Nonostante si parli diffusamente di ciò che accade all’interno del gruppo Gedi, le conseguenze editoriali per Repubblica non sono analizzate con la necessaria attenzione. Una riflessione necessaria, specialmente per chi in passato ha reclamato, e lo fa tutt’ora, la fine dei finanziamenti pubblici al giornalismo.

Per dire in breve che cosa è successo: Carlo Verdelli, direttore di Repubblica, viene sostituito da Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, al suo posto andrà Massimo Giannini direttore di Radio Capital. Di fatto c’è uno scambio di posizioni all’interno dello stesso gruppo editoriale. Questo solleva molti dubbio sulla presenza di monopoli dell’informazione: Gedi, ad esempio, possiede Il Secolo XIX, HuffPost e Il Tirreno (solo per citarne alcune), mentre Rcs, suo “concorrente”, Il Corriere della Sera, La7 e molti altri ancora.

Molinari è il terzo direttore, dopo Calabresi e Verdelli, in quattro anni a fronte di due direttori in quarant’anni (Eugenio Scalfari, anche fondatore della testata, ed Ezio Mauro) e questo già indica un mutamento nella linea editoriale che non privilegia più la stabilità di lungo corso. Un cambiamento iniziato nel 2013 quando Carlo De Benedetti, storico editore del gruppo L’Espresso di cui faceva parte Repubblica, cede la direzione ai tre figli. Nel 2016 viene nominato direttore del giornale Mario Calabresi, all’epoca direttore de La Stampa; due mesi dopo viene annunciata la fusione col gruppo editoriale controllato dagli Agnelli: La Stampa e la Repubblica sono ora nello stesso gruppo editoriale. Sono gli anni del governo Renzi e infatti il nuovo direttore è “giovane”, ha 46 anni, e adotta una linea dai toni pacati evitando, spesso, di schierarsi preferendo presentare le posizioni in campo come nel caso del referendum costituzionale del 2016. Le cose, però, cambiano e l’arrivo del governo giallo – verde nel 2018 porta, dopo qualche mese, la rimozione di Calabresi. Nel febbraio 2019 alla direzione di Repubblica arriva quindi Carlo Verdelli che ha 62 anni e ricorre ad una campagna più aggressiva e schierata anche nell’impaginazione del giornale che torna ad avere i titoli a caratteri grandi come un tempo. Nel frattempo De Benedetti, scontento della gestione del quotidiano, fa una proposta di riacquisizione ai figli molto bassa per sottolineare lo scarso valore dimostrato dai suoi eredi nella gestione del patrimonio editoriale. La proposta viene pacatamente rifiutata e il 2 dicembre 2019 viene annunciato l’accordo per la cessione del pacchetto Gedi da Cir, controllata dalla famiglia Di Benedetti, a Exor – quindi dei cambiamenti nelle redazioni erano già nell’aria. L’accordo è stato poi perfezionato il 23 aprile: Cir cede il 43,78% del capitale di Gedi a Giano Holding, una società detenuta interamente da Exor e creata appositamente per l’acquisizione. Attarverso ulteriori operazioni di cessione di pacchetti azionari Giano Holding arriverà a possedere il 60,8% di Gedi. Alla guida del Consiglio d’amministrazione è stato nominato John Elkann che rafforza così il peso degli Agnelli all’interno del gruppo: sembre che Repubblica sia stata acquisita da La Stampa.

Aprile 2020 è quindi un mese cruciale: il governo è cambiato ancora nel settembre 2019 ed è guidato dal PD e dal Movimento 5 Stelle; contestualmente ai mutamenti editoriali viene nominato Molinari alla guida di Repubblica e, inoltre, direttore editoriale di tutto il gruppo Gedi, il che gli darà un notevole potere. Molinari ha 55 anni, è quindi più giovane del suo predecessore ma più vecchio di Calabresi; visto quanto fatto a La Stampa si presume che userà toni più moderati, forse più “consoni” al mutato clima politico. Proprio le inclinazioni politiche di Molinari, non propriamente un uomo di centro sinistra, incuriosiscono visto che è stato messo alla guida di un giornale che, per citare il suo fondatore: «ha fatto una precisa scelta di campo», cioè collocarsi a sinistra – una collocazione ribadita anche nell’editoriale di Scalfari di domenica 26 aprile. Un considerazione simile si può fare con Massimo Giannini, più orientato al centro sinistra rispetto a Molinari ma nominato alla guida di un giornale, La Stampa, centrista; Giannini, inoltre, era stato nominato direttore di Radio Capital, anch’essa proprietà del gruppo Gedi, perché la rendesse una radio di approfondimento simile a Radio 24 ma con maggiori inserti musicali. Si presume quindi esaurito il suo compito.

Nel suo primo editoriale del 1976 il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari descrisse così il quotidiano appena fondato: «un giornale d’informazione il quale anziché ostentare una illusoria neutralità politica, dichiara esplicitamente di aver fatto una scelta di campo». Ad oggi la linea editoriale pare essere dare ai lettori ciò che vogliono sentire, una scelta populista che contraddice lo spirito critico del giornalismo e che insegue principalmente il mercato delle vendite. Un quadro che solleva molti dubbi sulla liceità degli editori viste anche le modalità e le tempistiche di rimozione di Verdelli: sotto scorta per minacce neofasciste viene infatti licenziato il 23 aprile, lo stesso giorno in cui viene lanciata una campagna social in suo sostegno sotto l’hashtag #IoStoConVerdelli. Inutile sottolineare l’indelicatezza degli editori e una forte contraddizione con l’ideale antifascista che animò la nascita del quotidiano considerando che oltretutto si era all’indomani del 25 aprile. Un licenziamento, quello di Verdelli, che ha sollevato numerosi malumori all’interno del Consiglio di redazione di Repubblica per il modo in cui è stata comunicata, con una nota stampa e senza comunicazione preventiva, in un momento in cui a causa del Coronavirus risulta più difficile per i giornalisti discutere e valutare collegialmente le conseguenze di così rilevanti cambiamenti per l’intero mondo editoriale di cui fa parte anche Repubblica.

Immagine di Copertina: il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari.

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