La devastante ondata di Covid – 19 che sta attraversando il Nepal non ferma il turismo di alta quota. Anzi, secondo il governo nepalese né al campo base dell’Everest né sulle altre vette che superano gli ottomila metri ci sarebbero casi di Coronavirus, nonostante numerosi alpinisti evacuati in questi giorni dalla montagna più alta del mondo siano risultati positivi all’arrivo a Kathmandu.

Recentemente ho avuto modo di parlare con alcune persone che lavorano nel settore delle spedizioni commerciali, quelle organizzazioni che consentono praticamente a chiunque, anche ai neofiti, di arrivare sulle cime di molti ottomila. Ci riescono con un’organizzazione capillare del viaggio: le montagne vengono attrezzate con corde fisse, carrucole per sollevare i clienti, scale, bombole di ossigeno e quant’altro serva per portare, letteralmente, questi “alpinisti” sulla vetta. C’è addirittura chi paga per essere trasportato al campo base con l’elicottero, evitando così il lungo e faticoso trekking di avvicinamento alla montagna. Alcune organizzazioni sono riuscite ad avere perfino i cuochi e le docce con l’acqua calda. Le spedizioni commerciali sono così diffuse che non solo l’Everest è diventato un luogo inquinato a causa dei rifiuti (e dei cadaveri) presenti sulla montagna, ma spesso si formano code di attesa sulla cresta sommitale, quella che precede la vetta. Le spedizioni di questo tipo, che promettono il «successo al 100% senza rischi», secondo molti alpinisti hanno rovinato la montagna e la possibilità di fare alpinismo. Si  tratta, però, di un business dalle ricadute economiche estremamente rilevanti. Ma per chi?

Le agenzie che organizzano le spedizioni commerciali si trovano un po’ ovunque nel mondo, ma principalmente hanno le sedi nei paesi “ricchi”. Alcune sono anche in Nepal, dove gli sherpa stanno emancipandosi economicamente ed alpinisticamente, come dimostrato con l’impresa, questa sì, della prima ascesa del K2 invernale da parte di un team di soli sherpa, tra cui il noto alpinista Nirmal Purjia. Per i nepalesi, comunque, l’alpinismo di alta quota è una delle maggiori risorse economiche a disposizione o l’unica opportunità di lavoro retribuito. Per rendere un’idea di quanto valga l’indotto basti pensare che nel 2019 il turismo di alta quota ha generato entrate per 2 miliardi di dollari, impiegando circa un milione di persone, nonostante la stagione duri solamente tre mesi.

A causa della pandemia nel 2020 non sono state organizzate spedizioni sull’Everest e nell’Himalaya. Il danno economico è stato immenso. Si stima che almeno 1,5 milioni di persone, su un totale di 30 milioni, abbiano perso il lavoro o parte del reddito.

Le mie fonti nepalesi mi raccontano infatti che molti tra portatori, sherpa e guide sono dovute tornare nei luoghi d’origine a coltivare i campi per sopravvivere. Molti di loro senza i sussidi governativi di riso e lenticchie non sarebbero sopravvissuti. Perché il sostentamento di queste persone dipende dall’apertura dell’Himalaya. Ciò aiuta in parte a capire perché il governo nepalese continui a negare che il Covid – 19 si sia diffuso nei campi base degli ottomila. Ma c’è dell’altro.

Quest’anno il governo del Nepal ha stanziato 408 permessi per scalare la montagna più alta della terra. Dal 1953, anno della prima storica ascesa dell’Everest da parte di Tenzing Norgay e Edmund Hillary, non ne erano mai stati concessi così tanti. Grazie ai permessi, nelle casse del governo sono entrati milioni di dollari.

A fronte di un sistema così lucrativo stupisce che i lavoratori della montagna, cioè tutte quelle persone che preparano la salita alle spedizioni commerciali, si trovino costantemente in uno stato di necessità, dovendo dipendere dai soldi di ricchi turisti che ogni anno raggiungono l’Himalaya per un turismo che di sostenibile ha ben poco. Stupisce che nonostante i milioni di dollari nelle casse dello Stato il Nepal sia uno dei paesi più poveri dell’Asia, con infrastrutture carenti e un elevato tasso di analfabetismo.

I “lavoratori della montagna” –  gli sherpa, i portatori di alta quota, gli icefall doctors che montano le corde fisse e le scale sul ghiaccio- fanno un mestiere estremamente rischioso e pericoloso. Provengono da famiglie umili anche perché il sistema di caste vigente in Nepal, nonostante stia perdendo la centralità di un tempo, non facilita la mobilità sociale. Sono l’ossatura delle spedizioni commerciali: senza il loro lavoro nessuno potrebbe raggiungere il campo base di un ottomila. Una guida austriaca con cui ho parlato e che in questo momento si trova al campo base dell’Everest mi ha detto che senza il turismo l’economia del Nepal avrebbe difficoltà a rivitalizzarsi. Ma quanti dei soldi che i turisti portano arrivano alla popolazione? Quanto realmente guadagnano i lavoratori della montagna? Se il denaro portato dal turismo servisse ad emancipare realmente i lavoratori questi non si troverebbero in uno stato di necessità costante, rasentando la povertà assoluta per una stagione andata male o annullata. Il sospetto è che mantenere questa situazione sia funzionale ad avere della manodopera a basso costo che consente ai ricchi turisti – non solo occidentali – di potere accedere alle montagne più alte del mondo con prezzi relativamente contenuti, garantendo larghi introiti al governo. Dovremo interrogarci sul perché molti nepalesi vivono in povertà nonostante il turismo venga considerato una notevole fonte di guadagno. Molti turisti di alta quota sembrano infatti animati dal desiderio di «arrivare per poter dire di essere arrivati in vetta». Un ragionamento che si discosta da parte del pensiero alpinistico, ma che soprattutto riflette una mentalità interessata al soddisfacimento dei propri desideri, senza interessarsi realmente alla realtà sociale dei luoghi montani che si attraversano.

Nonostante gli sherpa dipendano dall’apertura dell’Himalaya e nonostante il governo nepalese abbia deciso di concedere la cifra record di 408 permessi di salita, i lavoratori della montagna sono rimasti esclusi dalla campagna vaccinale. I trekking di avvicinamento ai campi base durano giorni, settimane. Nel tragitto si incontrano molte persone: contrarre il virus non è difficile, come ammette anche la guida austriaca precedentemente citata. Anche perché una volta arrivati al campo base dell’Everest non è detto che mantenere le distanze e le regole per prevenire la diffusione sia facile, come scrive su Instagram l’alpinista Kilian Jornet. I turisti di alta quota hanno il denaro sufficiente per chiamare l’elisoccorso che li trasferirà all’ospedale di Kathmandu dove saranno curati. Nel frattempo potrebbero aver contagiato molte altre persone, compresi gli abitanti (poveri) di villaggi isolati e i lavoratori della montagna.

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