“È solo uno sport, fatto da milionari interessati ai soldi ed alla bella vita!” Questo è lo stereotipo comune, il classico «giudizio da bar», ma se si andasse oltre le apparenze e si scostasse il marcio che ricopre la vetrina, si potrebbe intravedere l’inaspettato, la meraviglia, ed a quel punto il calcio non sarà più solo uno sport.
Il Futbol Club Barcelona è uno dei tanti casi che si potrebbero buttare in campo. Abbiamo sentito spesso notizie sull’indipendentismo catalano, forse, però, non ci siamo resi conto che esso viene mostrato ogni settimana, nel weekend in Spagna ed infrasettimanalmente in Europa, spesso in uno dei templi del calcio, il Camp Nou, tinto dalla magia colorata di grida e simboli oro e rubino, voce di una parte di Catalogna che non si sente spagnola, perché – siamo realisti – essa non è propriamente «Spagna», è aliena alla realtà castigliana che solitamente chiamiamo «spagnola».
La storia vuole i catalani discendenti di Goffredo il Peloso, signore di Barcellona dall’878, il primo a fregiarsi dell’emblema simbolo dell’identità indipendentista di quella parte di mondo, i quattro pali rossi su campo giallo, la cui origine viene raccontata da Francesco Cesare Casula in La Sardegna aragonese: la Corona d’Aragona [1], il quale riprende il contenuto del Libre dels feyts d’Arms de Catalunya: ferito durante gli scontri con i normanni, Goffredo giaceva a terra ferito, all’improvviso l’imperatore Carlo II il Calvo (875-877), nipote di Carlo Magno, si avvicinò a lui e, in segno di compenso per i servigi fornitogli, intinse quattro dita della propria mano destra nel sangue sgorgante del Peloso e tracciò sullo scudo giallo di questi quattro linee verticali.
Tre secoli dopo un discendente di Goffredo, il conte Raimondo Berengario IV di Barcellona (conte dal 1131 al 1162 e principe consorte dal 1150 al 1162), elevò la Famiglia alla dignità reale attraverso il matrimonio (1150) con la figlia del re aragonese Ramiro II il Monaco (1134-1137), Petronilla, sua unica erede, dal quale nacque Raimondo (poi re Alfonso II (1162-1196)). La fine della Dinastia (1410) con Martino il Vecchio/l’Umano (1396-1410), la «castiglianizzazione» derivata dall’avvento dei sovrani Trastámara (Compromesso di Caspe (1412)) e l’incoronazione di Ferdinando de Antequera (da quel momento Ferdinando I il Giusto (1412-1416)) e l’unificazione dei regni di Aragona e Castiglia seguita alla morte (1479) di re Giovanni II d’Aragona (1458-1479), resa possibile dal matrimonio (1469) tra il figlio di quest’ultimo, Ferdinando (poi Ferdinando II (I di Spagna) il Cattolico (1479-1416)), con la regina castigliana Isabella (1474-1479, poi Isabella la Cattolica, I di Spagna (1479-1504)), non estinsero, comunque, il fuoco identitario catalano [2].
Una fiamma che oggi, mal contenuta dal governo Rajoy, è cresciuta grazie al referendum del 2017 ed alle voci di Carles Puigdemont – attualmente in esilio in Belgio – e degli altri leader indipendentisti, dodici dei quali recentemente processati dal Tribunale Supremo di Madrid e condannati al carcere con l’accusa di sedizione, giudizio a cui sono seguite violente proteste.
Il Club non si nasconde dal mostrare sostegno alla battaglia, forte anche del fatto – direi – dei numerosi successi che gli permettono di acquisire sempre più seguaci, presentandosi come araldo del catalanismo tramite le proprie divise da gioco (es. quella da trasferta della stagione 2015-2016 aveva la bandiera catalana ben evidente) ed i giocatori di ieri ( i nastri gialli indossati dall’allenatore del Manchester City Josep «Pep» Guardiola) ed oggi (le dichiarazioni del difensore Gerard Piqué, costatogli discordie con la tifoseria ed i compagni della nazionale roja). La cosa che, però, – a mio parere – meglio presenta questa lotta identitaria è el Clásico. Forse potrebbe essere solo una mia impressione, ma proviamo a vedere questa, la partita più sentita ed accesa di Spagna, in maniera diversa, anziché il semplice Real Madrid – Barcellona: è la capitale contro la seconda città del Paese, un confronto tra la cultura castigliana e quella catalana, una rappresentazione «artistica» della rivalità storica tra Castiglia e (Aragona-)Catalogna, una battaglia tra monarchia (Madrid, la sede dei sovrani) e repubblica (la ancora irrealizzata Repubblica di Catalogna, di cui Barcellona sarebbe la capitale), realisti e repubblicani, «re e popolo», governo madrileno contro Generalitat barcellonese.
Voglio concludere con un’opinione personale: il Club fa bene a sostenere e difendere l’identità della Catalogna, ma questo desiderio separazionista è corrosivo per entrambe le parti. Inoltre, bisogna tener presente conseguenze come l’animare i venti d’indipendenza in regioni tipo i Paesi Baschi (Spagna), Bretagna e Corsica (Francia), Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige, Veneto e Valle d’Aosta (Italia), Scozia (Regno Unito), Baviera (Germania), ecc.., visibile anche in alcune di queste aree nei club calcistici residenti (Bayern Monaco, Athletic di Bilbao, Ajaccio, Cagliari, ecc…). L’unità e la collaborazione, nel rispetto delle diversità, delle unicità, sono l’antidoto ai periodi di crisi odierni e futuri.
[1] : Vd. F. C. Casula, La Sardegna aragonese: la Corona d’Aragona, Arti Grafiche Editoriali «Chiarella», Sassari, 1990, p. 18.
[2] : Per maggiori e dettagliate informazioni sulla storia del Regno d’Aragona suggerisco T. N. Bisson, La Corona d’Aragona. Storia di un regno medievale (trad.), Edizioni Culturali Internazionali Genova, Genova, 1998.
A cura di: Gianluca Lorenzetti
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