In questi mesi di quarantena molti si sono interrogati su ciò che accadeva provando un senso di frustrazione, come avvertendo di essere stati defraudati. Un senso di ingiustizia difficile da definire, ma reale poiché se il virus in sé per sé non è né giusto o ingiusto, in quanto privo di coscienza, alcune delle decisioni riguardanti il suo contenimento possono rientrare nella categoria dell’ingiustizia. È la consapevolezza che vi sono delle responsabilità che hanno portato al tempo perso, un tempo cioè che nessuno restituirà e che rimarrà vuoto; un tempo le cui possibilità, che fondano la libertà umana, rimarranno inattese.

La consapevolezza che alcuni governi, primo tra tutti quello cinese, abbiano taciuto la realtà dei fatti impedendo così un tempestivo organizzarsi per contenere la diffusione della pandemia, individua la catena di responsabilità che fondano l’ingiustizia. Pechino ha negato, ha nascosto e continua ad essere poco trasparente sul virus, tentando allo stesso tempo di sfruttare una tragedia immane per guadagnare soft power. Ma non solo il governo cinese, anche molti governi europei, tra cui quello italiano, hanno inizialmente ignorato e sottovalutato i richiami di medici, epidemiologi e scienziati affinché si adottassero le misure necessarie. Infine, parte delle responsabilità sono in quei cittadini che in queste settimane non hanno rispettato le norme di distanziamento sociale e di sicurezza.

Il tempo dell’uomo, inteso come progressione verso il futuro, non è un insieme di attimi tutti uguali in successione tra di loro in quanto la decisione e l’azione rompono la piattezza dell’indefinita infinitudine che caratterizza la temporalità futura. È in questo senso che il tempo, carattere costitutivo dell’esperienza umana, è possibilità cioè di ciò che può o non può essere messo in atto. La realizzazione dell’uomo, la sua libertà, si trova quindi nello scarto tra la misura dell’inatteso e ciò che è qui ed ora e ciò che è stato già. L’ingiustizia è ciò che rompe questa relazione temporale di possibilità in nome della staticità: ciò che non è stato è ciò che avrebbe potuto essere.

Tra tempo, libertà, giustizia e ingiustizia vi è quindi un nesso essenziale: la responsabilità.

Libertà è sinonimo di posizione. La posizione implica la presenza, l’essere “in”. Il che, a sua volta, implica un’assenza (da dove viene la posizione) e un verso (rispetto a che cosa si è posizionati). È quindi una tensione irrisolvibile di presenza/assenza. Essere liberi, oggi, significa farsi carico di un’emergenza che non ha confini e che necessariamente demanda la collaborazione di ognuno, cioè interdipendenza: la libertà del singolo dipende dall’azione della collettività – ciò che, appunto, si definisce responsabilità. Le catene che ci imponiamo oggi assumono così la forma della tensione verso il futuro che ha l’impazienza della libertà. L’essere nel mondo, l’essere qui ed ora, in questa condizione assurda che manifesta l’assurdo, implicano un con, una relazione – la mia libertà dipende dal buon senso degli altri che contribuiscono ad arginare la crisi, come il mio essere «uomo» dipende dal fatto che ho davanti a me un altro «uomo» che spinge a riconoscermi tale in nome di una condizione comune che è anche alterità – l’impossibilità dell’uno. Dipendenza ma non sottomissione: non annichilirsi nell’altro, ma rispecchiarsi per essere diversi, riconoscersi ma non identificarsi, essere con, non essere per. La vita, pertanto, non può che essere radicale: perché la posizione, come la mia libertà, è radicale nelle conseguenze e nel suo essere radicalmente gettata nel mondo, nella condizione assurda, come radicalmente differente è la posizione di ognuno.

La libertà oggi si fonda sul tempo perso, quello di cui siamo privati e di cui scegliamo di privarci in nome della giustizia e della libertà che non sono solo a venire ma già presenti; ma è anche consapevolezza che ciò che avrebbe potuto essere non sarà: l’irreparabile dell’ingiustizia. La giustizia è quindi farsi carico di questa situazione nella consapevolezza che la libertà si fonda su questa premessa. Progettare il futuro e metterlo in atto nonostante l’ingiustizia, cioè partendo da essa per superarla, poiché l’uomo è ciò che si fa, pertanto è responsabilità. In nome di queste premesse le cause della diffusione del virus dovranno essere individuate e sarà necessario vigilare affinché non si abdichi la libertà in nome di falsi principi sicuritari.

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