È necessario un lockdown generalizzato ed esteso a tutta l’Unione Europea: lo sostiene l’appello, firmato da ricercatori, medici e scienziati di tutta Europa, lanciato il 19 dicembre 2020. L’obiettivo, che ha poi dato luogo alla campagna #ZeroCovid – in Italia sostenuta anche da Walter Ricciardi – è quello di arrivare a zero contagi, come accaduto in Nuova Zelanda e Australia, agevolando così il tracciamento dei futuri possibili positivi e soprattutto la campagna vaccinale. Un ulteriore vantaggio sarebbe nella riduzione dell’incertezza dovuta ad estemporanee ed eterogenee politiche e restrizioni a livello europeo, limitate nel tempo e quindi incapaci di contenere i contagi in maniera tale da facilitare i tracciamenti. Questa strategia avrebbe anche il vantaggio di facilitare una delle principali premesse dell’Unione Europea: l’assenza di confini tra gli Stati membri. Secondo #ZeroCovid, inoltre, queste misure non possono avere successo se riguardano solo il tempo lavorativo e non anche quello del lavoro, perché anche sul luogo di lavoro ci si può contagiare. Per far fronte al periodo di chiusura, che secondo #ZeroCovid sarebbe comunque limitato, sarebbe necessario un pacchetto di stimoli ed aiuti rivolto soprattutto alle fasce più povere della popolazione – una modulazione più mirata, quindi, dei fondi del MES e di Next Generation EU – cui si dovrebbe aggiungere la conferma del blocco dei licenziamenti. La strategia zero covid, quindi, ridurrebbe l’incertezza nella vita di tutti i giorni e aiuterebbe i Paesi nella ripresa, riducendo la vulnerabilità economica anche grazie ad una contrazione economica inferiore rispetto alla strategia di contenimento del virus. Il risultato sarebbe la creazione delle cosiddette zone verdi, zone cioè prive di contagi ed in cui la vita sociale ed economica potrebbe gradualmente, pur se con le dovute cautele, riprendere.
Un obiettivo ambizioso, ma che se messo in atto potrebbe realmente rappresentare per l’Europa una via d’uscita dalle migliaia di morti e di ricoveri dovuti al COVID – 19. Per metterlo in atto, però, è necessario cedere sovranità all’Unione Europea dimostrando di sapere agire come un unico Stato, con il vantaggio che ciò potrebbe rafforzare (e accelerare) il processo di integrazione bloccato da anni e da veti incrociati dei singoli Stati. Anche perché le difficoltà, se affrontate insieme, uniscono.
La cessione di sovranità non rappresenta una perdita quanto piuttosto un guadagno. Il coronavirus ha dimostrato l’inadeguatezza dei singoli Stati nel rispondere alla crisi: i virus non hanno confini e questa è una pandemia globale, le cui ricadute socio – economiche riguardano (e riguarderanno), pur se con le dovute differenze, ogni cittadino del mondo. Tutto il pianeta è ormai integrato – economicamente, socialmente, tecnologicamente, culturalmente e così via – in maniera tale da rendere disfunzionali i singoli Stati – Nazione, tanto più che ben poco Roma o altre capitali possono fare per limitare il potere di un’azienda come Apple che possiede un capitale pari al PIL italiano. Un’impotenza che si è rivelata anche nel recente braccio di ferro tra Facebook (e Google) e il governo australiano, con il primo che aveva bloccato la condivisione sulla piattaforma dei contenuti dei media australiani, con un possibile danno alle comunità marginali che così avrebbero avuto maggior difficoltà nell’accesso all’informazione. Come ben poco possono fare i singoli Stati se non cedono sovranità per gestire gli effetti del cambiamento climatico, dovuti anche alle speculazioni del capitalismo e agli egoismi statali. Ed effettivamente la gestione del virus avuta fino ad ora dimostra quanto il sistema economico vigente sia inflessibile nella sua esigenza di generare profitto.
Ad ottobre 2020 era circolata l’ipotesi di un lockdown a livello europeo, ipotesi che era stata discussa dai vari capi di governo ma che aveva visto i dubbi e il parere negativo di alcuni paesi tra cui l’Italia e l’Olanda. Il lockdown non avrebbe riguardato necessariamente tutti gli stati membri e avrebbe previsto una adesione volontaria, ma la decisione che è stata presa ha preferito il coordinamento tra gli Stati al fine di scongiurare la chiusura. Una chiusura che, a fronte dei problemi nella campagna vaccinale e con la diffusione delle varianti del virus, torna ad essere una possibilità concreta, come chiesto anche da Ricciardi e Crisanti, al fine di salvaguardare l’incolumità di tutti.
Il coronavirus mostra anche la necessità di un maggior coordinamento sanitario in Europa, il quale riflette il generale bisogno di una politica veramente comune. Il coordinamento della sanità riguarda anche quello dell’economia e della ricerca, dell’istruzione e così via. Cedere sovranità, in nome di una completa federalizzazione dell’Unione Europea, non può più essere un’ipotesi procrastinabile.
Il coordinamento significherebbe garantire degli standard comuni sulla sanità, cioè un fondo comune che assicurerebbe omogeneità nella capacità delle strutture sanitarie nel rispondere adeguatamente alle esigenze dei pazienti. L’Unione Europea potrebbe essere una delle economie più forti del pianeta se fosse realmente un unico paese: una forza che le consentirebbe di investire con una capacità nettamente superiore a qualsiasi altro paese membro nella ricerca medica, nelle strutture ospedaliere e nello sviluppo di tecnologie digitali e non a fini medici, facilitando e aumentando inoltre le connessioni tra medici e ricercatori in generale. L’Europa diventerebbe così l’avanguardia nella ricerca, dimostrando al mondo che l’unione attraverso la cessione di sovranità non solo è possibile, ma anche vantaggiosa. Una posizione che garantirebbe all’Unione Europea una capacità di pressione notevole per creare standard igienico – sanitari comuni a livello globale incentivando, inoltre, lo sviluppo di regole e cabine di regia e controllo a livello globale su nuovi e vecchi virus, ma anche di contrasto al cambiamento climatico.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.