Come è andata a finire la candidatura di Kanye West a Presidente degli Stati Uniti?      

Forse vi starete domandando che cosa ne è stato della discesa in politica del rapper e produttore afroamericano che in passato appoggiò Trump. È andata che West qualche voto lo ha preso perché sì, alle presidenziali statunitensi, nonostante vi sia un rigido sistema bipartitico, possono correre anche altri partiti – e quel che faremo in questo articolo sarà vedere come sono andati. Alcuni di questi partiti hanno preso meno di mille voti, altri poco più di duemila. Altri ancora hanno nomi alquanto insoliti, come Legal Marijuana Now Party.[1]

Come vi abbiamo raccontato nei nostri podcast, le elezioni statunitensi del 2020 sono state caratterizzate da un contesto di crisi politica ed istituzionale in cui spesso il Partito repubblicano, ed in particolare il Presidente Trump, ha misconosciuto la legittimità politica del Partito democratico, alimentando così la falsa idea che i dem siano unamerican, un pericolo per la democrazia statunitense. Ciononostante Joe Biden ha vinto le elezioni con il più alto tasso di partecipazione da più di cento anni. Per la prima volta una donna e membro delle minoranze, Kamala Harris, viene eletta come vicepresidente: simbolo di una presidenza che sulle donne e le minoranze punta molto, come testimoniato anche dalla nomina di Deb Haaland, prima native american ad essere scelta come Segretario agli Interni. Molti, inoltre, si chiedono se veramente Biden sarà in grado di ricongiungere l’America con le sue aspirazioni o se ciononostante il trumpismo e la crisi che lo ha generato siano insanabili.

All’interno di questo contesto i «Third Party», i terzi partiti, hanno svolto un ruolo marginale pur se comunque importante e curioso. Non è insolito nella democrazia americana: esperimenti di terzi poli e formazioni di altri partiti in passato ci sono stati, come il Socialist Party guidato da Eugene Debs all’inizio del Novecento. Talvolta questi terzi candidati hanno preso una quantità di voti rilevante, pur se insufficiente per guadagnare qualche grande elettore, è il caso ad esempio del Partito Progressista che nel 1924 prese il 17% o della candidatura di Ross Perot nel 1992 che ottenne il 19% o di George Wallace nel 1968 che prese il 13%.

Diamo quindi un’occhiata ai risultati del 2020, tenendo presente che nel sistema elettorale statunitense, regolato principalmente da leggi statali e in cui poco il potere federale ha a che fare, non tutti i partiti riescono a candidarsi in ognuno dei cinquanta stati. Non sempre, comunque, i candidati risultano appartenenti ad un partito: negli Stati Uniti, infatti, ci si può candidare anche come “indipendenti”.

Il Libertarian Party risulta il terzo partito, dopo il democratico e il repubblicano, più votato in assoluto e l’unico partito minore presente in tutti gli stati. Il ticket presidenziale era composto dalla candidata Jo Jorgensen e da Harry Browne. Jorgensesn è lecturer di psicologia all’Università di Clemson ed è stata candidata come vicepresidente nel 1996. Il Partito ha preso quasi 1,9 milioni di voti, pari all’1,18% del totale – per capirci, Biden ha preso il 51,38% mentre Trump il 46,91%. Le posizioni del partito le suggerisce il suo nome: sono improntate al liberismo, quindi liberalizzazioni nel campo economico e scarso, se non assente, ruolo dello Stato nell’economia ed ha come obiettivi la difesa delle libertà civili e individuali.

Il quarto partito più votato è il Green Party, guidato dal suo cofondatore Howie Hawkins, con vicepresidente l’afroamericana Angela Walker. Hawkins è un sindacalista e un attivista ambientale di New York ed era anche il candidato del Socialist Party USA, del Socialist Alternative e del Legal Marijuana Now Party. Le posizioni del partito sono socio-ecologiche, cioè vicine al socialismo e all’ecologia, e propongono una versione “più di sinistra” del Green New Deal. Il Green Party era candidato in trenta stati, con la possibilità quindi di avere 381 grandi elettori. Il risultato è stato di 399,116 voti, pari allo 0,25% del totale.

Al quinto posto troviamo un partito di centro fondato nel 2019: l’Alliance Party. Il ticket era composto dal businessman Roque “Rocky” De La Fuente Guerra e da Darcy Richardson. Guerra era stato il candidato presidenziale del Reform Party e dell’American Delta Party, partito da lui creato, per le elezioni presidenziali del 2016. Nello stesso anno ha corso nelle primarie democratiche come senatore della Florida e per la nomina democratica alle presidenziali. Nel 2018 si è candidato al Senato senza successo, criticando le politiche di immigrazione del Presidente Trump. Nel 2020 ha anche provato a candidarsi alla nomination del Partito repubblicano. Presente in quindici stati (183 grandi elettori possibili), Alliance Party ha preso 88 mila voti, pari allo 0,06% del totale.

Al sesto posto è il Party for Socialism and Liberation, fondato nel 2004 si richiama all’ideologia marxista-leninista, è pacifista, favorevole ai diritti degli immigrati e della donne e critico della brutalità della polizia. Il ticket presidenziale era composto dall’attivista Gloria La Riva, già più volte in passato candidata in diverse elezioni, e da Sunil Freeman. Il partito, presente in quindici stati (195 grandi elettori), ha preso circa 84mila voti, pari allo 0,05% del totale.

Settimo posto per Birthday, il partito fondato dal candidato più noto di qua dall’Oceano: Kanye West, con candidata vicepresidente Michelle Tidball. Di West si è già detto molto. La sua vice è un personaggio di cui si sa poco e nel corso di un’intervista per Forbes si è definita una «biblical life coach», una sorta di consulente spirituale. La candidatura di West da l’impressione di essere più che altro una strategia di marketing  e ciò pare confermato anche dagli endorsement arrivati da personaggi del business come Elon Musk e del mondo dello spettacolo. Nel programma di West si auspica la diffusione delle preghiere a scuola e si sottoscrive l’opposizione all’aborto. I voti presi? Circa 66mila, pari allo 0.04% del totale.

Ottava posizione per il Constitution Party, conosciuto fino al 1999 come U.S. Taxpayers’ Party, che promuove una visione vicina alla destra religiosa e che si richiama ad un’interpretazione “originalista” della Costituzione – vale a dire che negli intenti dei membri del partito la loro lettura della Costituzione dovrebbe essere la più vicina a quella dei padri fondatori. Il candidato presidente era Donald Leon Blankenship, ex CEO della Massey Energy Company, una delle più grandi aziende di carbone statunitensi, e da William Mohr. La percentuale di voti è la stessa di West: lo 0,04%, anche se il totale risulta di quasi 60mila.

Nona posizione per un’indipendente, una figura cioè non legata ad alcun partito: Brock Pierce, direttore di una corporazione no profit a favore dei Bitcoin ed ex attore. La sua vicepresidente era Karla Ballard. I voti presi sono circa 49mila, pari allo 0.03% del totale.

Decima posizione che va nuovamente ad un partito, l’American Solidarity Party, dalle posizioni della destra religiosa fondato nel 2011. Il candidato presidente era Brian T. Carroll, insegnante della California, e Amar Patel. Voti presi: 23mila, pari allo 0,01% del totale.

Terminano così i candidati che hanno preso più di duemila voti o comunque più dello 0,01% del totale. In verità, tra questi, va annoverato un non candidato che ottiene però 14mila preferenze: None of these candidate. Nessuno di questi candidati è un’opzione presente in Nevada dal 1975 e viene segnata da chi non sostiene nessuno dei candidati presenti nell’elezione. Nel caso in cui questa opzione prenda il maggior numero di voti il candidato che comunque ha ricevuto più voti vince lo stesso l’elezione. È ciò che è successo nel 1976 nelle primarie repubblicane nel distretto congressuale At – large e durante le primarie governative democratiche del 2014.

Passiamo ora ai candidati che hanno preso più di mille voti ma che non superano lo 0% del totale.

Al primo posto il ticket del Socialist Workers Party formato da Alyson Kennedy e Malcom Jarrett. Il partito è nato nel gennaio del 1938 ed ha come ideologia il trozkismo – castrismo e pubblica il giornale The Militant. I voti presi sono più di seimila. Poco sotto per numero di voti lo Unity Party of America che, fondato nel 2004, ha come slogan: Not Right, Not Left, But Forward! (non destra, non sinistra ma in avanti!). Il candidato, Bill Hammons, è anche il fondatore, il suo vice Eric Bodenstab. Poco al di sotto dei seimila voti è il Bread and Roses Party, formazione politica di stampo socialista fondata nel 2018 dal filosofo e attivista Jerome Micheal Segal, tra l’altro candidato del suo partito assieme a John de Graaf. Sui cinquemila voti li prende anche l’Oregon Progressive Party, partito nato nel 2008, il cui scopo principale è la riorganizzazione dei seggi in Oregon per il Congresso e il cui simbolo è un bufalo che corre. Il candidato presidente era Dario Hunter, rabbino e avvocato, e da Dawn Neptune Adams. Poco più di cinquemila voti li prende poi il ticket al femminile e indipendente composto dalla pianista classica del Texas Jade Simmons e da Claudeliah J. Roze. Più di 4mila voti vanno invece all’omonimo del celebre cantante e batterista dei Genesis, Phil Collins candidato assieme a Billy Joe Parker per il Prohibtion Party, storico partito nato nel 1869 che si oppone alla vendita di alcolici e che ha come simbolo un cammello. Al di sotto dei tremila voti sono gli indipendenti Joe McHugh, interprete ed ex Marine, e Mark Charles, nativo americano, attivista, giornalista e blogger. Duemila voti vengono assegnati anche al Green Party of Alaska, cellula dell’Alaska del Green Party, con il ticket composto dall’ex wrestler e attore Jesse Ventura e dall’attivista Cynthia McKinney.  

L’elenco sarebbe ancora lungo e mancherebbero all’appello i candidati al di sotto dei duemila voti – fino ad arrivare a chi, come Zachary Scalf, ha preso solo ventinove preferenze. Ma per il momento ci fermiamo qui.

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[1] Tutti i dati presenti da questo articolo sono stati consultati sul sito dell’Associated Press a questo link.