La notevole partecipazione al movimento delle sardine segnala una risposta nei confronti di un degrado della politica per cui è difficile essere scontenti – ammesso di essere per una certa parte politica. Ma dietro l’apparenza, come spesso accade, si celano molti interrogativi sulla reale efficacia delle sardine.
Le sardine sottolineano due cose: esplicitamente, che a destra c’è qualcosa che non va, qualcosa di pericoloso e che va fermato; implicitamente segnalano un vuoto a sinistra. Dopo avere ribadito questi due aspetti, che cosa rimane se non un fenomeno estetico ed estemporaneo? Difatti le sardine hanno un notevole impatto a livello di immagine (le piazze colme di persone, compatte, coese), ma che non canalizzano la protesta in una risposta che sia realmente politica. Ciò, a mio avviso, è il grande punto debole del movimento perché lo rende fragile, solo una contestazione che al momento decisivo del voto rischia di non essere una reale barriera a Salvini. Pertanto sarà estemporaneo: la piazza va mantenuta, deve essere costantemente motivata – e andrebbe anche temuta, visto che può essere uno strumento di legittimazione plebiscitaria. Quando l’onda emozionale (e forse anche un po’ modaiola) si sarà esaurita il movimento rischia di finire nel cassetto assieme alle magliette rosse e ai lenzuoli. Rischia, inoltre, di essere l’ennesimo atteggiamento della sinistra contro la destra ma non di reale opposizione (criticare l’avversario con proposte, con la presenza sul territorio e tra i lavoratori, con programmi seri, forti e strutturati), come spesso è accaduto in questi anni.
Salvini è forte anche perché ha alle spalle un partito robusto e radicato nel territorio. Le Sardine, oltre alla piazza che cosa hanno? L’aspetto della contestazione e del non essere legati alle bandiere (e si potrebbe obiettare: il non volere essere impegnati) richiama facilmente alla mente i vaffa-day, con l’eccezione che per ora non c’è un Grillo furbacchione. Il motivo? Perché sembra che il movimento sia più un protestare contro che un organizzarsi per contribuire a cambiare le cose. Un protestare molto borghese, molto divertente, peraltro, perché sarebbe curioso sapere se fuori dai centri storici chi lotta contro la soglia della povertà o sul luogo di lavoro prende parte alla Sardine. La Meloni e Salvini, infatti, rimangono in cima ai sondaggi.
Ulteriore quesito: durante le varie votazioni decisive di questi mesi e di questi anni per evitare che la destra andasse al potere dove erano tutte queste persone che adesso invadono le piazze? Quesito cui si lega un interrogativo ulteriore: qual è la composizione delle sardine? Vale a dire, chi sono, che cosa hanno votato in passato, quale è la loro estrazione sociale e quella politica? Insomma, da dove vengono?
Nell’assenza di uno studio o di un’analisi che rispondano a queste domande rimane il sospetto che l’area di provenienza sia quella che dovrebbe fare opposizione, ma che come spesso è già accaduto in passato si limita a contestare.
Molte realtà, specialmente a sinistra, hanno in questi anni proposto analisi, programmi e alternative ma sono state relegate da gran parte della sinistra (e non solo) in un cantuccio principalmente perché troppo impegnate. Lo stesso slogan «Bologna non si lega», «Firenze non si lega» e così via è in verità uno slogan precedente le sardine, di cui queste ultime si sono appropriate, ma che era stato coniato dagli antagonisti e dagli autonomi che per primi organizzavano le manifestazioni contro Salvini quando questi visitava le città. La domanda sorge spontanea: perché ora sì e prima no? Perché ora «non si lega» viene accettato da tutti ed in passato pochi davano il loro sostegno?
Il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy pronunciando il discorso di insediamento alla Casa Bianca il 20 gennaio 1961 disse: «non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti che cosa puoi fare tu per il tuo paese». Una presa di coscienza per il fatto che a destra si stia verificando una pericolosa estremizzazione c’è già stata, ma a questa non è seguita la fase successiva dell’organizzazione.
Per citare il celebre cantautore e membro degli Industrial Worker of the World Joe Hill: «don’t mourn, organize!».
Credit photo: immagine Facebook “6000sardine”
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.