La storia dell’identificazione della dislessia si divide in tre fasi anche se esse non risultano del tutto differenziate.
Durante la prima fase, terminata alla fine dell’Ottocento, sono state indagate le origini, le cause e le caratteristiche della dislessia. I primi soggetti con deficit di lettura e linguaggio individuati erano generalmente pazienti con afasia acquisita.
Tra il 1950 e il 1970 si arrivò alla seconda fase durante la quale il campo di studi sulla dislessia si è aperto ad una varietà di approcci clinici, educativi e di ricerca. Tra il 1970 e il 2000 si arriva alle teorie moderne (terza fase) che hanno creato le fondamenta della nostra conoscenza attuale sulla dislessia.
Le origini della dislessia nella letteratura scientifica sono legate ai primi riconoscimenti di problemi linguistici, che come abbiamo già detto erano prevalentemente dovuti ad una afasia acquisita. Questi pazienti talvolta soffrivano anche della perdita della capacità di lettura. Furono necessarie molte ricerche per mettere afasia e dislessia in relazione alle lesioni cerebrali.
Due contributi importanti arrivarono all’inizio dell’Ottocento da Franz Joseph Gall (1758 –1828) medico tedesco, che fu in grado di suggerire che ogni specifica parte del cervello ha una precisa funzione. Mentre Paul Pierre Broca, (1824 – 1880) neurologo francese, riuscì a localizzare le aree specifiche del cervello dove potevano risiedere le funzioni del linguaggio.
Per la coniazione del termine «dislessia» furono necessari però altri anni. La parola venne usata per la prima volta nel 1872 dal medico (oculista) tedesco Rudolf Berlin di Stuttgart (1833 – 1897), per un caso di un adulto che aveva perso la capacità di lettura in seguito a una lesione cerebrale. Dislessia acquisita, la definì Berlin.
Cento anni più tardi (1877) il medico tedesco Adolf Kussmaul (1822 -1902) suggerì il termine «cecità per le parole» per descrivere un paziente afasico adulto che aveva perso la capacità di lettura.
In modo analogo nel 1878 Jean-Martin Charcot (1825 – 1893) neurologo francese definì «alessia» la perdita totale della capacità di lettura. Infine, nel 1890 il medico inglese Joseph Williams Bateman (1837 – 1890) definì la alessia o dislessia come una forma di amnesia verbale nella quale il paziente perde la memoria del significato convenzionale dei simboli grafici.
Fino al 1890 la dislessia era conosciuta solo come un disturbo di origini neurologiche, causato quindi da un trauma cerebrale (dislessia acquisita appunto).
Riguardo la dislessia evolutiva questa fu invece descritta come un disturbo visivo. Nel 1895 uscì per la prima volta su una rivista scientifica (The Lancet) un articolo che parlava di una strana forma di cecità per le parole. A scriverlo fu un medico inglese: James Hinshelwood (1859-1895). Egli ipotizzava che questa condizione fosse congenita e che fosse meno rara di quanto sembrasse sulla base della scarsa frequenza con cui veniva registrata.
L’articolo di Hinshelwood ispirò il connazionale dottor W. Pringle Morgan (1866-1934) riconosciuto come il padre della dislessia evolutiva che descrisse il caso di un ragazzo intelligente di quattordici anni che non aveva ancora imparato a leggere.
Il medico statunitense Samuel Orrey Orton (1879 – 1948) coniò nel 1925 il termine «strefosimbolia» spiegando che gli individui affetti da dislessia evolutiva hanno difficoltà nell’associare la forma visiva delle parole con la loro forma parlata. Orton sottolineò inoltre che il deficit della lettura nella dislessia sembra non essere causato precisamente da deficit visivi. Fino a quel momento la dislessia era un campo esclusivo dei medici, soprattutto oftalmologi e neurologi. Grazie agli studi di Orton il campo si allargò a psicologi, sociologi ed educatori, che cominciarono a discutere sui fattori ambientali e psicologici, per esempio il metodo educativo e la vita familiare che potevano essere connessi con le difficoltà della dislessia.
Tra gli anni ’50 e ’60 gli studiosi iniziarono a sostenere l’ipotesi che la dislessia fosse un disturbo di origine multifattoriale e quindi iniziarono a riconoscere sottogruppi con problemi di tipo visivo, uditivo o di ragionamento astratto.
Fu proprio nel corso degli anni settanta che emerse una nuova ipotesi: la dislessia avrebbe origine da un deficit nel sistema fonologico. Venne allora notato, infatti, che i dislessici hanno difficoltà nel riconoscere le parole della lingua parlata come formate da fonemi e nell’associare questi suoni alle corrispondenti lettere alfabetiche della lingua scritta.
Dopo questo decennio le teorie della dislessia basate sulla nuove discipline, come la psicologia cognitiva e le neuroscienze, fornirono risultati ancora più interessanti.
Nel campo della psicologia la statunitense Isabelle Y. Liberman (1918 – 1990) nel 1966 sostenne l’ipotesi che le difficoltà nella lettura dei dislessici fossero di origine linguistica, in particolare nella struttura fonologica e nella segmentazione. Questa linea fu seguita da molti studiosi che osservarono effettivamente deficit fonologici nei dislessici, come ad esempio una scarsa consapevolezza della stessa. Frank Vellutino (1957 – in vita), psicologo statunitense, nel 1979 inoltre scoprì una relazione tra deficit fonologico e deficit alla memoria a breve termine nei «normolettori». Secondo lo studioso la dislessia non è un disturbo visivo, ma un disturbo del linguaggio che coinvolge l’elaborazione delle parole.
Nel corso degli anni settanta le teorie sulla dislessia si muovevano gradualmente da spiegazioni del disturbo di tipo visivo a spiegazioni di tipo linguistico, mentre tra gli anni ottanta e novanta la psicologa inglese Margaret Snowling (1955 – in vita), trovò una relazione tra le abilità fonologiche dei dislessici e la memoria a breve termine. Anche le teorie della psicologia cognitiva apportarono quindi dei progressi proponendo ad esempio un modello della lettura di tipo connessionista, ovvero un approccio delle scienze cognitive che spera di spiegare il funzionamento della mente usando reti neurali artificiali.
Attualmente la dislessia è un campo di studi interdisciplinare che coinvolge discipline come la neurobiologia e la linguistica. Una collaborazione tra più studiosi di diverse discipline è necessaria per conseguire i migliori risultati nella comprensione dei disturbi dell’apprendimento.
Per la letteratura scientifica di riferimento sui DSA cfr: American Psychiatric Association, DSM-IV-TR, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Elsevier, Milano, 2000; Benso, La dislessia, Il leone Verde, Torino, 2011; C. Cornoldi e S. Zaccaria, In classe ho un bambino che, Giunti, Firenze 2011; G. Stella, La dislessia, Il Mulino, Bologna, 2001; Trisciuzzi, Zappaterra, La dislessia, Guerini Scientifica, Milano, 2005.

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Sono nato a Pontedera nel 1993, mi sono laureato in Scienze e Tecniche Psicologiche all’Università degli Studi di Padova approfondendo il tema dei disturbi di apprendimento e della salute mentale. Lavorando come Tutor di studio.
Attualmente sto studiando Psicologia Clinica e della Salute e Neuropsicologia all’Università di Firenze.
Dal 2010 ho iniziato a fare il blogger e ho avuto l’opportunità di scrivere e collaborare con molti blog e siti internet; Dal 2018 sono un Educatore che si occupa di apprendimenti.