Sono passate poche ore dalla chiusura dei seggi. Il voto spagnolo del 10 novembre, come quello del 28 aprile, fotografa un paese lacerato, diviso. In una parola: frammentato. I dati confermano che il PSOE di Pedro Sanchez è la prima forza politica (28%), seguito da un PP in crescita, che si attesta intorno al 20,8%. Ma il partito guidato dal giovane Pablo Casado, delfino dell’ex presidente Mariano Rajoy, deve guardarsi le spalle. Perché la vera notizia di questa tornata elettorale è l’affermazione dell’estrema destra di Vox, che diventa a tutti gli effetti la terza forza del Parlamento di Madrid (15,1%). Un’irruzione, una prova di forza in tutto il paese quella della formazione guidata da Santiago Abascal. Fino a pochi mesi fa – cioè aprile – Vox non siedeva in Parlamento, non aveva nemmeno il diritto di partecipare ai dibattiti e ai confronti organizzati dalla televisione pubblica. Il partito raddoppia i suoi rappresentanti: passa da 24 a 52 seggi. L’estrema destra spagnola ha iniziato la sua marcia trionfale quasi un anno fa. Era il dicembre 2018: Vox diventava la terza forza politica in Andalusia , da sempre storica roccaforte socialista. E proprio grazie a quella importante affermazione elettorale, piano piano ha potuto ritagliarsi uno spazio mediatico, una centralità politica – attualmente a Siviglia esiste un governo di centrodestra grazie ai voti di Vox – e una forza d’urto che non si vedeva da anni nella politica della penisola iberica. La memoria va agli exploit di Podemos (oggi Unidas Podemos) e Ciudadanos. Entrambi i partiti, guidati rispettivamente da Pablo Iglesias e Albert Rivera, riducono i loro consensi. La sinistra radicale, nata sull’onda dei movimenti di protesta degli indignados, passa da 42 a 35 seggi. Una parte dei voti è confluita senz’altro in Más País, nuova formazione politica che entra per la prima volta in Parlamento. Il partito è stato fondato da alcuni fuoriusciti di peso del partito color viola: è il caso di Íñigo Errejón, tra i fondatori di Podemos nel 2014. Nessuna scissione invece spiega la débâcle di Ciudadanos. Il partito centrista e arancione passa da 57 a 10 seggi. Una caduta rovinosa per una forza che si è sempre definita riformista, ora priva di qualsiasi potere contrattuale nel parlamento nazionale sia verso destra che verso sinistra. La leadership di Rivera è a rischio. Probabilmente la scelta di non dialogare con il PSOE ha penalizzato Ciudadanos, che da oggi non potrà più influire, come in passato, sulle attività del Congresso, cioè sulla creazione di nuove leggi e nuovi provvedimenti: linfa vitale per qualsiasi partito che si definisce “riformista”.
Il voto del 10 novembre ha lo stesso protagonista del 28 aprile: Pedro Sanchez. Il presidente del Consiglio ancora in carica ha fallito nel tentativo di formare una maggioranza parlamentare nei mesi scorsi. Ora ha di nuovo qualche carta in mano da giocare. Il PSOE probabilmente sperava di incrementare i consensi. La scelta di tornare alle urne porta a qualche seggio in meno e a maggiori incertezze. Ma nelle prossime ore e settimane non è da escludere che qualche avversario possa tendere la mano (potrebbe esserci, ad esempio, l’astensione benevola del PP di Casado). Perché la Spagna, dopo la riesumazione delle spoglie di Franco e le proteste indipendentiste in Catalogna, non può stare a guardare. A un paese diviso e frammentato un governo va pur dato.
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Cofondatore de L’Eclettico e giornalista professionista. Mille pensieri, tanta curiosità e voglia di mettersi in discussione. Scrivo, ascolto e leggo (parecchio). Mi sono laureato in Storia e ho avuto la possibilità di studiare la criminalità organizzata, tema di cui mi occupo con frequenza. Per lavoro seguo in maniera ossessiva la politica e tutto ciò che vi ruota attorno. Ogni tanto però mi concedo una pausa, qualche viaggio all’estero o in Italia. Al mio fianco ho sempre un sottofondo musicale: il rap.