La parola mobbing deriva da un termine etologico coniato dallo zoologo ed etologo austriaco Kondrad Lorenz nel 1966 che indicava così il comportamento aggressivo di alcune specie di uccelli nei confronti dei loro simili per allontanarli dal proprio gruppo. Dagli anni’80 in poi lo psicologo svedese Heinz Leymann utilizzò l’espressione per indicare i comportamenti distruttivi all’interno degli ambienti di lavoro.
Il mobbing, di fatto, è una comunicazione conflittuale sul posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti. La persona attaccata viene posta in condizione di debolezza e aggredita direttamente o indirettamente in modo sistematico, frequentemente e per un lungo periodo di tempo con lo scopo di provocarne l’estromissione dal luogo di lavoro. In questa situazione la vittima percepisce questo processo come una discriminazione.
Alla base del mobbing c’è sempre un conflitto irrisolto che continua sotto la superficie e ne logora i protagonisti. La vittima è generalmente in una posizione inferiore di status rispetto agli avversari e durante il lungo periodo di tempo in cui subisce il mobbing, perde influenza, il rispetto degli altri, il potere decisionale e la fiducia in se stessi oltre alla propria dignità, agli amici e all’entusiasmo sul posto di lavoro.
I tre fattori che concorrono nel mobbing – cioè aggressore, vittima ed organizzazione – possono incrociarsi tra di loro e dare luogo a varie reazioni.
L’azione del mobber potrebbe essere causata dal suo carattere cinico o sadico che lo porta a perseguire incessantemente la sua vittima oppure dallo stesso comportamento di essa o ancora da un ambiente di lavoro distruttivo. Il comportamento del mobbizzato potrebbe derivare da una sua tipica reazione verso il mobber che a sua volta potrebbe incrementare le sue azioni distruttive, trovando una giustificazione nel comportamento anomalo della vittima. L’ambiente di lavoro può essere anch’esso un contesto cruciale per lo sviluppo del mobbing.
La nascita del mobbing si può individuare in quattro campi che favoriscono lo sviluppo del conflitto: 1. Una carente organizzazione e distribuzione del lavoro è causa di stress e di tensioni che vengono scaricate su un colpevole. 2. Se un lavoratore svolge mansioni ripetitive, monotone e sotto qualificate è più probabile il ricorso al mobbing per sfuggire alla monotonia. 3. Una direzione aziendale carente che non tiene conto delle esigenze dei lavoratori può favorire la nascita del mobbing all’interno della sua organizzazione. Particolare attenzione va posta sui turni di lavoro che rischiano di isolare le persone. Un ambiente con scarsa socializzazione è soggetto a maggiore rischio di mobbing. 4. Le relazioni intercorrenti tra i membri del gruppo di lavoro che possono essere più o meno tranquille a seconda del carico di lavoro che grava sul gruppo. Secondo gli studi di Harald Ege, psicologo esperto in mobbing, lavorare sotto pressione porta gli individui a ritrovare l’equilibrio e a scaricare le tensioni all’esterno.
La risoluzione 20/09/2001 del Parlamento Europeo “ha raccomandato agli Stati membri di imporre alle imprese, ai pubblici poteri nonché alle parti sociali l’attuazione di politiche di prevenzione efficaci, l’introduzione di un sistema di scambio di esperienze e l’individuazione di procedure atte a risolvere il problema per le vittime e ad evitare sue recrudescenze”. Sempre la risoluzione ha raccomandato in tale contesto “la messa a punto di un’informazione e di una formazione dei lavoratori dipendenti, del personale di inquadramento, delle parti sociali e dei medici del lavoro, sia nel settore privato che pubblico”. Il Parlamento Europeo ha ricordato infine “la possibilità di nominare sul luogo di lavoro una persona di fiducia alla quale i lavoratori possono eventualmente rivolgersi…”.
Ne Il fenomeno del mobbing: prevenzione, strategie, soluzioni Harald Ege ha delineato quattordici profili che si riscontrano con maggiore frequenza:
- L’Istigatore: è colui che è sempre alla ricerca di nuove cattiverie e maldicenze volte a colpire gli altri.
- Il Casuale: è colui che diventa mobber per caso, quando trovandosi all’interno di un conflitto prende il sopravvento sull’altro.
- Il Conformista: è un tipo di mobber spettatore, nel senso che è una persona che non prende direttamente parte al conflitto attaccando la vittima. Ciononostante la sua non reazione equivale ad un’azione che favorisce il mobbing.
- Il Collerico: è la persona che non riesce a contenere la rabbia e far fronte ai suoi problemi. Soltanto prendendosela con gli altri riesce a scaricare la forte tensione interna che ha.
- Il Megalomane: è colui che ha una visione distorta di se stesso considerandosi sempre al di sopra. Un “senso di grandiosità” che lo autorizza a colpire gli altri ritenuti “inferiori”.
- Il Frustrato: è l’individuo insoddisfatto della sua vita che scarica il suo malessere sugli altri, alla stregua del collerico.
- Il Sadico: è colui che prova piacere nel distruggere l’altro e che non è disposto a lasciarsi scappare la vittima. Questo individuo, identificato da altri come il “perverso narcisista”, rappresenta il modello più pericoloso in quanto è da considerarsi uno psicotico senza sintomi che rifiuta di prendere coscienza dei suoi conflitti interni e che trova il suo equilibrio scaricando il dolore sugli altri.
- Il Criticone: è la persona perennemente insoddisfatta degli altri che crea un clima di insoddisfazione e di tensione.
- Il Leccapiedi: è il classico carrierista, che si comporta da tiranno coi subalterni ed è ossequioso coi superiori.
- Il Pusillanime: è colui che ha troppa paura per esporsi e si limita ad aiutare il mobber. Se agisce in prima persona, lo fa in maniera subdola.
- Il Tiranno: è simile al sadico. Non sente alcuna ragione ed i suoi metodi seguono uno stile dittatoriale.
- Il Terrorizzato: è colui che teme la concorrenza e inizia a fare azioni di mobbing per difendersi.
- L’Invidioso: è colui che è sempre orientato verso l’esterno e non può accettare l’idea che qualcun altro stia meglio di lui.
- Il Carrierista: è la persona che cerca di farsi una posizione con tutti i mezzi possibili, anche non legali, invece di puntare sulle sue reali capacità.
Fonti: Atkinson & Hilgard’s, Introduzione alla psicologia, Piccin, Padova 2011; G. Costa, P.Gubitta, D.Pittimo, Organizzazione aziendale, Mc Graw Hill Education, 2014; Sanavio, Cornoldi, Psicologia Clinica, Bologna, il Mulino, 2001; R. Staiano, Dequalificazione professionale e mobbing. Profili applicativi; Halley, 2006.
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In collaborazione con Comunicarea.

Sono nato a Pontedera nel 1993, mi sono laureato in Scienze e Tecniche Psicologiche all’Università degli Studi di Padova approfondendo il tema dei disturbi di apprendimento e della salute mentale. Lavorando come Tutor di studio.
Attualmente sto studiando Psicologia Clinica e della Salute e Neuropsicologia all’Università di Firenze.
Dal 2010 ho iniziato a fare il blogger e ho avuto l’opportunità di scrivere e collaborare con molti blog e siti internet; Dal 2018 sono un Educatore che si occupa di apprendimenti.