É passata più di una settimana dal lancio della nostra petizione su change.org (per firmare clicca qui) per chiedere l’istituzione di leggi europee  che tutelino chi fa informazione sui social.

In questi giorni abbiamo visto un sostegno crescente intorno alle questioni da noi sollevate e alle sorti del nostro sito: siamo arrivati a più di 100 firme.

Non è, comunque, ancora il momento di fermarci: abbiamo ancora molta strada. É il momento giusto per chiedere che dei provvedimenti siano presi.

La scorsa settimana Zuckerberg ha partecipato a un’audizione dinanzi alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti per chiedere l’approvazione di Libra, la cripto valuta che il fondatore di Facebook vorrebbe far usare dai suoi utenti. Molti dubbi sono stati sollevati intorno all’assenza di garanzie offerte da questa moneta virtuale e al rischio che possa essere utilizzata in traffici illeciti o da terroristi. Ma la vera notizia è stata che l’audizione si è gradualmente spostata sulle pratiche poco trasparenti di Facebook.

I deputati americani si sono concentrati sull’hate speech, sulla privacy, sulla moderazione dei contenuti e, soprattutto, sulle fake news e gli spot elettorali per la campagna del 2020. Il riferimento è in questo caso ad una pubblicità della campagna di Trump in cui si accusa Joe Biden di aver promesso 1 miliardo di dollari all’Ucraina per il licenziamento di uno dei suoi procuratori generali che non è stata rimossa prontamente.

Molti hanno chiesto a Zuckerberg come sia possibile fidarsi di un sistema che non ha vigilato correttamente su ciò che accadeva nel proprio spazio. Alcuni deputati, come la democratica Alexandra Ocasio – Cortez, hanno chiesto a Zuckerberg se intende rimuovere eventuali false dichiarazioni fatte da politici. Il fondatore di Facebook è rimasto evasivo, sostenendo che dovrebbero essere gli elettori a farsi un’idea sul contenuto di ciò che viene pubblicato.  

Zuckerberg, inoltre, avrebbe tenuto dei colloqui informali e delle cene con persone vicine al partito repubblicano e con almeno un parlamentare repubblicano per non inimicarsi Trump, dopo che questi a giugno aveva minacciato di far causa a Facebook e Google. Il numero uno della galassia Facebook sarebbe preoccupato dalla possibilità che il Dipartimento di Giustizia avvii un’azione per dividere la società. Detto per inciso, già la candidata democratica Elizabeth Warren aveva proposto una scorporazione della società perché sarebbe divenuta ormai un monopolio. La proposta è stata attaccata duramente da Zuckerberg. In un audio che sarebbe dovuto rimanere privato il fondatore di Facebook ha attaccato la candidata democratica, sostenendo che in caso di vittoria potrebbe decidere di intraprendere le vie legali, arrivando a citare Il Padrino: «si va ai materassi». Secondo alcuni esponenti democratici Facebook starebbe cercando di placare Trump con alcune azioni di favore, come quelle di “chiudere un occhio” sulla propaganda di estrema destra presente sul social.

Un articolo del “New Yorker”, firmato dalla giornalista Masha Gessen, sottolinea come Zuckerberg continui a fuggire dalle sue responsabilità, cercando di non fare riconoscere Facebook come una media company a tutti gli effetti, sminuendo l’importanza delle modalità di controllo su ciò che viene pubblicato sulla piattaforma. L’autrice sostiene che tutto ciò sarebbe l’estremizzazione di alcuni tratti negativi della società, relativi alla ricerca del profitto, al pensiero pigro e alla mancanza di responsabilità civica. Pertanto, sostiene Gissen, è necessario ribadire a Facebook l’importanza del primo emendamento, quello che tutela, tra l’altro, la libertà di parola e di stampa.

L’articolo di Masha Gessen esprime appieno il contenuto della nostra petizione perché anche noi riteniamo che sia giunto il momento di riconoscere il ruolo che hanno Facebook e gli altri social come media company, regolamentando le regole per la pubblicazione al fine di garantire le libertà di stampa, parola ed espressione.

L’Unione Europea ha dimostrato più d’una volta di essere un’avanguardia in fatto di tutela dai monopoli informatici e nella regolamentazione del web con norme a tutela degli utenti. Meno è stato fatto dal parlamento e dai governi italiani in materia di garanzie dai possibili abusi dei social. Dall’altra parte dell’Oceano, dopo gli scandali Cambridge Analityca e le nuove perplessità nella gestione delle informazioni, delle pagine e delle inserzioni su Facebook, il Congresso indaga: ciò potrebbe essere la premessa per una nuova legislazione. Con tutti i rischi del caso, nel vecchio Continente vogliamo rimanere indietro?

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