Ogni giorno si aggirava tra le truppe e visitava accampamenti e postazioni. Cercava di essere testimone oculare di ogni fatto significativo, dallo sbarco dei soldati dalle navi al loro alloggio, dalle scaramucce ai combattimenti campali. É stato definito dal giornalista britannico David Randall «l’uomo che inventò le corrispondenze di guerra»[1].
William Howard Russell nacque a Dublino il 28 marzo del 1820 e ancora oggi è considerato il padre dei reporter di guerra, grazie alla sua esperienza in Crimea (1854), alle sue cronache sulle difficoltà affrontate dell’esercito britannico nello scontro che vedeva Inghilterra, Francia e impero Ottomano combattere insieme il nemico comune: l’impero zarista.
Il giornalista irlandese – dopo aver mosso i suoi primi passi come corrispondente da Dublino – venne poi assunto a Londra dal Times, il giornale più prestigioso dell’epoca. Con oltre 20.000 copie vendute era di gran lunga il quotidiano più diffuso in Gran Bretagna. Nella capitale il giornalista irlandese si occupava dei lavori del Parlamento, facendosi notare per la qualità dei suoi articoli, dimostrando solidità e indipendenza di giudizio.
Nel 1854 Russell veniva convocato dal direttore del Times, John Delane. Il motivo? Una comunicazione di una certa importanza. Il suo giornale infatti aveva ottenuto l’autorizzazione ad inviare un giornalista al seguito del corpo di spedizione inglese in partenza per la guerra di Crimea. L’evento non aveva precedenti. Come ha scritto lo storico Oliviero Bergamini nel libro “Specchi di guerra. Giornalismo e conflitti armati da Napoleone a oggi” «era infatti la prima volta che un quotidiano inviava un proprio dipendente fisso, e per di più giornalista di fama, a seguire con continuità un’operazione militare»[2].
Il giornalista irlandese partì quindi alla volta della Crimea, desideroso di trovare notizie da inviare a Londra. Tuttavia, nello svolgimento della sua attività giornalistica, Russell non poté avvalersi dell’aiuto dei militari inglesi. I suoi articoli erano fonte di attrito con gli ufficiali. Il giornalista veniva spedito indietro quando tentava di avvicinarsi ai comandi e doveva arrangiarsi anche per procurarsi il cibo e assicurarsi un alloggio sicuro. Come evidenzia sempre Bergamini i vertici militari, «proprio perché la sua presenza al seguito delle truppe era un fatto del tutto nuovo, non avevano ancora elaborato alcun metodo organizzativo per far filtrare e controllare l’informazione»[3]. L’esercito non fece molto per impedire i movimenti e le attività del primo corrispondente di guerra
Ma che cosa scriveva Russell nei pezzi destinati ai lettori del Times? Innanzitutto, occorre fare una precisazione: il materiale che veniva inviato finiva tra le mani di John Delane. Il direttore del Times quindi filtrava le corrispondenze e non le pubblicava nella loro interezza. Alcune parti – ritenute più delicate – venivano mantenute come informazioni private e fatte circolare solo in ambienti ristretti. Il resto era a disposizione dei lettori del Times, costituito perlopiù da uomini della borghesia e della nobiltà. Si trattava di un pubblico dalle notevoli competenze in campo militare. Secondo Bergamini le corrispondenze di Russell potevano «sì provocare scandalo, ma anche proporsi nella chiave “costruttiva” di un contributo fornito alle classi dirigenti del paese per esercitare al meglio la loro dirigenza politica»[4].

E veniamo quindi ai contenuti, a ciò che vedeva con i propri occhi il giornalista irlandese in uno dei contesti bellici più noti del XIX secolo: la guerra di Crimea.
Raramente o mai, 27.000 inglesi si sono trovati in condizioni così miserabili (…). Le tende non erano state portate a terra, in parte perché non c’era stato tempo per scaricarle, in parte perché non c’era certezza di trovare i mezzi per trasportarle. Verso la notte il cielo appariva molto scuro e basso; il vento si alzò e la pioggia cadde. Gli scrosci aumentarono a mezzanotte circa, e al mattino presto cadevano in cateratte che trapassavano le coperte e i cappotti dei soldati privi di tenda o ripari. Immaginate tutti quei vecchi generali o giovani baronetti e gentiluomini esposti ora dopo ora alla violenza di tempeste senza pietà, privi di giaciglio tranne la pozza formatasi sotto la coperta inzuppata (…) e i circa 20.000 poveri soldati che non avevano potuto trovare nemmeno un pezzetto di terreno asciutto e hanno dovuto dormire, o cercare di dormire, dentro stagni e rivoli, senza fuoco per confortarli, senza bevande calde, e senza la prospettiva di fare colazione al mattino[5].
Questa è una delle prime corrispondenze di Russell, in cui veniva denunciata l’incompetenza e la disorganizzazione ai massimi livelli dell’esercito inglese, un aspetto che avrebbe potuto gettare scandalo tra i lettori e irritare le truppe al fronte. In questo scritto il giornalista irlandese mostrava poi un certo interesse per i bisogni dei soldati e si preoccupava degli aspetti logistici e organizzativi, che stavano diventando sempre più importanti con l’affacciarsi di guerre industriali e lontane anni luce dai conflitti dell’epoca napoleonica. Inoltre la scelta di occuparsi di queste tematiche rendeva Russell differente rispetto ai suoi colleghi, interessati per lo più al protagonismo dei generali, alle manovre in combattimento e alle strategie di guerra. In un’altra corrispondenza sollevava il tema dell’igiene e della salute delle truppe, così carenti da provocare lo scoppio di un’epidemia di colera.
(… )mancavano anche gli accessori ospedalieri più comuni; non veniva prestata la minima attenzione alla decenza o alla pulizia – la puzza era spaventosa – l’aria fetida riusciva a malapena a fuoriuscire per avvelenare l’atmosfera attraverso le fenditure nei muri e nei tetti e per quanto ho potuto osservare, questi uomini morivano senza il minimo sforzo di salvarli[6].
Ma la corrispondenza di Russell più famosa si occupava di uno scontro bellico: descriveva la disfatta militare dei “600”, la brigata leggera dell’esercito inglese che venne decimata a Balaclava (città della Crimea) dalle cannonate russe. Scriveva il giornalista irlandese:
Alle undici e dieci la nostra Brigata di cavalleria leggera avanzò (…). Mentre si affrettavano verso la linea del fronte i Russi aprirono il fuoco su di loro con le armi del ridotto sulla destra, con scariche di moschetto e fucili. (I nostri cavalleggeri) sfilarono via, scintillanti nel mattino in tutto l’orgoglio e lo splendore della guerra (….). Avanzarono in due linee, accelerando il passo mentre si avvicinavano al nemico (…). Alla distanza di 1200 yarde, l’intera linea del nemico eruttò, da trenta bocche d’acciaio, un’ondata di fuoco e fiamme tra cui fischiavano i proiettili letali. Il loro volo fu segnato da immediati vuoti nelle nostre file, da uomini e cavalli morti, da stalloni che correvano feriti o privi di cavaliere attraverso la pianura. La prima linea fu frantumata. Fu raggiunta dalla seconda; essi non si fermarono mai o ridussero la velocità, nemmeno per un istante[7].
Il corrispondente di guerra aggiungeva poi un dettaglio macabro sullo scontro:
Alle undici e trentacinque non un solo soldato britannico, tranne i morti e i moribondi, rimaneva davanti ai cannoni moscoviti[8].
Gli articoli di Russell suscitarono scandalo e critiche aspre, fino all’accusa di tradimento verso la madrepatria. Tuttavia – eccezion fatta per il filtro operato dal direttore del Times – le sue corrispondenze non subirono alcuna censura. Come accennato in precedenza le autorità militari e civili si trovarono davanti a “una prima volta”: non avevano predisposto alcun apparato di controllo sistemico dell’informazione. Inoltre il fattore tempo giocava a favore del giornalista irlandese. Va ricordato che tra la Gran Bretagna e la Crimea non esisteva alcuna linea telegrafica. Russell poteva scrivere con calma e verificare le informazioni raccolte.
Il grosso merito di William Howard Russell – e il motivo per cui vale la pena ricordare la sua figura – è quello di aver documentato e raccontato un conflitto esercitando una funzione di controllo nei confronti del “potere” (in questo caso l’esercito inglese). Un’attività preziosa e non affatto scontata, visto che all’epoca il pubblico era più interessato alle agiografie dei generali o ai valori della patria da difendere a tutti i costi. Come sottolineato in maniera efficace da Bergamini «il suo merito maggiore sta nel fatto che, per la prima volta in modo così netto e in circostanze così drammatiche, egli raccontò gli eventi bellici da giornalista prima che da cittadino di un paese che era “parte in causa” nella guerra, e antepose la verità dei fatti al patriottismo»[9].
Bibliografia:
Mimmo Càndito, I reporter di guerra. Storia di un giornalismo difficile da Hemingway a Internet, Baldini Castoldi Editore, Milano, 2009.
David Randall, Tredici giornalisti quasi perfetti, Laterza, Roma-Bari, 2007.
Oliviero Bergamini, Specchi di guerra. Giornalismo e conflitti armati da Napoleone a oggi, Laterza, Bari-Roma, 2009.
[1] David Randall, Tredici giornalisti quasi perfetti, Laterza, Roma-Bari, 2007, p.3.
[2] Oliviero Bergamini, Specchi di guerra. Giornalismo e conflitti armati da Napoleone a oggi, Laterza, Roma-Bari, 2009, p.16.
[3] Ivi.
[4] Bergamini, Specchi di guerra, p.20.
[5] William H. Russell, The Times, 15 settembre 1854 cit. in Bergamini, Specchi di guerra, pp. 17-18.
[6] Ibid., pp. 18-19.
[7] Ibid., p. 4.
[8] Ivi.
[9] Bergamini, Specchi di guerra, p.17.
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Cofondatore de L’Eclettico e giornalista professionista. Mille pensieri, tanta curiosità e voglia di mettersi in discussione. Scrivo, ascolto e leggo (parecchio). Mi sono laureato in Storia e ho avuto la possibilità di studiare la criminalità organizzata, tema di cui mi occupo con frequenza. Per lavoro seguo in maniera ossessiva la politica e tutto ciò che vi ruota attorno. Ogni tanto però mi concedo una pausa, qualche viaggio all’estero o in Italia. Al mio fianco ho sempre un sottofondo musicale: il rap.