“Di Vinegia alli xxx di Marzo MCCCXIV

L’humil servo vostro Dante Alighieri Fiorentino

Così termina la lettera che Dante Alighieri indirizzò al signore di Ravenna Guido Novello da Polenta (1316-1322) alla conclusione dell’ambasciata a Venezia. Perché il Poeta vi si recò? Quale motivo lo spinse a scrivere al Polentano? Ma soprattutto, come è possibile che l’epistola, datata 1314, sia indirizzata al Signore ravennate, quando egli lo divenne solamente due anni più tardi? Risponderemo a tutto, ma prima è necessario capire il contesto. Dunque, torniamo indietro di cento anni.

Al tempo Venezia non possedeva l’ampio dominio terrestre che la distinguerà in età moderna, ma il suo potere era comunque notevole, capace d’influenzare la politica delle vicine, ad esempio tramite la minaccia di aumento del costo del sale – merce indispensabile nella vita di tutti i giorni – oppure il suo arresto o diminuzione nelle esportazioni. Con la vendita e lo scambio di questo cristallo salato, l’Urbs sancti Marci otteneva i materiali necessari a mantenere ed ampliare la sua flotta, per questo motivo, quando uno dei siti nella sua area operativa provava a costruire delle saline o minacciava di farlo, la Serenissima si affrettava a mobilitare l’esercito. Tre dicembre 1234 è la datatio di uno dei tanti patti sottoscritti da Venezia sulla questione, in questo caso con Ravenna, il primo di cui siamo a conoscenza fra le due ed al quale ne seguirono molti altri, dove, tra i temi dominanti, troviamo il sale e le saline di Cervia, il cui prodotto spettava in parte all’arcivescovo ed al Comune di Ravenna[1]. Evito di elencare i molti dettagli e cavilli che adornano tali diplomi, limitandomi a dire che, – sebbene nei documenti del 1321 e ’22 non si accenni alle cause – fra contrabbandi, trasgressioni, parte degli accordi non rispettati, sequestri di navi, persone e merci, la partecipazione di Ravenna e Cervia alla guerra ferrarino-veneziana (dalla parte della Romagnola) ed i tentativi di ribellioni al controllo della Serenissima, la situazione degenerò a tal punto che si arrivò alla minaccia – mai andata oltre – di una guerra (1319-1322).

La domanda sorge spontanea: come finì Dante in tutto questo marasma politico? L’esilio aveva costretto il Poeta a viaggiare per quel puzzle comunale e signorile che era l’Italia dell’epoca. Il primo rifugio – o almeno quello che l’Alighieri vuole far passare – fu Verona, come indicato nella Commedia tramite le parole avveniristiche di Cacciaguida:

Lo primo tuo refugio e ‘l primo ostello

sarà la cortesia del gran Lombardo

che ‘n su la scala porta il santo uccello[2]

«Lo primo […] refugio», avvenuto tra il 1303 ed il 1304, non ci è molto utile, è infatti il secondo «ostello» veronese (1316-1318), quello sotto la protezione di Cangrande, che ci deve interessare maggiormente, visto il ruolo decisivo che la Verona del secondo decennio potrebbe aver avuto nell’ambasceria del 1321, poiché non solo Dante la utilizzò come base sicura per le sue (supposte) esplorazioni e l’acculturarsi ed informarsi sulle vicende politiche e geografiche circostanti, ma è possibile che fu proprio la lunga mano scaligera a spingere il Fiorentino a Venezia.Dopo aver risieduto per anni a corte, Dante la lasciò per dirigersi verso la Ravenna di Guido Novello da Polenta; perché? È una domanda che continua a dividere dantisti e biografi, soprattutto la parte riguardante la data d’arrivo, collocata recentemente ad un periodo compreso tra la seconda metà del ‘18 e la prima del ‘19. In un saggio del 1971, Augusto Torre[3] avanza l’idea secondo cui fu Cangrande ad inviare l’Alighieri a Ravenna, al fine d’incoraggiare e rafforzare la resistenza di Guido Novello contro Venezia nella «guerra» per le saline di Cervia. Ciò sarebbe dimostrato – sempre secondo Torre – dall’interesse scaligero per le relazioni tra il Comune e la Repubblica rivelato dalla partecipazione di Cangrande alla pace del 1310 in qualità di mediatore e nel suo legame mai interrotto con Dante, comprovato dal fatto che il Poeta era solito inviargli i canti della Commedia terminati, dalla (presunta) dedica del Paradiso e la presenza del Signore all’esposizione nella Chiesa di sant’Elena a Verona della Questio de aqua et terra (gennaio 1320).

Il 17 agosto 1321 il doge Giovanni Soranzo (1312-1328) incaricò Nicola di Marsilio di recarsi presso il signore di Forlì (vi giunse fra il 17 ed il 22), Francesco (I, detto «Cecco») Ordelaffi (1315-1331), perché accettasse a nome della Repubblica l’offerta di alleanza contro Ravenna che il Forlivese gli aveva a sua volta presentato poco antecedentemente (sospetto tra il 12 e il 17) e lo esortasse a mobilitare immediatamente le truppe. Da lì, poi, il Messo avrebbe dovuto proseguire verso Rimini, Cesena, Faenza ed Imola per sollecitarle a non andare in aiuto di Ravenna e dei suoi alleati e non far transitare per i loro territori gli eserciti nemici. Davanti ai signori gli organi di queste città, l’Inviato si sarebbe impegnato a spiegare la legittimità della guerra, data dell’assalto ravennate ad alcune navi della Serenissima[4], l’uccisione del capitano e l’aver ferito altri uomini; l’atto, di per sé, non rappresentava nulla d’inusuale, anzi gli abbordaggi delle città adriatiche alle navi veneziane erano abbastanza frequenti. Guido Novello cercò di rispondere all’assemblaggio  rivale chiamando in gioco l’autorità de iure di Ravenna, papa Giovanni XXII (1316-1334), che dalla lontana «cattività avignonese» provvide ad esortare il Doge a non marciare contro i territori del Patrimonium sancti Petri.

Naturalmente, questa non fu l’unica mossa del «Nobile cavaliere ravennate», egli mandò un’ambasciata – e forse più di una, come pensa Girolamo Rossi[5] – al Soranzo per cercare un accordo e tra coloro che si presentarono davanti ai capi della Repubblica vi fu anche Dante, sebbene in passato vi sia stato chi ne abbia dubitato (si vedano gli studi di Sheffer-Boichorst ed Imbriani)[6]. Ci si potrebbe domandare: il Poeta era mai stato nella Città lagunare? Come sempre non possiamo rispondere con certezza, ma, sfogliando la Commedia, è possibile incappare in un riferimento all’«Arzanà», l’Arsenale, orgoglio e simbolo della Città, disegnatoci con versi dettagliati che danno forma a uomini e strumenti:

Quale ne l’arzanà de’ Viniziani

bolle l’inverno la tenace pece

a rimpalmare i legni lor non sani,

ché navicar non ponno – in quella vece

chi fa suo legno novo e chi ristoppa

le coste a quel che più vïaggi fece;

chi ribatte da proda e chi da poppa;

altri fa remi e altri volge sarte;

chi terzeruolo e artimon ritoppa[7]

Suggerisco, comunque, di non considerare il passo come prova incontrovertibile di un precedente soggiorno a Venezia, poiché essa era famosa per la sua marina ed è improbabile che le genti del tempo non conoscessero l’Arsenale. Inoltre, mentre il Fiorentino si trovava a Verona (1303-1304 e 1316-1318), potrebbe aver visitato alcuni luoghi del Nord Italia – forse, afferma Ricci[8], lo fece perfino quando viveva a Ravenna (1318/1319-1321) –, un elenco[9] ancora avvolto da una nebbia d’incertezza, ma tra i luoghi citati dalle fonti non compare Venezia. È logico, dunque, pensare che non abbia mai visitato il Sito prima della famosa ambasciata e quanto scritto nella Divina non siano altro che informazioni ricavate da parole di terzi. Dopotutto, di richiami a luoghi geograficamente reali nella Commedia se ne fanno molti e non tutti furono mirati dal Poeta.

Sulla mancata visita alla Serenissima, però, Giorgio Padoan avrebbe da ridire, non per nulla intitolò il suo scritto «Le ambascerie di Dante a Venezia»[10]. Riprendiamo in mano la lettera indirizzata a Guido Novello: la data dice “Di Vinegia xxx di Marzo MCCCXIV”, per l’Autore, a differenza degli studiosi che lo hanno preceduto, quanto dice è autentico e non un errore dovuto a mal copiature o falsificazioni sbagliate, convinto che Dante si sia realmente recato presso il doge Soranzo nella primavera del 1314 ed il motivo per cui l’Alighieri scrisse “rallegrarmi in nome vostro della novella elettione di questo Serenissimo Doge”, nonostante questi fosse stato eletto due anni prima, sarebbe spiegabile dalla scomunica pontificia seguita al tentativo di annettere Ferrara, con la conseguenza di trovarsi in guerra contro diversi Comuni e signorie italiche, compresa Ravenna. L’interdetto papale durò dall’aprile 1309 al febbraio 1313, impedendo così ai delegati di congratularsi con Giovanni Soranzo per la promozione. Appoggiandosi alle fonti più antiche (Boccaccio, Filippo Villani e Manetti), datari dell’arrivo in Romagna dell’Alighieri a dopo la morte (1313) di Enrico VII (1308-1313 rex romanorum, 1312-1313 imperatore) e all’immagine di un Guido Novello figura rilevante all’interno della Famiglia e presente nella politica della Ravenna retta da suo zio Lamberto (1297-1314[11])[12], il Padoan trova le basi per la teoria sulla veridicità dell’epistola.

La prossima settimana pubblicheremo “L’eterno legame fra Dante e Venezia: l’ultima missiva”, seconda puntata della serie sul rapporto tra il poeta fiorentino e la città lagunare.


[1] : Per leggere gli accordi tra Venezia e Ravenna e Cervia a partire dal 1234, cfr. A. Torre, I patti fra Venezia e Cervia, in Id., Dante e Ravenna, Edizioni del Girasole, s. l. 1971, pp. 23-61 eId., L’ambasciata di Dante a Venezia, in ibid., pp. 37-48.

[2] : D. Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, canto XVII, vv. 70-72, in I. Borzi, G. Fallani, N. Maggi, S. Zennaro (a cura di), Dante Alighieri: tutte le opere. Divina Commedia, Vita Nuova, Rime, Convivio, De vulgari eloquentia, Monarchia, Egloghe, Epistole, Quaestio de aqua et de terra, Newton Compton, Roma 2011, p. 540. Per la discussione sul chi fosse il citato «gran Lombardo», cfr. Nicola Zingarelli in La vita, i tempi e le opere di Dante, Dottor Francesco Vallardi, Milano 1931, pp. 436-439.

[3] : Vd. A. Torre, L’ambasciata di Dante a Venezia, p. 49.

[4] : Cfr. P. D. Pasolini Dall’Onda, Delle antiche relazioni fra Venezia e Ravenna: memorie raccolte da Pietro Desiderio Pasolini, Cellini, Firenze 1874, p. 158; C. Ricci, L’ultimo rifugio di Dante, Ulrico Hoepli, Milano 1921, p. 149; N. Zingarelli, La vita, i tempi e le opere di Dante, pp. 1324-1325.

[5] : Cfr. C. Ricci, L’ultimo rifugio di Dante, p. 148.

[6] : Cfr. ibid.

[7] : D. Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto XXI, vv. 7-15, p. 152.

[8] : Vd. C. Ricci, L’ultimo rifugio di Dante, E. Chiarini (a cura di), Edizioni «Dante», Ravenna 1965, p. 63.

[9] : Cfr. Dante Alighieri, Quaestio de aqua et de terra, p. 1198; G. Boccaccio, Vita di Dante, P. Baldan (a cura di), Moretti & Vitali, Bergamo 1991, pp. 102-103; G. Manetti, Vite di Dante, Petrarca e Boccaccio, S. U. Baldassarri (a cura di), Sallerio, Palermo 2003, pp. 86-89; L. Bruni, Le vite di Dante e del Petrarca, A. Lanza (a cura di), Archivio Guido Izzi, Roma 1987, pp. 43-44; P. Fraticelli, Storia della vita di Dante Alighieri, G, Barbèra, Firenze 1861, pp. 244, 256; A. Solerti, Le vite di Dante, Petrarca e Boccaccio scritte fino al secolo decimosesto, Dottor Francesco Vallardi, Milano 1904, pp. 79-80, 96; C. Ricci, L’ultimo rifugio di Dante, pp. 35-37; C. Ricci, L’ultimo rifugio di Dante, E. Chiarini (a cura di), p. 40.

[10] : G. Padoan, Le ambascerie di Dante a Venezia, in «Lettere Italiane», XXXV, s. l. 1982.

[11] : Per capire il motivo che vede Guido succedere a Lamberto solo nel 1416, cfr. A. Poloni, Polenta, Lamberto da, in Repertorio delle Esperienze Signorili Cittadine, http://www.italiacomunale.org/resci/individui/polenta-lamberto-da/ (consultato il 20/11/2019).

[12] : Cfr. Ead., Polenta, Guido Novello da, in ibid., http://www.italiacomunale.org/resci/individui/polenta-guido-novello-da/ (consultato il 20/11/2019).

Articolo a cura di Gianluca Lorenzetti.

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