La revenge pornography, comunemente conosciuta come revenge porn, è l’espressione che solitamente indica un reato legato alle violenze di genere, per la precisione la diffusione di materiale esplicito e privato senza il consenso della donna – e in casi minori degli uomini.
Il revenge porn in Italia è divenuto reato solamente con la legge n. 69 del 19 luglio 2019, in seguito a campagne di prevenzione e di richiesta per avere una legislazione che andasse a proteggere le donne. Queste campagne, spesso portate avanti da gruppi per la difesa della donna e dai centri antiviolenza, sono nate anche grazie alla notorietà di casi di cronaca come quello di Tiziana Cantone, la trentunenne che nel 2016 si tolse la vita in seguito alla diffusione non consensuale di un video che la ritraeva mentre era in atteggiamenti intimi con il suo compagno. Più recente è la vicenda della maestra d’asilo licenziata dopo che il suo ragazzo aveva fatto girare, senza consenso, in una chat Whatsapp del calcetto delle foto intime che lei gli aveva inviato. La vicenda si è poi conclusa con la condanna da parte dei giudici della madre di un’alunna che aveva segnalato le foto alla dirigente scolastica e di quest’ultima. Sono storie che hanno dei comuni denominatori: si tratta di violenze psicologiche fatte come rivincita o nel tentativo di affermare la propria virilità e si connettono quindi ad una cultura che tende a sottomettere la donna ritenendola indegna o inferiore; sono quindi vicende di genere, perché per l’appunto la matrice riguarda la disparità presente tra uomo e donna e il tentativo di mantenerla; mostrano come le vittime vengano colpevolizzate, arrivando nei casi più estremi al suicidio o alla perdita del lavoro e in altri a gravi ripercussioni psicologiche.
Il revenge porn è un fenomeno in aumento: solo su Telegram sono presenti almeno 21 canali con 43mila iscritti e più di 30mila messaggi al giorno contenenti la diffusione di materiale privato e senza consenso. Secondo Eurispes 1 persona su 10 ne è vittima, un dato che aumenta tra i minori, ed oltre il 51% di chi lo subisce contempla il suicidio. Il 90% delle vittime sono donne e nel 50% dei casi le foto intime sono corredate da nome, cognome e link ai profili social, il 20% contiene anche gli indirizzi e i numeri di telefono. In Italia l’81% delle vittime è di sesso femminile, con una media di due episodi al giorno. Il revenge porn può anche essere una forma di ricatto – se non vengono esaudite le richieste del ricattatore le immagini possono essere diffuse – e inoltre, inutile dirlo, possono incidere negativamente sulla vita, compresa quella lavorativa. Il materiale non viene postato solamente sui canali Telegram, nella chat Whatsapp e nei gruppi Facebook ma finisce spesso anche nei siti per adulti e la rimozione è estremamente difficile e in molti casi si conclude con un nulla di fatto – di questo abbiamo parlato nel nostro approfondimento. Dati che comunque vanno inseriti nel più ampio contesto delle violenze di genere: Secondo Osservatorio diritti nel 2019 ogni giorno 88 donne erano vittime di violenza in Italia. L’Istat, nella sua indagine più recente (2014) indica che il 31,5 delle donne comprese tra i 16 ed i 70 anni (6 milioni 788 mila) ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
Subire un atto come il revenge porn comporta diversi cambiamenti e disturbi psicologici come una profonda umiliazione, il condizionamento nei rapporti con le persone e la lesione della propria immagine e della propria dignità. La vittima può accusare attacchi di panico, ansia generalizzata, depressione e in alcuni casi estremi comportamenti di tipo suicidario, come dimostra il caso di Tiziana Cantone. La sua morte suscitò notevole interesse mediatico in Italia e all’estero e fu oggetto di interrogazione parlamentare; le circostanze che indussero la donna al suicidio funsero da incentivo all’approvazione unanime dell’emendamento al D.d.l. n. S. 1200, anche noto come Codice rosso.
Gli aspetti psicologici sono simili a una violenza sessuale in quanto invadono l’intimità di una persona contro la sua volontà. Infatti si verifica un’invasione e un giudizio di estranei che non conoscono né le persone né la situazione in cui si è avvenuto il fatto.
Secondo gli ultimi dati di End Revenge Porn (una delle più grandi organizzazioni no-profit contro il Revenge Porn) le conseguenze psicologiche e sociali nelle vittime di revenge porn sono:
- 93% forte stress emotivo e/o depressione;
- 82% danni significativi a livello sociale e/o lavorativo;
- 51% pensieri suicidari e/o parasuicidio;
- 49% molestie sessuali e/o stalking online.
Il 23% della popolazione è stata o è una vittima del revenge porn. Nonostante i dati allarmanti solo il 42% di chi lo subisce fa ricorso a un supporto psicologico. Questo perché le vittime evitano di parlare per vergogna o per il timore di non essere presi sul serio scegliendo il più delle volte di non denunciare. Tra le vittime di revenge porn solamente il 10% è di sesso maschile. Non è ovviamente un dato da sottovalutare, ma in ogni caso mostra come si tratti nella maggioranza dei casi di crimini legati al genere. Gli uomini, comunque, hanno timore e paura a denunciare l’accaduto perché ritengono di essere gli “unici” ad essere vittima del revenge porn.
Per le vittime di revenge porn, che siano di sesso maschile o femminile, è consigliabile:
- Rivolgersi al social o al mezzo di diffusione per segnale il contenuto inappropriato,
- Rivolgersi tempestivamente alla polizia postale denunciando il crimine.
- Rivolgersi ad uno psicologo o ad un centro anti-violenza (ci sono moltissimi team di psicologi e associazioni gratuite).
Fonti: Sanavio, Cornoldi, Psicologia Clinica, Bologna, Il Mulino, 2001; Mancuso, R. A., (2019). Revenge porn: la nuova fattispecie di reato, Altalex; F. (2018). Fenomenologia del cyber-stupro. Note ontologico-filosofiche sulla violenza informaticamente mediata. LESSICO DI ETICA PUBBLICA; Legge 19 luglio 2019, n. 69 “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”; Cyber civil Rights Association.
A cura di: Daniele Curci ed Edoardo Bonsignori.

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