Strade vuote e negozi chiusi, silenziosa voce di un terrore che non ci lascia tranquilli. Solitudine e ripudio, di uomini e idee, fanno compagnia a chi si sta trovando nella Grande Paura di questo 2020: il Coronavirus. È normale, si tratta di una risposta dell’istinto di sopravvivenza. Non siamo nuovi, come specie umana, a scenari di questo genere, in cui, ad un certo punto, il panico prende il sopravvento. Di nuovo, in questo non vedo niente di strano, dopotutto il fine primo è sopravvivere, anche a scapito del prossimo, ma questa è una tappa che dobbiamo assolutamente cercar d’evitare. Già, perché tutto ciò sembrerebbe avere un normale processo per tappe, che la letteratura – tanto sbeffeggiata oggigiorno – può mostrare tramite, ad esempio, due tra i suoi massimi autori: Giovanni Boccaccio (XIV secolo) ed Alessandro Manzoni (XIX secolo). Certo, nel Decameron e ne I promessi sposi si hanno situazioni differenti da quella attuale, a partire dalla malattia, la peste – rispettivamente trecentesca e seicentesca –, ma lo scenario parrebbe non allontanarsi troppo da quello del terzo millennio.

Innanzitutto, si identifica il responsabile: «orientali untori» arrivati per spargere il Virus. In breve tempo ci si dimentica della nostra umanità per lasciar spazio ad animaleschi giudici, spinti a prendersela con la prima vittima disponibile. Cominciamo ad allontanare indagati e malati, li «schifiamo», sperando che ciò sia un possibile rimedio: immagine simile alla Firenze della prima giornata boccacciana:

nacquero diverse paure e immaginazioni in quegli che rimanevano vivi, e tutti quasi ad un fine tiravano assai crudele, ciò era di schifare e di fuggire gl’infermi e le lor cose; e così faccendo, si credeva ciascuno a se medesimo salute acquistare.[1]

(Decameron, Prima giornata)

Nel frattempo, le notizie corrono come treni e nella mente del cittadino internettizzato si crea una poltiglia di verità, fake news e teorie, dove, al malato novantenne con un cancro morto per il Corona, si affianca il ventenne deceduto perché gli è stato iniettato il Virus dai migranti, oppure che sia tutto una farsa creata dalle case farmaceutiche per spingere le persone ad investire in placebi inutili. Quanto ricorda, tutto questo, la Milano manzoniana:

La città già agitata ne fu sottosopra: i padroni delle case, con paglia accesa, abbruciacchiavano gli spazi unti; i passeggeri si fermavano, guardavano, inorridivano, fremevano. I forestieri, sospetti di questo solo, e che allora si conoscevan facilmente al vestiario, venivano arrestati nelle strade dal popolo, e condotti alla giustizia. Si fecero interrogatòri, esami d’arrestati, d’arrestatori, di testimoni; non si trovò reo nessuno: le menti erano ancor capaci di dubitare, d’esaminare, d’intendere. […] Mentre il tribunale cercava, molti nel pubblico, come accade, avevan già trovato. Coloro che credevano esser quella un’unzione velenosa, chi voleva che la fosse una vendetta di don Gonzalo Fernandez de Cordova, per gl’insulti ricevuti nella sua partenza, chi un ritrovato del cardinal di Richelieu, per spopolar Milano, e impadronirsene senza fatica; altri, e non si sa per quali ragioni, ne volevano autore il conte di Collalto, Wallenstein, questo, quell’altro gentiluomo milanese. Non mancavan […] di quelli che non vedevano in quel fatto altro che uno sciocco scherzo, e l’attribuivano a scolari, a signori, a ufiziali che s’annoiassero all’assedio di Casale. […] C’era, del resto, un certo numero di persone non ancor persuase che questa peste ci fosse.[2]

(I promessi sposi, XXXI)

Il sospetto inizia a farci sobbalzare ad ogni novità. Diventiamo ciechi e sordi, idee ibride ci mettono in guardia perfino dagli esperti, le cui conoscenze e lauree non riescono a riequilibrare nell’immediato la ragione. Ancora una volta la Milano percorsa da Renzo ritorna davanti ai nostri occhi, qui nella figura di Lodovico Settala:

Il protofisico Lodovico Settala […], stato professore di medicina all’Università di Pavia, poi di filosofia morale a Milano, autore di molte opere riputatissime allora, chiaro per inviti a cattedre d’altre università, Ingolstadt, Pisa, Bologna, Padova, e per il rifiuto di tutti questi inviti, era certamente uno degli uomini più autorevoli del suo tempo. […] quella grandissima [autorità] che godeva, non solo non bastò a vincere […] l’opinion di quello che i poeti chiamavan volgo profano, e i capocomici, rispettabile pubblico; ma non poté salvarlo dall’animosità e dagl’insulti di quella parte di esso che corre più facilmente da’ giudizi alle dimostrazioni e ai fatti. Un giorno che andava in bussola a visitare i suoi ammalati, principiò a radunarglisi intorno gente, gridando esser lui il capo di coloro che volevano per forza che ci fosse la peste; lui che metteva in ispavento la città, con quel suo cipiglio, con quella sua barbaccia; tutto per dar da fare ai medici[3]”.

(I promessi sposi, XXXI)

Infine, il bisogno, la necessità di mangiare, di sopravvivere, ci spinge a saccheggiare gli scaffali dei supermercati ed investire in una possibile quarantena, rischiando di far riemergere le lotte per il pane del XII° capitolo dei sempre più familiari Promessi sposi[4].

L’opera del Manzoni fornisce anche un breve consiglio adatto al problema della disinformazione, il quale, specie per casi come questo, può risultare pericolosissimo:

“Si potrebbe però, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare.[5]

(I promessi sposi, XXXI)

Manzoni e Boccaccio ci dimostrano come la letteratura, nonostante venga studiata per anni nelle scuole, sia sempre pronta a stupirci ed a farci scoprire cose nuove. I secoli non sembrano intaccarla, proprietaria di un potere capace di farci riflettere anche sui nostri giorni e rivelare la natura umana. Sminuirla significa non esser in grado di vedere e capire le sue doti.


[1] : G. Boccaccio, Decameron, R. Marrone (a cura di), Newton Compton, Roma 2010, p. 35.

[2] : A. Manzoni, I promessi sposi, G. Getto (a cura di), Sansoni, Firenze,  1984, pp. 749-750.

[3] : Ibid., pp. 743-744.

[4] : Vd. ibid., pp. 380-393.

[5] : Ibid., pp. 750-751.

A cura di: Gianluca Lorenzetti. Per L’eclettico ha già pubblicato Giovanni VIII: vita di Basileùs, sintesi delle vicende di casa Paleologo Catalogna indipendente: una lotta a tinte oro, rubino e blaugrana.

Immagine di copertina: Il Lazzaretto di Milano, durante le fasi di demolizione (1882 – 1890). Fonte: Wikipedia.

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