Trump minaccia di inviare l’esercito per porre fine alle proteste seguite all’assassinio dell’afroamericano George Floyd avvenuto il 25 maggio a Minneapolis da parte di alcuni poliziotti. Lo fa sostenendo di volere ricorrere all’Insurrection Act del 1807, che consentirebbe al presidente degli Stati Uniti di «federalizzare» la Guardia Nazionale presente nei vari stati. In pratica, la legge consente al potere federale (il presidente) di centralizzare il comando della Guardia Nazionale, una forza militare di riservisti statale (quindi non federale, ma del singolo stato). Ci sono, però, delle condizioni e non è così chiaro in quali casi e in che modalità il presidente possa invocare questo strumento – ciò anche perché gli Stati Uniti hanno un sistema legislativo di tipo anglosassone, con consuetudini, leggi e soprattutto sentenze e emendamenti. En passant: la Guardia Nazionale è già schierata o allertata in diverse città e stati, come a Minneapolis, Trump vuole quindi centralizzare il comando su di sé per attuare una risposta più dura.

Ma torniamo all’Insurrectional Act. Un primo (e storico) terreno di discussione negli Stati Uniti riguarda le competenze federali e locali. Una sezione dell’Insurrectional Act sostiene infatti che debbano essere gli stati a richiederne l’applicazione, mentre un’altra sostiene che nei casi in cui uno stato è impossibilitato a fare rispettare le leggi o quando i diritti dei cittadini sono ridotti il presidente possa intervenire. Possibilità che furono poi ampliate a seguito dell’uragano Katrina del 2005, anche se successivamente, per l’obiezione unanime dei governatori che vi vedevano un’eccessiva estensione dei poteri del governo federale, furono ridotte.  Applicare l’Act non è però così immediato come può sembrare: il presidente deve infatti emettere prima un proclama che ordina agli “insorti” di disperdersi entro un arco di tempo limitato. Se ciò non accade il Presidente può a quel punto emettere un ordine esecutivo, federalizzare la National Guard ed impiegarla.

Finora abbiamo parlato di Guardia Nazionale, che è differente dallo US Army, cioè l’esercito degli Stati Uniti.

Come accennato precedentemente gli Stati Uniti sono un paese federale, dove pertanto alcune competenze e alcune istituzioni si ripartiscono in un intreccio fra governo centrale (Washington) e locale (stato, contea, ecc.). In questo intreccio si collocano le varie law enforcement, cioè le varie polizie: essendo il modello di polizia americano fondato sul modello anglosassone del community policing vi sono diverse e decentralizzate forze dell’ordine: l’FBI, quella federale, la State Police, quella dello Stato, la County Police, cioè la polizia di contea che si divide a sua volta in Sheriff’s Department (diverso dal Marshall, tradotto in Italia come sceriffo, che è un ufficiale federale), e Municiapal Police, di cui la New York Police Department (NYPD) è  la più numerosa. Solamente l’FBI e i Marshall non sono ancora impiegati nel contenimento delle proteste. Per quel che riguarda l’esercito vi sono, come detto, esercito federale, lo United States Army, e la National Guard, di livello statale ma che è anche sotto controllo federale e che può essere utilizzata dal presidente. La National Guard ha anche compiti di ordine pubblico e in passato è stata spesso utilizzata, talvolta con risultati discutibili, come nel 1970 quando, chiamata per reprimere la protesta degli studenti della Kent State University contro l’invasione statunitense della Cambogia sparò uccidendo quattro persone.

Ricorrere all’esercito vero e proprio, lo US Army, come sembra che Trump voglia fare, non è però così facile. L’Insurrectional Act parla infatti della Guardia Nazionale. Un’altra legge, il Posse Comitatus Act del 1878 sancisce infatti che l’intervento dell’esercito all’interno del paese possa avvenire solo su previa autorizzazione del Congresso o nei casi previsti dalla Costituzione. Un bel limite all’azione presidenziale e, difatti, il Posse è una legge promulgata al termine della Reconstruction Era, il periodo successivo alla Guerra Civile ed in cui l’esercito del nord aveva occupato il sud per garantire l’integrazione e vigilare sull’ordinato svolgersi dell’ordine pubblico. Il Posse è, in verità, una legge che è stata a lungo disattesa e che dagli anni Sessanta ha visto una graduale riduzione del suo potere. Ad oggi, infatti, esistono delle eccezioni al Posse Comitatus Act. La storia di come si sia arrivati alla legge del 1981, il Military Cooperation With Law Enforcement Act (MCLEA), che regolamenta queste eccezioni, è una storia lunga, che inizia negli anni Sessanta, e che non è possibile ripercorrere qui.

Il MCLEA, fortemente voluto dall’amministrazione Reagan, fu un punto di svolta. Innanzitutto regolamentava, e lo fa tutt’ora, i rapporti tra polizia ed esercito, integrando le competenze tra queste due forze. La legge individua i casi in cui il Dipartimento della Difesa (DOD) può fornire assistenza diretta nelle indagini e nei momenti di crisi, condividendo inoltre le informazioni. Oltre a ciò l’esercito può fornire ai dipartimenti di polizia armi, equipaggiamenti e mezzi là dove siano richiesti. È su questa base che venne autorizzato il famoso 1033 Program di Clinton con cui vennero autorizzati ulteriori trasferimenti di materiali, armi ed equipaggiamenti dell’esercito alla polizia. Programma che Obama aveva in parte bloccato nel 2015 e che Trump ha riattivato.

La conseguenza, sin dagli anni Ottanta, del MCLEA fu un’accentuazione del fenomeno della militarizzazione, cioè la graduale ibridazione tra polizia ed esercito che portò la prima ad assumere uno status, un ethos, armi, equipaggiamenti, gerarchie, addestramenti e tattiche tipiche dell’esercito. In seguito alla promulgazione del MCLEA i casi di collaborazione tra esercito e polizia sono aumentati notevolmente così come la diffusione delle Police Paramilitary Units (PPUs) come la Special Weapons and Tatics (SWAT), reparti di polizia speciali e fortemente militarizzati. La militarizzazione, rendendo subalterna la polizia all’esercito, provoca inoltre un cambiamento nella mentalità e quindi nel modo d’agire del poliziotto. Generalmente la polizia interviene in funzione di prevenzione o per ristabilire l’ordine. Non cerca una vittoria definitiva, cioè l’annientamento di chi ha di fronte come l’esercito, perché si occupa di cittadini, non di nemici. Con la militarizzazione tutto questo cambia: assumendo una mentalità militare, la polizia cerca una vittoria definitiva perché vede di fronte a sé dei nemici.

La militarizzazione è una delle cause dell’elevato tasso di mortalità e di violenza delle azioni della polizia statunitense, che nella maggioranza dei casi colpiscono gli afroamericani. Non è solo la militarizzazione, però, la causa della morte di George Floyd e di moltissimi altri afroamericani: è un sistema complesso in cui entrano in gioco molteplici fattori, da leggi che rendono più facile incriminare gli afroamericani (le cosiddette New Jim Crow), allo storico problema della linea del colore e del razzismo presente negli Stati Uniti di cui i dipartimenti di polizia non sono immuni anche perché hanno interiorizzato nelle loro gerarchie e nell’istituzione stessa questo problema. Trump soffia, sin da prima del 2016, quando sosteneva che Obama non fosse nato negli Stati Uniti, sul fuoco delle tensioni razziali e della polarizzazione politica. Alimentarlo è parte della strategia su cui ha costruito la sua elezione: richiamarsi ad un idilliaco quanto irreale passato in cui la supremazia bianca, sovente ottenuta con il ricorso alla violenza, era una realtà. Il motto make America great again sottintende anche questo. Un clima di tensione cui assistiamo in questi giorni, in cui per la prima volta un Presidente degli Stati Uniti, che dall’inizio dei disordini non si è ancora rivolto alla Nazione, non invita alla calma ma alimenta le violenze invocando il ricorso all’esercito e alla violenza. Violenza di cui scontano le conseguenze anche i giornalisti, molti dei quali in questi giorni hanno affermato di essere stati vittima di violenze da parte della polizia: gli arresti come quello della troupe della CNN, le cariche, proiettili di gomma sparati verso di loro così come i lacrimogeni che, in generale, non potrebbero essere sparati ad altezza d’uomo.  La causa si trova nell’erosione di fiducia nei confronti dei media frutto della propaganda di Trump contro i giornalisti, sovente identificati come «nemici del popolo», e nell’utilizzo sempre più spregiudicato della retorica militare da parte dello stesso Presidente che, in questi anni, ha spesso invocato l’intervento militare, sia nel paese che al di fuori, contribuendo a sfocare la linea di controllo civile sull’esercito, creando le premesse per la diffusione delle violenze da parte di tutte le forze dell’ordine.

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