definito «geremiade americana»: un discorso, appunto, di origine biblica che serve a spiegare l’incoerenza tra la perfezione della promessa divina e l’imperfezione della realtà. La geremiade propone, per superare questa frattura, la riconquista dei valori originari e la lotta per la terra promessa, anche perché quest’ultima è un destino manifesto. Con questa espressione si intende l’idea che la Provvidenza abbia assegnato agli Stati Uniti il compito di guidare il mondo verso un futuro migliore, aspetto che nella narrativa spesso si è accompagnato al mito della frontiera, vale a dire l’idea che il popolo «eletto» americano abbia forgiato il proprio carattere nella conquista e nell’espansione verso Ovest, affrontando le avversità e uscendone trionfante. È, questa, un’altra lettura forse più istituzionale ma che può essere esplicativa delle trame più profonde e nascoste sia del film che del romanzo. A questa lettura se ne può aggiungere una forse ancor più istituzionale. La Declaration of Indipendence del 1776 sostiene che vi sono delle «verità inalienabili», una delle quali è la ricerca della felicità. Sappiamo bene quanto queste «verità» siano costitutive del tessuto culturale americano. In tal senso si può ritenere che la folle corsa in macchina di Benjamin, o l’ansiogena ricerca di Elaine all’interno del volume, siano la metafora della caotica e veloce ricerca della felicità del mondo moderno, in questo caso incarnata dalla ricerca della felicità di Ben. È a questo punto che emerge il tema della libertà, incarnata nuovamente nel viaggio cui però non assistiamo: quello sull’autobus su cui montano Elaine e Benjamin alla fine della storia, dopo che attraverso mille peripezie hanno forgiato il proprio carattere e sono riusciti a trovare la propria felicità. In tal senso, The Graduate può essere letto come una narrativa del viaggio verso la libertà

Una digressione su Mrs Robinson

Leggendo il romanzo, ma anche guardando il film, viene spesso da chiedersi se non sia Mrs Robinson la protagonista del romanzo. È la tesi del critico cinematografico statunitense Roger Ebert. Secondo Ebert Mrs Robinson è una signora di mezza età delusa e disillusa a causa delle rinunce che ha dovuto fare, in particolare quella di continuare gli studi di arte al college in seguito alla gravidanza e al matrimonio che ne seguì. Instaurando una relazione con Benjamin sembra che riesca a prendersi una rivincita: ha il controllo della situazione fino a quando Ben non si ribella ed è lei a sedurre Benjamin. È, in un certo senso, un’icona femminista: una donna la cui volontà è stata piegata dal regime patriarcale che finalmente prende la propria rivalsa decidendo di andare a letto con un giovane ragazzo – e questo porta lo spettatore o il lettore necessariamente a domandarsi se ciò possa essere giusto e se una relazione del genere sia accettabile oppure no. Ed è sempre la Signora Robinson ad impegnarsi affinché la figlia non si sposi con Benjamin. È, probabilmente, il personaggio più forte del libro e del film nonché filo conduttore della trama.

Se Mrs Robinson sia un’icona femminista è difficile dire, in ogni caso non è probabilmente una protagonista assoluta come suggerito da Ebert. Piuttosto, la nemesi di Benjamin, la sua controparte, poiché incarna ciò che lui ed Elaine potrebbero diventare ma che si rifiutano di essere. In tal senso, Mrs Robinson esprime, allo stesso tempo, il bisogno di liberazione dai canoni sociali e la costrizione che essi provocano.

Qualche considerazione sul successo, anche attuale, del film e del romanzo

Il film ha riscosso, e continua a riscuotere, un grande successo per due motivi: primo non è politicamente schierato, ma impegnato; secondo perché nel personaggio di Benjamin, e nella sua crisi, un po’ tutti possiamo immedesimarci: non sa che cosa fare nella vita, ma in ogni caso vuol ribellarsi all’ordine del «devi avere un obiettivo, devi scegliere che persona vuoi diventare» che tanto fa ammattire se non gli adolescenti chi è appena uscito da una laurea e non sa che cosa fare. Vuol trovare la propria strada e in questo sta la sua ribellione – per questo è un film impegnato. Allo stesso tempo c’è una storia d’amore e di sesso con una donna più vecchia, il che aiuta ad appassionarsi alla storia. Così come del resto il fatto che Ben sia una persona qualunque, anche se di buona famiglia, facilita il processo di immedesimazione. Un articolo del New Yorker del 1968 sottolinea come, perlomeno nella prima parte del film – ma anche del libro perché il primo ricalca praticamente il secondo anche nei dialoghi – ci si chieda che cosa significhi essere un giovane e promettente ragazzo nell’America di oggi: una questione, in un certo senso, esistenzialista e che garantisce longevità all’opera, poiché è una domanda ancora oggi valida.

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