Il mondiale di Formula uno quest’anno inizia con un pilota che ha commesso delle molestie su una ragazza: Nikita Mazepin. Non è la prima volta che degli sportivi professionisti compiono delle violenze di genere: l’ex calciatore del Milan Robinho è stato condannato per aver stuprato con un gruppo di conoscenti una ragazza in una discoteca di Milano nel 2013; l’attaccante della Juventus Cristiano Ronaldo è accusato di violenze da una ragazza; in Francia sono stati da poco scoperti casi di molestie e violenze da parte di alcuni tecnici delle nazionali di pattinaggio e nuoto femminili risalenti agli anni Settanta – Ottanta. Le violenze di genere commesse da sportivi – e nel mondo dello sport in generale – non sono quindi un’eccezione, come dimostrano questi esempi, e contribuiscono ad alimentare la cultura maschilista e misogina tesa alla sottomissione delle donne, complice anche un contesto di omertà che garantisce spesso l’impunità ai colpevoli, specie se godono del favore delle telecamere e vengono considerati “idoli” o “beniamini” dal pubblico.
Nikita Mazepin è approdato in Formula 1 grazie ad un ingaggio del team statunitense Haas al termine del mondiale 2020. Nikita è un pilota pagante, un pilota che non viene scelto da una scuderia per il suo merito ma perché “compra” il sedile, e quindi porta in dote molte risorse economiche – suo padre, Dmitry Mazepin, è un milionario russo proprietario di un’azienda di fertilizzanti chimici. Lo scandalo che lo coinvolge è iniziato a dicembre 2020, quando Mazepin postò un video su Instagram in cui palpeggiava il seno di una ragazza senza il suo consenso. In seguito all’episodio molti hanno chiesto che il pilota della Haas venisse estromesso dalla Formula 1 come segnale chiaro ed univoco contro gli abusi di genere. Ne era nata anche una campagna su Change.org, con molte adesioni, e l’hashtag #WeSayNoToMazepin. La Haas ha condannato le azioni del pilota, ma non lo ha rimosso dal team nonostante in un primo momento la posizione di Mazepin sia sembrata vacillare. Lo stesso dicasi per la Federazione dell’Automobile (FIA) assieme a Liberty Media, la società che detiene gran parte dei diritti sulla Formula 1. L’unico “provvedimento” preso è stata una lettera, inviata dal CEO di Formula 1 ed ex team principal Ferrari Stefano Domenicali, a tutti i piloti sull’importanza del loro ruolo come “modelli”; Domenicali ha dichiarato inoltre di avere in programma una riunione su questo tema nei giorni del primo GP dell’anno in Barhein (26 – 29 marzo).
Poco, troppo poco, è stato fatto. Sanzionare Mazepin sarebbe stato, visto quanto sostenuto da Domenicali, un atto di coerenza e una dimostrazione che nessuno, neanche uno sportivo professionista, può ritenersi legittimato a compiere abusi di genere. Per come è stata gestita la faccenda il messaggio che è passato è stato quello dell’impunità e che pertanto non solo gli abusi sono consentiti, ma sono anche una prerogativa dell’uomo di successo. Difatti non è possibile disgiungere episodi come quello di Mazepin dal contesto socio – culturale: ogni 15 minuti una donna è vittima di molestie; il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito abusi e molestie almeno una volta nella vita; una donna su dieci (due episodi al giorno) è vittima di revenge porn, ma i dati sono in aumento. Cifre che parlano chiaro e che vanno lette come la cima di un iceberg perché spesso le violenze non vengono denunciate, complice la consapevolezza che, nella maggior parte dei casi, le vittime vengono ingiustamente colpevolizzate. Non sanzionare Mazepin ha quindi alimentato la rete di ingiustizia che sorregge gli abusi di genere, confermando la posizione di chi sostiene che una donna “se l’è andata a cercare” perché la conseguenza dell’impunità è la legittimazione dell’azione criminosa. Non sanzionare è stato un atto di incoerenza rispetto alla campagna contro il sessismo intrapresa dalla Formula 1 nel 2018 con l’abolizione delle grid girls, in Italia conosciute come “ombrelline”. La mancanza di provvedimenti ha così danneggiato tutto il movimento contro gli abusi di genere, compresa la campagna #MeToo, compiendo un’ingiustizia verso tutte le donne. Sostenere, come ha fatto Domenicali, che siano sufficienti delle scuse da parte del pilota non è infatti sufficiente a sanare l’ingiustizia.
Ma c’è altro. Vicende come queste, legate a immagini apparse in rete, vengono spesso commentate come «leggerezza e stupidità nell’uso dei social», come a dire che se Mazepin non fosse stato incauto sarebbe andato tutto bene, affermando implicitamente che lo sbaglio non è nella molestia ma nell’uso dei social. Lo stesso Mazepin nelle sue “scuse” lo ha definito un: «errore di valutazione assolutamente non giustificabile». Jean Todt, presidente della FIA, sul caso Mazepin ha affermato: «Mazepin ha i punti [quelli necessari per ottenere la super licenza per guidare in Formula 1], quindi sarebbe discriminatorio non farlo correre in Formula 1. Ad essere veramente chiari, non sono contento della situazione. Mazepin ha avuto un avvertimento: se dovesse succedere di nuovo serie conseguenze saranno prese. È qualcosa che è accaduto nella sua vita privata e sfortunatamente non ha prestato attenzione sufficiente. Spero che abbia imparato da questo episodio». Molteplici problemi si legano a queste affermazioni di Todt: la disparità e le violenze di genere sono forme di discriminazione più gravi rispetto ad una sanzione data ad un pilota; Formula 1 e, per estensione, lo sport sono una cosa, casi come questo un’altra: una divisione che si basa tra «vita privata» e «vita sotto i riflettori». Non è così: una molestia è una molestia. Punto. E ciò è aggravato dal fatto che gli sportivi professionisti sono spesso ritenuti dei modelli da seguire. Sostenere che un abuso di genere sia qualcosa che riguarda la sfera privata è una presa di posizione omertosa, come a dire: i panni sporchi si lavano in casa. E forse è veramente così.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.