«Gentili Signori, vi informiamo che dalla data del primo gennaio 2021, Gedi Gruppo Editoriale S.p.A. cesserà la pubblicazione del periodico Micromega. Cordiali saluti». Con questo brevissimo messaggio il gruppo Gedi comunicava alla redazione della rivista Micromega, al suo direttore Paolo Flores d’Arcais, e ai lettori la decisione di interromperne la pubblicazione senza troppe spiegazioni.

Una decisione in linea con la politica editoriale del Gruppo Gedi, di proprietà della famiglia Agnelli.

Micromega, fondata nel marzo del 1986, è una delle più importanti rivista di cultura, filosofia e politica italiane. Come Repubblica e L’Espresso, sin dalla sua nascita si è legata ad una scelta di campo dichiarata: schierarsi nella sinistra, ma senza dogmatismi e simpatie partitiche; piuttosto una sinistra «eretica», scevra da ogni influenza, “rompiscatole” e intellettuale nel vero senso del termine –ogni intellettuale prende posizione: Kant, ad esempio, sosteneva, che non è possibile non prendere posizione, ciò che conta per il filosofo è infatti la flessibilità e l’onestà di riconoscere l’errore, il passo che precede il cambiamento. Una rivista che ha dimostrato di accettare il pluralismo e l’opinione differente come quando, nel settembre 2000, ospitò un dibattito filosofico fra Joseph Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI, e Paolo Flores d’Arcais, moderato da Gad Lerner.

Pochissime le voci levate in difesa di Micromega, principalmente firme del Fatto Quotidiano il cui direttore, Marco Travaglio, collaborò alla rivista fino al 2015 e Gad Lerner che ha pubblicato un accalorato articolo sulla vicenda. Lo stesso Lerner si domanda perché nessuno si levi in difesa di Micromega, ma ciò si spiega con il monopolio dell’informazione come vedremo tra poco.

La chiusura di Micromega, si diceva, è in sintonia con la linea editoriale del Gruppo Gedi e degli Agnelli. Come scrivevamo tempo fa, l’avvicendarsi di tre direttori in soli quattro anni a Repubblica, a fronte di una storia che ha invece messo al centro la stabilità editoriale,  era legata alle vicende politico-governative del paese. Di fatto gli editori, prima i figli di De Benedetti con gli Agnelli – Elkann in minoranza poi, con la cessione del 2019, con questi ultimi in maggioranza, hanno cambiato i direttori del quotidiano in base agli umori politici: tutto il contrario di ciò che un giornale dovrebbe fare se vuole mantenere la propria indipendenza e dimostrare serietà. L’attuale direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, ed ex direttore de La Stampa è la prova di quanto detto. Molinari assume la guida del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari in un momento in cui è necessario edulcorare i toni rispetto a quelli più schierati e “chiassosi” usati da Carlo Verdelli.  Molinari è anche vicino agli Agnelli, essendo stato direttore de La Stampa, quotidiano a lungo proprietà della famiglia torinese, e probabilmente deve coglierne le simpatie poiché in concomitanza con la nomina a direttore di Repubblica vi è stata quella a direttore editoriale dell’intero gruppo Gedi. Ciò ha conferito a Molinari un potere enorme. Una questione che si intreccia con il grave problema del monopolio dell’informazione: Gedi possiede infatti il Secolo XIX, l’HuffPost, Le Scienze, Limes, Radio Capital, solo per citarne alcuni, mentre il suo rivale Rcs il Corriere della Sera, La 7, la Gazzetta dello sport e altri ancora. Avere un monopolio consente di operare scelte drastiche, anche in dissonanza con il pluralismo e la varietà di stampa. Ciò è più facile se si ha un direttore editoriale in posizione dominante come Molinari.

Repubblica era «un giornale d’informazione il quale anziché ostentare una illusoria neutralità politica, dichiara esplicitamente di aver fatto una scelta di campo». La scelta era collocarsi nella sinistra, come fecero L’Espresso e Micromega. Una posizione che stride con il manifesto programmatico di Gedi: «chi lavora nel gruppo deve astenersi da ogni forma di militanza politica». Ecco, dunque, spiegate le ragioni che hanno portato alla chiusura di Micromega: evitare di prendere posizione, chiudere ciò che è cultura ma schierata, e dare ai lettori ciò che vogliono sentire. Una scelta populista, ma anche in sintonia con chi un tempo sarebbe stato definito “il padrone”, cioè la famiglia Agnelli. Una scelta che ha portato firme prestigiose, come Gad Lerner, Luca Bottura, Enrico Deaglio solo per citarne alcune, ad abbandonare Repubblica.

La chiusura della rivista avviene nella più totale indifferenza per chi lavora nella redazione di Micromega e i suoi lettori, la stessa indifferenza e indelicatezza che Gedi manifestò quando licenziò Verdelli il 23 aprile, il giorno in cui l’ex direttore di Repubblica vedeva una campagna social in suo sostegno a seguito delle minacce neofasciste. Anche nel caso di Verdelli il licenziamento venne annunciato con una nota stampa e senza comunicazione preventiva: senza, cioè, tenere di conto dei diritti e delle sensibilità dei lavoratori del giornale, in linea con una gestione aziendale cui gli Agnelli sono probabilmente avvezzi. La stessa modalità con cui i dipendenti di quattro quotidiani locali del Gruppo Gedi, il Tirreno, Nuova Ferrara e le Gazzette di Modena e di Reggio vengono a sapere di una trattativa, ormai prossima alla chiusura, di cessione – scelta, secondo alcune indiscrezioni, propedeutica all’acquisizione del Sole 24 Ore – accompagnata al taglio del personale.          

Nella speranza che, come detto da Paolo Flores d’Arcais, Micromega trovi altri spazi e altri editori per sopravvivere, prepariamoci ad ulteriori cambiamenti in altre rivistetroppo” militanti.

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