La montagna non è soltanto sci e impianti di risalita: è un luogo esistenziale per molti, la casa per altri, l’inizio di una nuova vita nella decisione di investire tempo e denaro di numerosi giovani che hanno deciso di vivere nelle terre alte dando così nuova linfa vitale all’economia, alla cultura e alla società montana. La montagna è anche rifugi, alpinismo, arrampicata, stratificazione storica che dà luogo ad alcuni dei paesaggi che amiamo.  

La montagna, è bene ribadirlo, non è solo lo sci fatto con gli impianti di risalita.

Tutto questo è, in parte, il cuore della polemica innescata dalla decisione del governo di non riaprire le piste da sci, motivata dalla necessità di contenere l’epidemia di coronavirus. La decisione ha provocato il malcontento di gran parte dell’industria sciistica, vedendo schierarsi a favore dell’apertura degli impianti persongaggi del calibro di Alberto Tomba e Federica Brignone. A favore della decisione del governo, invece, si sono schierati prima l’alpinista ed esploratore Reinhold Messner, poi lo scrittore alpinista Paolo Cognetti. Entrambi hanno sottolineato come non solo sia necessario contenere l’epidemia di coronavirus, ma che sarebbe ingiusto, oltreché sbagliato, ridurre la montagna alle piste da sci.

È bene chiarire un aspetto fondamentale: nessuno vuole la chiusura definitiva degli impianti sciistici. La discussione riguarda infatti due aspetti, uno contingente, legato alla pandemia da coronavirus, uno di medio- lungo periodo, cioè fino a dove vogliamo che l’industria delle sci si spinga. È, inoltre, l’occasione per ripensare la montagna, dunque l’ambiente e l’economia in maniera più circolare e completa, coerente con i presupposti ecologisti che molti professano dall’arrivo del Fridays for Future.

L’impatto dell’industria dello sci nell’economia è apparentemente notevole: come sottolinea il Sole 24 Ore in Italia ci sono almeno 400 aziende legate allo sci, per almeno 1500 impianti di risalita. Il giro di affari si aggira intorno ai 1,2 miliardi di euro e dà lavoro a circa 14mila persone, senza contare le attività connesse come i noleggi, le scuole di sci e così via –  un indotto parallelo che si aggira tra i 4 e i 7 miliardi di euro. Ma come evidenziato dall’Huffington Post l’impatto economico non è così positivo come potrebbe sembrare. Difatti l’industria sciistica non solo è spesso in perdita, ma molti dei fondi necessari a mantenere in piedi l’intero comparto sono pubblici. Gestire gli impianti da sci è infatti divenuta sempre più un’attività costosa, anche perché il riscaldamento climatico ha ridotto la neve sulle piste costringendo molti impiantisti ad aumentare la neve artificiale – solo per fare un esempio. I soldi pubblici entrano in ballo perché sono almeno sessanta le partecipate pubbliche negli impianti di risalita. Secondo l’indagine sulla spending review  dell’allora commissario straordinario alla spesa pubblica Carlo Cottarelli nel 2012 le perdite superavano i 16 miliardi di euro, in gran parte denaro pubblico.

Dunque, è bene rivedere la percezione che si ha dell’impatto dello sci sull’economia del paese. Ciò non vuol dire sminuirne il ruolo, anche perché molte sono le persone legate a questa industria. L’intento dell’articolo è infatti quello di dimostrare al lettore che l’economia montana non è solo sci, perché questo rappresenta solo una delle tante realtà economiche presenti: agricoltura, pastorizia, produzione di beni, alpinismo, turismo, rifugi e via dicendo.

C’è poi un aspetto decisivo ma immateriale, cioè che per molti la montagna è un luogo esistenziale dove andare per ascoltare sé stessi, per star bene camminando o facendo molte delle altre attività che possono essere fatte (arrampicata, sci alpinismo, escursionismo…). Soprattutto è un luogo che per molti non si riduce a ciò che si fa o non si fa, allo sci o al camminare: è semplicemente la montagna, la natura più o meno incontaminata che si trova. Il tentativo di ridurre le terre alte ad uno spazio a misura d’individuo, dove è possibile fare ciò che si vuole, è ridurre la realtà che ci circonda ad un monismo che ha al suo centro l’uomo, dimenticandosi che anche noi siamo parte di un qualcosa di più ampio: l’ambiente. Difendere la montagna da chi sostiene che senza le piste da sci è destinata a morire è difendere milioni di persone che vivono e lavorano in montagna senza lo sci, è difendere l’ambiente da ulteriori devastazioni. Costruire, infatti, piste da sci ha un notevole impatto ambientale perché implica il disboscamento, la deviazione di corsi d’acqua, con conseguenze anche sulla fauna locale. Senza contare i numerosi impianti abbandonati e non smantellati presenti sul territorio montano, lasciati a loro stessi in favore di più convenienti investimenti in altre zone perché ciò che sta accadendo è l’ampliarsi degli impianti da sci in aree che dovrebbero essere protette.  Anche questo è inquinamento.

Come già detto nessuno è contrario allo sci e agli impianti. Ciò che è necessario è riflettere sulle priorità: se una di queste è la difesa dell’ambiente dall’inquinamento e ridurre gli sprechi, preservare le comunità montane e il diritto di tutti di vivere la montagna serenamente, contrastando la diffusione del coronavirus, non si può che essere d’accordo con la decisione del governo e con quanto affermato da Messner e Cognetti.

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